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di Gennaro Grimolizzi

Il Dubbio, 13 marzo 2024

Spesso ci lamentiamo di come vanno le cose nella giustizia in Italia. Ma se volgiamo lo sguardo fuori dai confini nazionali, possiamo notare che non mancano situazioni sconfortanti. Con l’eurodeputato Massimiliano Smeriglio (Alleanza Verdi-Sinistra) abbiamo fatto il punto su alcune vicende che stanno caratterizzando la giustizia in Europa. Il primo pensiero va al Qatargate.

Onorevole Smeriglio, la commissione per gli Affari giuridici dell’Europarlamento ha dichiarato inammissibile la richiesta di verificare possibili violazioni dell’immunità parlamentare presentata da Eva Kaili, coinvolta nel Qatargate. Inoltre, il capo della procura belga, come un populista qualsiasi, ha condiviso il tweet del presidente della commissione che si è pronunciata contro Kaili. La banalità del giustizialismo?

Non entro nel merito delle decisioni prese dalla Commissione preposta anche se ho le mie idee. Quello che appare eclatante in tutta la vicenda del Qatargate è la sproporzione tra la grancassa mediatica, tutta riferita alla dimensione politica, e una inchiesta che fa acqua da tutte le parti e che, al momento, è rimasta ferma a quello che abbiamo saputo nei primi tre giorni dell’esplosione del caso. Nel mentre, abbiamo assistito ad un palese conflitto di interessi del giudice Claise. Le sue dimissioni sono indicative. Abbiamo assistito ad una serie di rovesci, le registrazioni di Giorgi in cui il capo della polizia parlava della inattendibilità di Panzeri. È un caso che ha scosso la credibilità della più grande assemblea parlamentare del mondo e che ha partorito un topolino. Il Qatargate ha sporcato la vita di tante persone. Penso ad Andrea Cozzolino, che è stato buttato fuori dal Pd a mezzo Tg1, senza neanche una telefonata da parte del partito. Penso anche a chi, al centro della vicenda giudiziaria, avrebbe meritato maggiore cura e non meccanismi ricattatori e vere e proprie pressioni fisiche e psicologiche. Il riferimento è a Eva Kaili. C’è poi un altro aspetto.

Quale?

Abbiamo assistito ad una serie di situazioni fuori dallo Stato di diritto che dovrebbe caratterizzare l’Unione europea. In questo contesto non è stato affrontato il vero nodo della vicenda, vale a dire la cesta delle cosiddette mele marce. Cioè il contesto in cui opera il Parlamento. Si è verificata una vera e propria torsione giustizialista alla quale per accondiscendenza il Parlamento europeo ha chinato la testa in oltre un anno di Qatargate, senza reagire e senza utilizzare le prerogative per difendere l’autonomia dei parlamentari. Il vero tema è il contesto in generale, non le presunte mele marce, vale a dire il rapporto tra i 13mila lobbisti che bivaccano intorno al Parlamento europeo, che vendono armi, sistemi di puntamento, farmaci e che influenzano le politiche agricole. La discussione dovrebbe fondarsi su come tutelare il decisore politico da un’attività lobbistica asfissiante. Durante il Qatargate, non abbiamo discusso di questo, ma ci siamo fatti bastare la gogna e il capro espiatorio di singoli presunti colpevoli. Un metodo che non condivido, che uccide la dinamica democratica e non tutela l’autonomia della politica dalla pervasività di alcuni sistemi giudiziari.

In Portogallo, l’ex primo ministro, Antonio Costa, si è dimesso nei mesi scorsi perché il suo nome è finito in una inchiesta su appalti e sfruttamenti minerari. Si è scoperto, poi, che le indagini hanno riguardato un suo omonimo, ma nel frattempo il premier è stato stritolato mediaticamente. Un caso, ai massimi livelli istituzionali, di gogna mediatica?

Sì, è un caso clamoroso di gogna mediatica, che ha inciso sulle scelte e sugli orientamenti dei cittadini portoghesi, nonostante i successi elettorali di Costa e i passi avanti fatti dai governi socialisti. Una gogna assurda che mi fa venire in mente, dato che si parla tanto di Abruzzo, le vicissitudini dell’allora presidente Ottaviano Del Turco. Un caso che ha sancito la fine della sua carriera politica con ripercussioni sulla sua salute. Per ritornare al Portogallo, l’ex premier Costa, da persona seria qual è, ha deciso di dimettersi. Quando si sviluppa rancore e si identifica la politica come il luogo del malaffare, sguazza l’estrema destra. Il suo exploit deriva dal protagonismo eccessivo della magistratura e dalla macchina del fango attivata dai media, ben prima che ci siano certezze giudiziarie. Questo è inaccettabile. In Italia si è verificata una situazione simile circa trent’anni fa con conseguenze precise. Penso, prima di tutto, all’abbattimento di un sistema dei partiti degno di questo nome con giornali che costruiscono il mostro e lo sbattono in prima pagina.

La nostra connazionale Ilaria Salis è apparsa in un’aula del tribunale di Budapest con ceppi e schiavettoni. Nella Ue si parla di grandi riforme nella giustizia, eppure in molti casi le garanzie procedurali vengono fatte a pezzi. Cosa ne pensa?

Proprio oggi (ieri per chi legge, ndr) ho accolto Roberto Salis al Parlamento europeo. Abbiamo fatto una conferenza stampa dedicata al caso di Ilaria e un incontro con la presidente Metsola. Quanto sta accadendo in Ungheria è uno scandalo senza fine. Prima della guerra, l’Ungheria era a rischio di infrazione e si stava ragionando su una condizionalità legata al rispetto dello Stato di diritto. In Ungheria lo Stato di diritto, sotto tanti aspetti, non è affatto garantito. Seguo con interesse la vicenda di Ilaria Salis. Nell’udienza del 28 marzo verrà decisa l’opzione degli arresti domiciliari. Organizzeremo una staffetta democratica per tenere alta l’attenzione in Italia e in Europa su quanto sta avvenendo a Budapest, dato che Ilaria Salis rischia 20 anni di carcere per un reato minore. Il giusto processo è il principale obiettivo da raggiungere.

Nei Paesi Ue assistiamo ad una eterogeneità delle procedure che contraddicono lo Stato di diritto?

Purtroppo sì. C’è una estrema eterogeneità nelle procedure, nella identificazione dei reati, delle pene e per quanto riguarda la condizione carceraria. C’è da fare un grande lavoro. Le questioni che attengono alla autonomia della magistratura e alla qualità dello Stato di diritto nel trattare i colpevoli devono farci riflettere su come rianimare la nostra grande tradizione giuridica. I progressisti, le persone che hanno a cuore gli ultimi, i democratici devono farsi sentire rispetto a situazioni che non portano consenso nell’immediato. Il rapporto politica- magistratura- sistema di detenzione è un misuratore puntuale della qualità della democrazia in cui viviamo.