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di Paolo Pandolfini

Il Riformista, 1 agosto 2023

Doveva essere la panacea per gli atavici problemi della giustizia italiana, ad iniziare dalla lentezza dei processi, ed invece si sta rivelando uno dei flop più clamorosi e costosi degli ultimi anni. Stiamo parlando dell’Ufficio del processo, la task force che avrebbe dovuto affiancare i giudici per agevolarli nella scrittura delle sentenze così da abbattere l’arretrato e permettere all’Italia di ottenere gli agognati fondi del Pnrr.

A regime dovevano essere assunti, con contratto a termine di tre anni ed uno stipendio netto di circa 1700 euro al mese, ben 16mila giovani neolaureati. Numeri mai raggiunti a causa di defezioni continue. Alla fine dell’anno scorso, ad esempio, i componenti dell’Ufficio del processo erano 11mila. Adesso sono poco più di 9mila. Ma il loro numero è destinato a scendere nei prossimi mesi.

Che l’Ufficio del processo non avrebbe funzionato lo ricorda l’ex componente laico del Consiglio superiore della magistratura Stefano Cavanna, avvocato d’impresa e molto vicino all’attuale ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. “Era il 2021 e fummo chiamati a via Arenula dove fu illustrato al Comitato paritetico sull’organizzazione degli uffici, di cui facevo parte come componente della Settima commissione del Csm, la soluzione che il Ministero aveva individuato per abbattere l’arretrato nei tribunali”, sottolinea Cavanna.

“Il piano - prosegue - era incentrato sull’assunzione di questi 16mila neolaureati, non solo in giurisprudenza ma anche in economia, informatica e scienza politiche, che avrebbero dovuto aiutare i magistrati a `scrivere il fatto della sentenza’ e che avrebbero `drogato la macchina’ per tre anni e poi sarebbero stati mandati a casa”.

“Io strabuzzai gli occhi, insieme agli altri presenti, e chiesi: `Scusate, non pensate che sia un po’ difficile che un neolaureato in economia (ricordando come ero io neo laureato in giurisprudenza con 110 e lode ma privo di qualsiasi idea concreta di cosa significasse lavorare) possa scrivere adeguatamente ‘il fatto di una sentenza’ considerando che la ricostruzione del fatto, come insegnavano i grandi avvocati, è certamente la parte centrale e più importante della decisione? E poi, chi formerà questi ragazzi per poi doverli licenziare dopo meno di tre anni? Non pensate che sarà difficoltoso il reclutamento nel Nord Italia dove già il fenomeno è presente drammaticamente per il personale amministrativo pur riferendoci a lavoro a tempo indeterminato?’.

Chiesi poi se qualcuno avesse pensato al rischio di rivendicazioni sindacali, secondo me giuste, al termine del periodo di impiego previsto”, aggiunge Cavanna. “Non ci fu data alcuna risposta soddisfacente e l’Ufficio del processo passò anche se il Csm aveva espresso criticità al riguardo”, conclude laconicamente l’ex laico del Csm.

La conseguenza di quella scelta frettolosa ha costretto la settimana scorsa il ministro degli Affari europei Raffaele Fitto ad annunciare che il target della riduzione del 65 percento delle cause pendenti entro il 31 dicembre dell’anno prossimo, concordato con Bruxelles, sarà impossibile da raggiungere. Anzi, in ben 45 tribunali - fra cui i più importanti del Paese, Bologna, Milano, Roma, Napoli - l’arretrato invece di diminuire starebbe addirittura aumentando. Una beffa.

Eppure il Piano era chiaro: la lentezza processi, ritenuta “eccessiva”, deve “essere maggiormente contenuta con interventi di riforma processuale e ordinamentale”. “A questi fini - si poteva leggere nella nota inviata alla Commissione europea - è necessario potenziare le risorse umane e le dotazioni strumentali e tecnologiche dell’intero sistema giudiziario”. Il “fattore tempo” doveva però essere affrontato tramite riforme tecnico-processuali, e quindi a costo zero. Le risorse stanziate per il comparto giustizia furono così destinate esclusivamente alla creazione dell’Ufficio per il processo da intendersi come “un team di personale qualificato di supporto, per agevolare il giudice nelle attività preparatorie del giudizio”, quali “ricerca, studio, monitoraggio, gestione del ruolo, preparazione di bozze di provvedimenti”. Niente di specifico venne dedicato, invece, alla digitalizzazione dei tribunali. A distanza di due anni aver puntato tutto sull’Ufficio del processo si è rivelato allora fallimentare. L’attività del giudice ordinario, esame del fatto, applicazione del diritto, motivazione dei provvedimenti, non è quella del giudice della Corte costituzionale, da dove veniva la ministra Marta Cartabia, la prima fautrice dell’Ufficio del processo.

Alla Consulta il giudice può anche fare il supervisore dei suoi assistenti di studio a cui delegare tronconi della propria attività (a un componente dello staff l’istruttoria, a un altro la ricerca giuridica, a un altro ancora la scrittura della bozza del provvedimento) per poi compiere egli la sintesi finale. Nei tribunali è diverso. Anche perché i ritmi di lavoro non sono confrontabili. “L’ufficio del processo? Io preferisco chiamarlo `ufficio del paggetto’, dove i suoi componenti vanno a fare le fotocopie per i magistrati”, aveva detto lo scorso anno, quando era all’opposizione, Andrea Delmastro, attuale sottosegretario alla Giustizia e plenipotenziario di Giorgia Meloni a via Arenula. Toccherà ora a Carlo Nordio riscrivere il Piano. Una nuova grana per il ministro della Giustizia di cui nessuno sentiva certamente il bisogno in questo momento.