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                   5permille

   

di Valentino Maimone

La Ragione, 4 maggio 2023

Seicento secondi. A ciascuno dei circa 55mila detenuti nelle carceri la legge impone che possa telefonare ai suoi cari una sola volta la settimana e per non più di dieci minuti. Come se non bastassero i penitenziari sovraffollati e fatiscenti, dove i suicidi si susseguono (84 nel solo 2022, un record), l’impossibilità di avere un contatto costante con gli affetti è l’ennesimo motivo di oppressione e angoscia per chi vive i suoi giorni in una cella.

Con la pandemia si era deciso di rendere quotidiane le telefonate, ma ora - cessata l’emergenza - le carceri si apprestano a tornare al vecchio regime. Qualcuno però va in controtendenza: la neodirettrice della casa circondariale di Velletri (a un’ora di macchina da Roma) ha appena deciso di mantenere la possibilità per i detenuti di chiamare una volta al giorno, “preso atto che le più frequenti telefonate durante la pandemia hanno rasserenato gli animi e più che mai le famiglie”. Sulle orme di Velletri anche i penitenziari di Padova, Firenze e Trieste.

“Per lo Stato dovevo mantenere gli affetti familiari dedicando ogni sette giorni 180 secondi a uno dei miei figli, 180 secondi all’altro, poi 120 secondi a mia madre e i restanti 120 a mia moglie”, racconta Angelo Massaro (21 anni in cella da innocente) nel docufilm “Peso morto” che ripercorre l’errore giudiziario di cui fu vittima. Lui ci è riuscito. Tutti gli altri, definitivi o in attesa di giudizio che siano, aspettano di vedere cancellato un obbligo privo di senso.