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di Riccardo Polidoro*

L’Unità, 1 settembre 2023

Un’altra estate sta finendo. Questa, come le altre, ha evidenziato le enormi carenze del nostro sistema penitenziario, senza che nulla, in concreto, venisse fatto o, almeno, realisticamente progettato. Dopo le morti annunciate, decessi per carenze di cure idonee e suicidi dovuti allo sconforto per mia detenzione incivile quanto illegale, sono giunte le frasi di circostanza, tanto irrinunciabili perché doverose dinanzi a tale strage di Stato, quanto prive di un effettivo valore politico.

Che valore può avere indicare le caserme dismesse come luoghi dove trasferire parte dei detenuti e diminuire il sovraffollamento? La soluzione indicata è peggiore del male, ma seppure fosse corretta, sono stati indicati i tempi? Le caserme? Le risorse finanziarie per l’adeguamento? Quelle umane da destinare alla gestione, che dovrebbe riguardare non solo la sicurezza, ma anche l’aspetto risocializzante del tutto dimenticato da chi ci governa e ci ha governato.

Le fantomatiche caserme vengono, poi, indicate anche come soluzione per ospitare i sopravvissuti al Mediterraneo. Bambini, donne e uomini che fuggono dalle condizioni disumane delle loro terre e sbarrano sulle nostre coste. Detenuti e Migranti, accomunati da un progetto di discarica di corpi, in luoghi dismessi. È questa la strada indicata dalla nostra Costituzione?

È questa la Politica di un Paese Civile? E i media? Pronti ad esaltare le parole del Presidente della Repubblica quando dichiara che vanno affermati e condivisi valori della dignità ed uguaglianza delle persone, della pace e della libertà, non affrontano con il dovuto spirito critico le palesi immaginarie soluzioni governative, che nulla hanno di umano e non rispecchiano i canoni della convivenza civile.

Viviamo in un’epoca definita “social”, ma dove l’individuo è sempre più solo, dove interi quartieri di grandi metropoli sono del tutto abbandonati e noti come piazze di spaccio, luoghi in cui avvengono efferati delitti a scapito di minorenni indifesi, ripresi con i cellulari e dati in pasto al mercato del web. Le coscienze stanno precipitando in mia voragine sempre più buia e chi dovrebbe impedirlo è occupato su altri temi ritenuti più importanti e lascia all’improvvisazione le soluzioni che, invece, meriterebbero priorità assoluta perché alla base della stessa vita del Paese.

Le recenti affermazioni del Ministro dell’Istruzione sulla necessità di “diffondere la cultura del rispetto”, potrebbero rappresentare l’inizio di mia vero cambiamento, se interpretate nel senso giusto e non sulla scia di drammatici fatti di cronaca “Rispetto” è la parola chiave che può muovere il cambiamento.

Rispetto per gli altri, per tutti. Per i detenuti, che privati della libertà, hanno, secondo quanto previsto dalla Costituzione e dalle norme in materia, diritto ad un programma di reinserimento sociale; per i migranti che fuggono dalle atrocità del loro Paese, rischiando di morire in mare; per coloro che vivono in quartieri “ghetto”, luoghi che vanno riqualificati e vissuti dall’intera cittadinanza. È soprattutto di questo che il nostro Paese ha bisogno, per non svegliarsi un giorno con le armi puntate gli uni contro gli altri.

*Avvocato - Co-responsabile Osservatorio Carcere UCPI