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di Francesco Grignetti

La Stampa, 4 febbraio 2024

Il ministro: “Finché dura il processo in Ungheria non è possibile intervenire. Le nostre carceri sono sovraffollate, limitare la custodia cautelare. Con la riforma sarà un collegio di tre giudici a decidere la detenzione”. Bando all’ipocrisia, ai falsi miti e al politicamente corretto. Questo sembra essere il vero programma del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che vorrebbe stravolgere il sistema. Sul caso Salis, ad esempio, la giovane ammanettata e tenuta al guinzaglio, dice di avere provato “profondo dolore e sorpresa”. Ma aggiunge, malizioso: “Anche se ricordo che anni fa durante la tangentopoli veneta, un mio collega fece sfilare in manette due imputati in piazza San Marco a Venezia, dove avevamo gli uffici di Procura. Protestarono in pochi”.

Ministro, gli schiavettoni e la catena per il trasferimento dei detenuti in Italia sono stati aboliti 30 anni fa. Lo si può definire un trattamento degno degli standard europei o non è piuttosto un trattamento degradante e inumano?

“No, le misure di contenzione non sono state abolite, ma sono un’eccezione. Sul punto la normativa europea, e quella italiana, sono chiarissime: l’imputato appare libero davanti al giudice, salvo che quest’ultimo non disponga misure coercitive, come appunto le manette o le tristissime gabbie, per sventare pericoli di fuga o di violenze. Nel caso di Ilaria Salis non mi pare proprio che esistessero questi pericoli. Certo, in Italia non vediamo detenuti con i lucchetti anche alle caviglie”.

Qual è il margine di intervento del ministro della Giustizia in questa vicenda?

“Finché dura il processo, la giurisdizione ungherese è sovrana. Né il governo ungherese né tantomeno quello italiano possono intervenire. Immaginate cosa accadrebbe se io chiamassi un magistrato per raccomandare la sorte di un imputato. Si griderebbe, e giustamente, al sacrilegio. Il ministero della Giustizia, nel caso di cittadini italiani arrestati all’estero, non è titolare di alcun potere di intervento perché l’assistenza è affidata alla Farnesina. Il ministero della Giustizia interviene soltanto nel caso in cui vengano attivati, dagli interessati o dai loro avvocati, strumenti di cooperazione giudiziaria che prevedono atti delle Autorità centrali. Si può tuttavia operare sul fronte del trattamento penitenziario, affinché si rispettino le norme europee. Un veicolo importante è costituito dai garanti: giorni fa ho ricevuto il nuovo collegio, che può contattare il suo omologo ungherese. Se si vuole realmente ottenere un risultato concreto, l’esperienza suggerisce di agire con prudenza, senza sollevare polemiche che potrebbero irritare la controparte, e sortire l’effetto contrario. È quello che sta facendo il collega Tajani - con cui il confronto è costante - e il nostro governo. Al padre di Ilaria ho personalmente spiegato tutto nell’incontro dello scorso 23 gennaio. A lui ho comunque assicurato il nostro supporto e tornerò domani a fargli il punto della situazione”.

Era Voltaire a dire che il carcere è specchio della società. E allora anche l’Italia non è messa bene. Lei nei giorni scorsi ha ammesso il dolore per l’impennata dei suicidi in cella. Che fare per il sovraffollamento?

“Il sovraffollamento dipende dalla sproporzione tra il numero dei detenuti e le carceri disponibili: quindi o diminuiamo i primi o aumentiamo le seconde. Si può e talvolta si deve ricorrere alle misure alternative, che tuttavia dipendono dalla magistratura, e la loro applicazione spesso genera polemiche altrettanto violente quanto quelle della vicenda della Salis, come nel caso recente dell’omicida stradale che non ha scontato un giorno di carcere. Occorre infine incidere sulla carcerazione preventiva, che per molti imputati, poi assolti, si è rivelata ingiustificata. La nostra riforma ora al Senato, devolvendo a tre giudici, e previo interrogatorio, l’applicazione della custodia cautelare, ridurrà sensibilmente questo fenomeno che confligge con la presunzione di innocenza dettata Costituzione e dalla Ue”.

E per il disagio psichico, il sistema delle Rems è adeguato?

“Quello è il punto più dolente. No, non sono affatto adeguate. Stiamo lavorando alacremente con il concorso delle regioni per una collaborazione efficace tra giustizia e sanità, soprattutto sulla salute mentale in carcere. Con il ministero della Salute, concordiamo sulla necessità di una cabina di regia interministeriale sui temi della sanità penitenziaria, per adeguare i servizi alle mutate esigenze dell’utenza: negli anni anche i profili dei detenuti - e quindi anche i loro bisogni sanitari - sono molto cambiati”.

Intanto una mamma con un bimbo di appena un mese è finita in carcere a Torino. D’altra parte questo governo ha annunciato di voler cancellare una norma che risale addirittura al codice Rocco, giustificando, sia pure caso per caso, la detenzione per le donne incinte. La sua cultura garantista che cosa le suggerisce?

“Un neonato è un innocente per definizione. Ho seguito personalmente da subito la vicenda di Torino. Immediatamente la direzione del carcere ha chiesto lo spostamento di mamma e figlio nell’Istituto a custodia attenuata per madri e subito è stata individuata la struttura, a Torino. Lo spostamento è stato possibile ieri, non appena arrivata l’ordinanza del giudice competente”.

Finalmente a Grosseto ci sarà la prima trasformazione di una caserma dismessa in carcere. Quali altre città potranno essere interessate?

“Grosseto è già un risultato straordinario, e non solo per le Rems. Si tratta di un complesso di 40 fabbricati, di varie dimensioni, su un’area di 15 ettari. È l’inizio di un percorso virtuoso. In Italia abbiamo decine di edifici pubblici dismessi. Con meno burocrazia e tanta buona volontà potremmo avere migliaia di posti disponibili, a costi contenuti. Nel frattempo, sono stati già sbloccati dal ministero delle Infrastrutture 166 milioni per la ristrutturazione o l’ampliamento di istituti, come ad esempio quello di Brescia. Essenziale è recuperare spazi all’interno degli istituti per consentire le due attività che attenuano la tensione psicofisica delle persone: lo sport e il lavoro”.

In Cassazione, lei ha spiegato la necessità di una nuova cultura della giustizia riparativa, ma nell’opinione pubblica e nella politica c’è una diffidenza di fondo verso le pene alternative, percepite come impunità. Quale può essere il punto di equilibrio?

“Vi è una certa ipocrisia equamente distribuita su questo argomento. Una delle funzioni della pena, di cui però nessuno parla, è placare l’allarme sociale, e dissuadere la vittima, o i suoi parenti, dal ricorrere alla vendetta privata. Se ti ammazzano un figlio e il giorno dopo vedi l’assassino in piazza, il genitore può non comprendere ed essere tentato di farsi giustizia da sé. Quindi il punto di equilibrio, affidato alla saggezza del giudice, sta nel coniugare la pena alternativa con la gravità del reato. Ma poiché in Italia molti sono in carcere per reati minori, e magari sono prossimi alla liberazione, occorrerebbe valutare la possibilità di estendere a questi soggetti alcuni benefici. Già oggi le persone in esecuzione penale esterna- oltre 86mila - sono più numerose dei detenuti, circa 60mila. Infine, per i tossicodipendenti, che prima ancora di essere criminali sono dei malati, l’espiazione presso strutture differenziate, o comunità, sarebbe una buona scelta. Ci stiamo lavorando”.

È prossimo il voto del Senato su un ddl di riforma che porta il suo nome. Prevede l’abrogazione del reato di abuso di ufficio. Che cosa risponde a chi sostiene che si abolirebbe un reato-spia, prodromico alla corruzione?

“L’abuso finalizzato alla corruzione è assorbito in questo reato, che è punito molto gravemente. Ma l’abuso in quanto tale, cioè da solo, è esattamente il contrario della corruzione. Se un sindaco abusa del suo potere solo per il piacere di danneggiare qualcuno, il suo atto è illegittimo e dev’essere annullato dalla giurisdizione amministrativa, con l’eventuale risarcimento del danno del danneggiato. Non c’è ragione che venga sanzionato penalmente e lo confermano i risultati: più di cinquemila indagati all’anno e le condanne sulle dita di una mano. In 40 anni di Pubblico Ministero ho assistito a centinaia di questi processi: una perdita di tempo irragionevole, oltre ai costi in sofferenze, parcelle, e come è noto, la paura della firma”.

L’abrogazione del reato comporterà anche la cancellazione di oltre 3.000 condanne definitive. È un prezzo giusto da pagare a questa riforma?

“Questi numeri vanno verificati, e non ci risultano, Comunque sarebbero spalmati nell’arco di decenni, con condanne puramente platoniche, tutte sospese. Devo dire che è proprio un falso problema”.

Si accenna spesso a una bozza di Direttiva europea, a contrasto della corruzione, che imporrebbe agli Stati membri di sanzionare l’abuso di ufficio. Lei in Parlamento è stato tranchant verso quella bozza. L’ha definita una “scopiazzatura malfatta” della convenzione Onu di Merida. Questa sarà la posizione italiana nella discussione? E pensa, dai colloqui intercorsi fin qui, che altri Paesi si assoceranno a noi?

“Si tratta ancora solo di una proposta di direttiva, un embrione, su cui anche altri Paesi - come la Germania - hanno sollevato perplessità. La convenzione di Merida dice che gli Stati “prenderanno in considerazione” - “shall consider” - queste ipotesi di reato, compreso l’abuso di ufficio, ma non ne impone affatto la criminalizzazione, anche perché nei vari ordinamenti ha significati e contenuti diversi. Quello che interessa all’Europa è l’obiettivo, ossia la lotta alla corruzione: e su questo reato la nostra legislazione è forse la più severa di tutta l’Ue, sia come sanzioni sia come controlli preventivi”.

Lei ha definito “obsoleto” l’intero sistema dei reati contro la Pa. Ciò significa che il governo intende riscrivere anche i reati di corruzione e concussione?

“È obsoleto come è obsoleto gran parte del nostro codice penale che è datato 1930 ed è firmato da un dittatore. È strano che nessun antifascista militante sollevi il paradosso che oggi si condanna in base a un codice firmato da Mussolini e dal Re. Osservo incidentalmente che il codice di procedura penale, firmato da un eroe decorato della Resistenza, Giuliano Vassalli, è stato snaturato e stravolto. Sarà nostra cura rimetterlo bene in piedi”.

La riforma della prescrizione, a prescindere dal merito, imporrà alle corti di appello e alla Cassazione di riesaminare manualmente decine di migliaia di fascicoli. Di qui il grande allarme. Secondo lei sono preoccupazioni esagerate o c’è il rischio di rallentare i tempi del processo, vanificando lo strepitoso risultato dell’ultimo anno?

“La riforma della prescrizione era necessaria, perché quella di Bonafede confliggeva con i principi della ragionevole durata del processo, e quella di Cartabia incideva sotto l’aspetto puramente procedurale, creando problemi insolubili sul destino del reato, del suo autore e delle vittime. Certo, questo è un rimedio difficile. Se qualcuno ha delle soluzioni migliori, lo ascolteremo. Quanto ai risultati dell’ultimo anno, sono stati un traguardo non scontato, merito degli sforzi di tutti e per questo ho voluto ringraziare ogni operatore della giustizia. Ora vanno confermati”.

A breve, arriverà un suo provvedimento in senso garantista sugli smartphone sottoposti a sequestro. Cosa prevede e come saranno bilanciati il diritto alla privacy con le esigenze investigative?

“Questo è un problema nuovo e gigantesco, di cui pochi si sono resi conto. Sequestrare un cellulare non significa impossessarsi di una serie di conversazioni, ma dell’intera vita dell’indagato e peggio ancora degli altri. Perché nel nostro smartphone vi sono cartelle cliniche, consulenze finanziarie, immagini intime, ci può essere di tutto, non solo dell’indagato, ma anche di chi ha chattato con lui, e persino dei terzi che hanno comunicato tra loro, e poi hanno inoltrato i dati al detentore del cellulare sequestrato. È un’invasione mostruosa nelle vite di decine di persone che non c’entrano nulla con le indagini, e possono essere esposte al ludibrio collettivo. Tutto questo fino ad ora è possibile senza un provvedimento del giudice e senza alcuna distinzione tra i contenuti presenti nello smartphone. Interverremo presto contro questa devastazione dei principi minimi di etica e di civiltà, in ossequio anche ad una recente importante sentenza della Corte costituzionale soprattutto a tutela di comunicazioni, conversazioni e corrispondenza”.