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di Massimo Franco

Corriere della Sera, 9 maggio 2023

Il percorso abbozzato dal governo sulle riforme istituzionali e sulle nomine di organismi che appartengono allo “Stato profondo”, come Polizia e Guardia di Finanza, non si può definire incoraggiante. Come minimo, appare pasticciato e poco trasparente. Sulle riforme, si ha l’impressione che la maggioranza guidata da Giorgia Meloni stia facendo di tutto per alimentare le diffidenze e gli istinti peggiori delle opposizioni: cosa che sta puntualmente avvenendo. L’impostazione della destra è quella di evocare il dialogo, salvo aggiungere che se non sarà accettata la sua impostazione cambierà comunque la Costituzione: magari con un referendum. Quella delle sinistre è di fare muro, favorendo un’eventuale forzatura. Sembra quasi che tra le minoranze ci sia una gran voglia di opporsi pregiudizialmente, per poi poter gridare al colpo di mano. E nella coalizione governativa, in modo simmetrico, il calcolo è di ricevere quei rifiuti a priori, per avviare una sorta di fai-da-te costituzionale: con presidenzialismo, premierato e autonomia differenziata come stelle polari. Stelle polari al plurale, perché quando si tratta di passare ai fatti, i tre partiti della maggioranza inseguono obiettivi differenti, quando non contrastanti. E l’idea di una repubblica presidenziale, lungi dall’unire Fdi, Lega e FI, ne accentua le divergenze.

E la sensazione che a questo si possa arrivare non in base a una convinta adesione a un modello di Stato, ma come prodotto di un baratto tra l’autonomia regionale cara alla Lega e l’elezione diretta del presidente della Repubblica accarezzata da Fratelli d’Italia, aggiunge dubbi e perplessità. Ma soprattutto, non è chiaro in base a quale urgenza il tema sia stato fatto rotolare sulla scena dell’attualità, quando incalzano problemi economici, sociali e di rapporti con l’Europa e i mercati finanziari ben più incombenti; senza contare le implicazioni di oltre quattordici mesi di invasione russa dell’Ucraina.

Il miraggio del “potere verticale”, capace di scansare tutti gli inciampi della complessità democratica, è ormai pluridecennale, in Italia. E si tratta di un miraggio suggestivo, che incrocia la voglia di semplificazione e di rapidità decisionale di molti governi e, probabilmente, di settori consistenti di opinione pubblica. Ma che permetta di far funzionare meglio le cose è, come minimo, opinabile. Siamo reduci da una riduzione del numero dei parlamentari voluta dai grillini, e assecondata per pavidità da un sistema partitico che temeva di essere travolto dall’ondata iconoclasta del populismo, se avesse resistito. Non pare, tuttavia, che la riforma abbia prodotto grandi risultati. Tra l’altro, è in corso un piccolo grande risarcimento per alcuni di quanti non sono stati eletti, trovando per loro posti in altri gangli dell’amministrazione pubblica.

La prospettiva che sulle riforme costituzionali venga scritto un nuovo capitolo all’insegna della demagogia antiparlamentare non può essere scartata a priori. E non può non far riflettere, perché come conseguenza implicherebbe, come minimo, un’oggettiva delegittimazione della Costituzione proprio mentre viene celebrata a parole. Né può essere elemento di sollievo l’eredità di altri referendum bocciati dall’opinione pubblica. In ogni caso si tratterebbe di occasioni di radicalizzazione delle posizioni, e dunque di divisione del Paese. Tra l’altro, viene da chiedersi su quale base si cementerebbe un accordo nella stessa maggioranza, quando per giorni non è riuscita a trovare un’intesa nemmeno su alcune nomine.

Le opposizioni che si stracciano le vesti per la lottizzazione della tv pubblica testimoniano una “doppia morale” tipica di chiunque perda le elezioni e fette di potere televisivo. E la fretta con la quale i vincitori vogliono attuarla conferma solo quanto la Rai sia considerata un “bottino elettorale” da farsi consegnare rapidamente. Sorprende di più il modo abborracciato e rissoso con il quale la maggioranza ha gestito le nomine ai vertici della Guardia di Finanza e della Polizia . Ci si sarebbe aspettati una trattativa riservata e una decisione concordata prima di comunicare le sostituzioni.

Il limbo degli ultimi giorni ha dimostrato un affanno e un conflitto vistosi e poco spiegabili, se non con l’improvvisazione e l’inesperienza. E di questo non si può dare certo la colpa alla Costituzione. Scaricare sulle istituzioni i propri problemi e la difficoltà a governare è un vecchio vizio. La vera riforma, forse, sarebbe quella di riformare un’antica e deteriore abitudine, e concentrarsi sulle cose che contano e dovrebbero unire. Sia chiaro: è un discorso che vale per il governo e per le opposizioni, innamorate del loro isolamento sterile e portatore solo di scontri più aspri.