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di Lorena Crisafulli

L’Osservatore Romano, 6 settembre 2022

Seppur all’interno dei confini carcerari, la rigenerazione delle vite di coloro che scontano una pena può passare anche attraverso un lavoro artigianale che li metta in contatto con il mondo esterno.

Accade nelle carceri femminili di Lecce e Taranto dove, grazie al progetto “Innovazione Sartoriali” di “Fondazione Territorio Italia” e “Made in Carcere”, le detenute vengono impiegate nel processo di lavorazione del filo di scarto proveniente dalle cozze, il cosiddetto “bisso”, per creare ricami, accessori e decorazioni. “Ero una dirigente di banca e, dopo più di vent’anni, ho lasciato il mondo della finanza per occuparmi d’inclusione sociale, poiché credo nell’importanza di ridare dignità alle persone che hanno commesso degli errori e si trovano in stato di detenzione, donne che vivono in luoghi di degrado, disperazione e disagio, ai margini della società - ci spiega Luciana Delle Donne, fondatrice della cooperativa sociale “Officina Creativa” e ideatrice del brand “Made in Carcere”.

Volevo dimostrare che è possibile portare colore, gli, dando loro un esempio di dignità e mostrando agli altri che hanno fatto una scelta di vita diversa - prosegue l’imprenditrice sociale -. Noi non vogliamo conoscere il tipo di reato che hanno commesso e non possiamo permetterci di giudicarle, cerchiamo solo di aiutarle a rimodellare la vita nel presente per consentire loro di voltare pagina in futuro”.

Nell’ambito del progetto “Innovazioni Sartoriali”, finanziato da “Fondazione Territorio Italia” e grazie all’impegno della presidente Daniela Ducato, oltre alle sartorie sociali di periferia, sono stati realizzati alcuni corsi di green jobs con l’aiuto di Monica Saba, esperta nel recupero e nella trasformazione di scarti organici, argille, piante spontanee e tinture solari, e Ambra Mediati, decoratrice professionista che realizza gioielli, decorazioni, accessori per moda e arte sacra, a partire da scarti di frutta e verdura.

Le due formatrici hanno insegnato alle detenute alcune tecniche di stampa eco-imprinting rinnovabili, attraverso le quali è possibile rilasciare effetti cromatici e impronte delle foglie e dei fiori sui tessuti, recuperando scarti boschivi e agroalimentari, senza l’utilizzo di ne prettamente tarantina, questo procedimento rappresenta un omaggio all’unica maestra mondiale della lavorazione del bisso della Pinna Nobilis, Chiara Vigo, le cui opere sono state riconosciute dall’Unesco patrimonio dell’umanità.

“L’esperienza della lavorazione con il filo della cozza è stata fantastica anche da un punto di vista umano, poiché molte detenute si sono commosse e, attraverso il profumo del mare, si sono ricordate di quella sensazione di libertà che probabilmente avevano rimosso”.

All’interno della casa circondariale di Lecce, oltre che di Bari, Trani, Taranto, Matera, è stata aperta la “Maison di Made in Carcere”, un laboratorio tessile in cui le detenute possono lavorare e al contempo vivere momenti di svago; oltre alle macchine da cucire e ai tavoli per gli attrezzi da lavoro, ci sono, infatti, una sala riunioni, una cucina per riscaldare il cibo, una piccola palestra e una sala lettura.

“Abbiamo concepito questo spazio con piante, divani, tappeti e quadri, come fosse un mondo ideale all’interno di un mondo disperato. Nel carcere di Taranto non abbiamo ancora aperto il laboratorio, perché siamo in attesa che la burocrazia determini l’area da assegnarci, ma anche lì le detenute hanno accolto il nostro progetto con grande entusiasmo, perché c’è fame e sete di relazioni”, aggiunge Luciana Delle Donne.

“Questa prima esperienza ci ha consentito di commercializzare e avviare un processo che può generare guadagni e, quindi, stipendi, per le donne recluse. Adesso l’idea è quella di realizzare una collezione da offrire sul mercato, stando attenti a rispettare la sostenibilità sociale e ambientale, ma anche quella economica, perché se il prodotto ha un prezzo elevato non trova acquirenti.

A Lecce, per esempio, le detenute si sono dimostrate molto pragmatiche e ci hanno chiesto cosa fare concretamente per aiutarci a piazzare il prodotto sul mercato, consapevoli che se non si vende non è possibile pagare gli stipendi, insomma, si sono preoccupate di capire come far andare avanti la macchina produttiva.

Quel che è fondamentale per noi - conclude Luciana Delle Donne - è far comprendere all’esterno che non proponiamo semplici prodotti, ma progetti di vita, poiché in ogni lavoro artigianale ci sono la fatica e le storie di coloro che l’hanno creato con sacrificio e dedizione”.