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di Alessandro Grimaldi

La Stampa, 31 gennaio 2024

La denuncia delle Ong: dal sovraffollamento deriva anche il problema della violenza, difficile da far affiorare. Un ragazzo ungherese, arrestato per crimini legati alla tossicodipendenza, ancora in attesa di giudizio, cade dal letto in carcere. Si rompe il femore. Dovrebbe essere operato d’urgenza ma viene trasferito in ospedale solo 12 ore dopo la caduta. Ha una gamba più corta dell’altra, ma quando si risveglia sul letto di ospedale ha comunque un piede ammanettato al letto. La giurisdizione europea vorrebbe che in questi casi i famigliari stretti vengano avvisati appena possibile, ma la famiglia viene informata solo dopo 24 ore.

È una delle storie raccolte dal Comitato Helsinki Ungherese, l’Ong che si occupa del monitoraggio della situazione carceraria ungherese e che denuncia come l’Ungheria non abbia attuato le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo che stabiliscono violazioni dei diritti su larga scala riguardanti le condizioni di detenzione all’interno del Paese. La madre di tutti i problemi è il sovraffollamento delle carceri. Nell’istituto penitenziario di Gyorskocsi utca, che è anche il carcere delle detenzioni preventive, dove si trova Ilaria Salis, a fine ottobre 2023 si registrava una sovrappopolazione carceraria del 107%, 1.387 detenuti contro i 1.293 previsti. Secondo le statistiche Eurostat, nel 2021 nelle carceri ungheresi c’erano 191,38 detenuti ogni 100.000 abitanti, il numero più alto tra i Paesi Ue, quasi il doppio dell’Italia, 93,44.

“Il sovraffollamento delle carceri porta con sé serie conseguenze. Problemi igienici innanzitutto. Se le cimici del letto sono un problema riaffiorato in Europa negli ultimi anni, nelle carceri ungheresi la disinfestazione viene effettuata, ma poi i detenuti vengono fatti rientrare non nei tempi opportuni e il problema persiste” dice Lili Krámer, criminologa, responsabile nel Comitato Helsinki della situazione carceri ungheresi. Dal sovraffollamento origina anche il problema della violenza, difficile in verità da far affiorare per la protezione reciproca tra il personale carcerario.

Quando Orbán, già primo ministro nel 1998, torna al governo nel 2010, con la super-maggioranza dei 2/3 dei seggi in Parlamento che ha conservato anche nelle tre elezioni successive, riconferma molti dei suoi vecchi ministri tra cui agli Interni Sándor Pinter, figura grigia e mai sotto i riflettori, che ha poi mantenuto la stessa carica fino ad oggi. È Pinter che mantiene una delle grandi promesse della campagna elettorale di Fidesz, un inasprimento del codice penale che riempie subito le carceri ungheresi. Si finisce in prigione per furti, multe non pagate, e se ci sono di mezzo crimini violenti la pena raddoppiata al terzo crimine. La popolazione carceraria schizza alle stelle e serve a poco costruire nuovi istituti di pena se questi vengono subito riempiti, “è come avere una busta dove infiliamo sempre oggetti e non svuotiamo mai. Molto scarso è anche il ricorso alle pene alternative” dice Krámer. Anche vecchie carceri austroungariche, la più vetusta a Balassagyarmat ha circa 200 anni, restano in uso.

Altri problemi vengono dallo stigma sociale ancora legato al carcere, che fa accettare ad esempio l’uso inumano delle manette a mani e piedi, una soluzione ora praticamente onnipresente, ma prima molto più rara. È diventata frequente quando nel 2017 si verificò il caso di un tentativo di fuga una volta sciolti i polsi.

Nonostante una recentissima sentenza definitiva della Corte Europea, permane poi la presenza di un vetro di plexiglass durante i colloqui in molti istituti. È una decisione autonoma dei direttori. In teoria permessa solo in casi di evidente rischio di sicurezza, passaggio di oggetti e micro smartphone tra le parti. Stessa discrezionalità per il tempo di visita dei parenti richiesto dal pubblico ministero per timore di inquinamento delle prove. È quello che ha costretto Ilaria Salis a parlare per la prima volta con il padre solo dopo mesi dal fermo. Per due ore al mese.