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di Monica Serra

La Stampa, 4 febbraio 2024

Tajani: “I legali chiedano l’applicazione della misura a Budapest”. Domani l’incontro tra il padre e i ministri di Giustizia ed Esteri. Almeno per tre volte, nel corso di quasi un anno in una cella del carcere di Budapest, tra “topi, scarafaggi e cimici nel letto”, i legali di Ilaria Salis hanno chiesto ai giudici ungheresi di concederle gli arresti domiciliari in attesa della sentenza. Una possibilità negata alla maestra brianzola, ex militante anarchica, soprattutto per via del “pericolo di fuga”. Perché in quel Paese, Salis non ha legami familiari e un luogo sicuro dove trascorrere i domiciliari.

Eppure, la decisione quadro del Consiglio d’Europa 829 del 2009 (recepita tanto dall’Italia quanto dall’Ungheria), vuole scongiurare proprio “il rischio di una disparità di trattamento tra detenuti che risiedono e detenuti che non risiedono nello Stato del processo: la persona non residente nello Stato del processo corre il rischio di essere posta in custodia cautelare in attesa di processo, laddove un residente non lo sarebbe”. Per questo, si legge ancora nel testo, “in uno spazio comune europeo di giustizia senza frontiere interne è necessario adottare idonee misure affinché una persona sottoposta a procedimento penale non residente nello Stato del processo non riceva un trattamento diverso da quello riservato alla persona residente”.

A partire da questo presupposto, la difesa di Salis punta tutto sulla “trattativa riservata” che è stata intavolata con il governo italiano, sempre più consapevole che quello della militante di sinistra stia diventando un caso diplomatico, al di là dei proclami a “non trasformarlo in un caso politico”, ribaditi anche dal titolare della Farnesina, il vicepremier Antonio Tajani che invita innanzitutto la difesa a “chiedere i domiciliari”, sostenendo che il governo non può sostituirsi a loro: “Dobbiamo operare in punta di diritto”. Proprio per provare a ottenerli, gli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini, col padre della trentanovenne, Roberto Salis, vorrebbero avere in mano un documento da allegare all’istanza che rassicuri i giudici, con tutte le misure di sicurezza che l’Italia adotterebbe per garantire i domiciliari dell’attivista nella casa brianzola, compreso il fatto che non si sottrarrà al processo: rischia vent’anni di carcere con l’accusa di aver aggredito alcuni neonazisti nel febbraio del 2022. Anche con questo obiettivo, si terrà domani un nuovo incontro del padre con Tajani e il ministro della Giustizia, Carlo Nordio.

Meno fiducioso è il legale ungherese della trentanovenne, Gyorgy Magyar, ex deputato di sinistra che si occupa di diversi oppositori politici del governo Orbán. In base alla prassi seguita dalle autorità giudiziarie ungheresi in casi analoghi, il legale ritiene che saranno disposte a concederle i domiciliari “solo dopo la sentenza” proprio perché Salis “non ha un domicilio nella capitale ungherese: nessun precedente è noto qui per una soluzione del genere”.

Grazie all’attenzione mediatica anche internazionale alla vicenda, sono un po’ migliorate le condizioni in cella della militante, che ribadisce di star male e chiede di poter tornare a casa. La magistratura ungherese sarebbe ora disposta ad assicurarle anche assistenza per permetterle di leggere tutti gli atti d’accusa in lingua italiana: una possibilità fino a oggi negata.

“La legge assicura il diritto a ogni imputato di usare la propria lingua madre durante il processo e conoscere tutto il materiale dell’indagine: diritto fin qui violato”, sottolinea l’avvocato Magyar. E nel materiale probatorio rientrano le testimonianze raccolte, gli esperti interpellati, le riprese delle telecamere di vigilanza che costituiscono la principale prova in mano ai magistrati. Materiale richiesto tra l’altro dal legale per “reagire subito e accelerare le cose”. Anche perché ritiene “discutibili” le stesse prove della “presenza di Salis alle aggressioni riportate nell’atto di accusa da un esperto di antropologia sulla base dei video a disposizione”.