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di Valentina Stella

Il Dubbio, 27 settembre 2023

Col primo ddl ha avviato una riforma penale liberale, ma sui decreti si è dovuto contraddire. Il 31 ottobre 2022, nella prima conferenza stampa del nuovo governo, sono serviti solo due minuti al ministro della Giustizia Carlo Nordio per illustrare la parte del decreto legge relativo all’ergastolo ostativo - proprio lui che si era detto contro l’ergastolo qualche giorno prima sul Corsera - sei invece per motivare il rinvio dell’entrata in vigore della riforma del processo penale firmata Cartabia. Questo primo atto ha segnato tutto l’anno appena trascorso: un guardasigilli con idee liberali e garantiste spesso costretto a rinnegare le proprie convinzioni, stretto all’interno di una maggioranza, soprattutto da Lega e Fratelli d’Italia, che tende a deviarlo sul binario securitario e giustizialista.

Un altro esempio? Il decreto Cutro presentato il 9 marzo: “Morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina” è la nuova fattispecie penale introdotta e illustrata da Nordio in conferenza stampa: “Un intervento nell’ambito del diritto penale estremamente severo nei confronti di chi organizza, promuove e finanzia in qualsiasi modo questa tratta di persone”. Non è di certo lo stesso Nordio che qualche tempo prima, nelle vesti di libero pensatore, diceva: “L’errore, l’equivoco della destra, è quello di pensare di garantire la sicurezza attraverso l’inasprimento delle pene, la creazione di nuovi reati e magari con un sistema carcerario come quello che abbiamo, che diventa criminogeno”.

Il guardasigilli è stato poi travolto dalla burrascosa vicenda di Alfredo Cospito, con il lunghissimo sciopero della fame adottato dal detenuto, il rischio di una sua morte e con gli anarchici in mobilitazione continua. Lui, Nordio, ha tenuto la mano ferma confermando il 41 bis, ma la grana più grossa gli è arrivata dal deputato di FdI Donzelli, che in Aula ha riferito dei colloqui tra Cospito e alcuni mafiosi, e soprattutto dell’incontro con una delegazione del Pd, di cui lo stesso Donzelli aveva saputo, in circostanze divenute oggetto d’indagine alla Procura di Roma, dal sottosegretario Delmastro. Con molta fatica, il guardasigilli ha dovuto difendere i suoi, con le opposizioni accanite più che mai. Poi ha dovuto mettere una pezza alla questione del reato di tortura: i meloniani pronti ad abrogarlo, lui che va in Parlamento ad assicurare che ci si limiterà ad interventi tecnici.

Arriviamo al 15 giugno, quando il Consiglio dei ministri approva il disegno di legge Nordio che punta all’abrogazione dell’abuso d’ufficio, a una maggior tipizzazione del traffico di influenze, e che contiene modifiche in materia di intercettazioni - per tutelare i terzi estranei alle indagini - di informazione di garanzia, di misure cautelari in carcere, con l’introduzione del contraddittorio preventivo. Come ha commentato su questo giornale il professor Spangher, “c’è un rafforzamento del ruolo difensivo mediante la modifica della disciplina dell’informazione di garanzia e, in tema di intercettazioni, della tutela della riservatezza del terzo estraneo al procedimento. In prospettiva e in filigrana si coglie un senso di maggiore tutela della persona. Naturalmente bisognerà vedere come verrà declinato”. E a questo ci sta pensando la commissione Giustizia del Senato.

Intanto il 7 agosto arriva in Consiglio dei ministri un decreto legge (che sarà oggi in aula alla Camera) con il quale le norme antimafia sulle intercettazioni anche ambientali sono estese a una serie di reati “non associativi”. Tutto per “rimediare”, come disse la premier, addirittura a una sentenza della Cassazione, ritenuta troppo garantista dai capi delle Dda e dal vertice della Procura nazionale. E qui è da rilevare l’ennesima contraddizione del ministro Nordio, che da sempre ha detto di voler limitare l’uso delle intercettazioni, ma ha dovuto probabilmente subire questa decisione, nata anche per far dimenticare il suo intento di rivedere il concorso esterno a pochi giorni dalla commemorazione di via D’Amelio.

Poi il 7 settembre è la volta del Dl Caivano che, tra l’altro, amplia in modo significativo la custodia cautelare e la facoltà di adottare misure pre- cautelari attraverso l’abbassamento dei parametri edittali di riferimento e l’aggiunta di specifiche ipotesi di reato. Eppure Nordio, nelle sue linee programmatiche, il 6 dicembre aveva chiaramente detto: “Assistiamo all’uso, e all’abuso, della custodia cautelare, come surrogato temporaneo dell’incapacità dell’ordinamento di mantenere i suoi propositi”.

E la separazione delle carriere? Sempre nelle sue linee programmatiche, il guardasigilli evidenziava la necessità di attuare assolutamente la riforma, insieme a quella dell’obbligatorietà dell’azione penale “convertita in un intollerabile arbitrio”, disse. Nella conferenza stampa di fine anno con i giornalisti, persino la premier Meloni assicurò che la si sarebbe attuata entro sei mesi; ma ad oggi non si vede nulla, se non un accidentato percorso in commissione Affari costituzionali alla Camera, dove oggi riprenderanno le audizioni e si teme arrivi un testo governativo a depotenziare gli obiettivi indicati nelle proposte di legge attualmente in discussione. Sul carcere poi Nordio aveva sempre appoggiato la linea dell’extrema ratio: ora si è convertito all’idea della destra di usare le caserme dismesse per accogliere i detenuti, anziché mettere in atto una seria politica di depenalizzazione. Inoltre, voci di palazzo dicevano che volesse Rita Bernardini nel collegio del Garante dei detenuti, ma non sarebbe riuscito a imporsi al Quirinale, da dove sarebbe arrivato lo stop.

Insomma, quello appena trascorso è stato un anno più di ombre che di luci per Nordio, entrato in collisione sia con la magistratura, che si è sentita attaccata, a partire dal caso Uss, nella propria autonomia, sia con l’avvocatura, che verifica gli affanni nell’attuare una vera riforma liberale della giustizia. Comunque ci sono altri quattro anni in cui Nordio potrà dimostrare di saper invertire la rotta.