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di Donatella Stasio

La Stampa, 29 marzo 2024

“Beato un popolo che non ha bisogno di eroi” diceva Bertold Brecht. E certo non si può dire questo dell’Ungheria di Viktor Orban che continua a tenere Ilaria Salis in catene, ne umilia la dignità davanti al mondo intero, calpesta la presunzione di innocenza e, per quanto grave possa essere il reato contestatole, chiude ogni varco a un processo giusto e non politico. Beato il paese che non ha bisogno di atti di eroismo per dar corpo ai valori fondanti dell’Unione europea di cui fa parte - libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto, rispetto della dignità e dei diritti umani - perché ha istituzioni di garanzia forti e indipendenti. E infine, beato il paese che non inganna i suoi cittadini, come fa il governo di Orban, sulla reale indipendenza dei giudici, così come beato è il paese che non finge di credere a quegli inganni per calcolo politico, come purtroppo ha fatto finora il governo di Giorgia Meloni.

L’Ungheria ostenta la faccia feroce con Ilaria Salis e l’Italia sembra stare al gioco dell’autocrate magiaro, che rivendica di essere uno stato di diritto mentre ha più di un conto in sospeso con l’Unione europea proprio per la sua perseveranza nel violare lo stato di diritto, in particolare la separazione dei poteri.

Quel che è accaduto ieri a Budapest ha tutta l’aria di una provocazione politica: la seconda udienza del processo si è svolta di nuovo con l’imputata al guinzaglio, alla quale sono stati poi negati gli arresti domiciliari. Orban ha fatto sapere che lui non interferisce nelle decisioni dei suoi giudici indipendenti e l’Italia finge di credergli per coprire le responsabilità del governo magiaro sia nel mantenere i ferri alle mani e ai piedi di Ilaria sia nel trattamento detentivo inumano e degradante. Ma il gioco è ormai sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale. L’Italia, e persino l’Europa, non hanno più alibi per non esercitare una ferma, legittima pressione politica che garantisca a Ilaria un giusto processo e una carcerazione dignitosa.

È significativo che, nello stesso giorno in cui a Budapest si consumava l’ennesima violazione dei principi dello stato di diritto, a Milano i giudici della Corte d’appello respingevano la richiesta di consegnare all’Ungheria Gabriele Marchesi, coimputato di Ilaria, per il rischio reale di violazione dei suoi diritti fondamentali e di trattamenti inumani e degradanti ma anche per la mancanza di proporzionalità tra la pena a cui il giovane rischierebbe di essere condannato e i fatti a lui contestati. Il nostro governo - che dice di essere garantista soprattutto “nel processo” - non può, quindi, non farsi carico di quel che dicono i “suoi” giudici. Ilaria ha diritto di difendersi in un processo e non “dal processo” ma per farlo deve poter contare su una giustizia realmente indipendente, che non subisca condizionamenti politici come invece accade in Ungheria, anche se la magistratura giudicante è formalmente indipendente.

Ilaria non ha bisogno di atti di eroismo per salvarsi. Né ha bisogno dell’ombrello dell’immunità parlamentare (che il Pd starebbe valutando di offrirle candidandola alle elezioni europee, ma che non sarebbe affatto scontato). Ha bisogno che Ungheria, Italia, ed Europa le assicurino le condizioni per affrontare un processo con le garanzie proprie di uno stato di diritto. Corale, quindi, deve essere l’impegno in questa direzione. E Giorgia Meloni deve battere i pugni sul tavolo, come fa in altri casi, senza strizzatine d’occhio alla “democrazia illiberale” del suo amico Orban.

I giudici ungheresi ci tengono a difendere quel poco che resta della loro indipendenza. Formalmente, a differenza dei Pm, non dipendono dall’esecutivo, ma di fatto sono sotto il suo controllo attraverso le nomine politiche dei vertici giudiziari, le sanzioni minacciate ad ogni passo falso che compiono e una precisa strategia di delegittimazione, che passa anche attraverso il divieto di parlare e di criticare il governo. Non hanno più una Corte costituzionale cui rivolgersi perché Orban se ne è appropriato, così come si è appropriato dei media. Dunque, anche se ci piacerebbe vedere maggiore reattività delle toghe magiare di fronte alla vergogna esibita ieri per la seconda volta, non si può chiedere al giudice di fare l’eroe in un contesto così politicizzato come quello ungherese.

In Italia, fortunatamente, ancora non siamo arrivati al “bavaglio” ai giudici, ma assistiamo a una loro progressiva delegittimazione di fronte all’opinione pubblica. Di recente, Meloni ha detto che “i magistrati fanno perdere un sacco di tempo al governo”, riferendosi evidentemente sia ai giudici che, come Iolanda Apostolico, hanno disapplicato il decreto Cutro sul trattenimento dei migranti, sia ai giudici della Cassazione che hanno investito della questione la Corte Ue e forse, chissà, anche ai giudici di Lussemburgo che non hanno ritenuto di trattare con urgenza la questione. Se questo è il vento che tira in Italia, figuriamoci nella “democrazia illiberale” di Orban dove non sono tollerati limiti all’azione del governo e i “contrappesi” sono stati silenziati e normalizzati per lasciare l’uomo solo al comando. Tuttavia, proprio in questi giorni in cui, per giustificare i test psicoattitudinali imposti ai magistrati, sono stati evocati gli errori giudiziari e l’eccessivo ricorso alle misure cautelari, il caso di Ilaria Salis dovrebbe togliere il sonno al governo. Sarà anche questo un test, ma per misurare la credibilità di Giorgia Meloni.