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di Paolo Delgado

Il Dubbio, 7 febbraio 2024

Per Giorgia Meloni l’amicizia con Victor Orbàn e l’imminente ingresso dell’ungherese nella famiglia dei Conservatori europei, la stessa in cui alloggia al piano nobile Giorgia, vale più del caso Salis. Molto di più e il governo lo ha dimostrato non a parole ma con i fatti. La marcia indietro del ministro della Giustizia Nordio è stata repentina e clamorosa. Nessuna richiesta governativa di arresti domiciliari per Ilaria Salis: ci pensassero i legali dell’imputata hanno suggerito esplicitamente al padre della detenuta in via Arenula. Intervenire a livello ufficiale suonerebbe come intromissione indebita nella dinamica della giustizia ungherese, poi i detenuti italiani all’estero viaggiano intorno ai 2.500, se intervieni per una lo devi fare per tutti.

Sono scuse. La realtà è che la premier italiana, in un momento delicato, non vuole nubi gravanti sul rapporto con Orbán: basta e avanza quella non dissipata della guerra in Ucraina. Probabilmente c’è però anche di più. Il caso è brandito dalla sinistra, in Italia ma anche a Strasburgo, per prendere di mira non solo l’Ungheria ma l’intera destra europea, a partire da quella che sarà presto la principale compagna di Orbán nell’Eurogruppo, la premier italiana. Per Meloni si profilava insomma una classica partita lose-lose.

Attaccare l’Ungheria le avrebbe consentito di far bella figura in Europa, danneggiando però la metodica costruzione di un gruppo europeo molto forte, nel quale non è più del tutto escluso che finisca per confluire anche il Rassemblement National di Marine Le Pen. Evitare frizioni con l’alleato Victor equivale a esporsi alle accuse di essere ella stessa poco democratica. Ma siccome quelle accuse sarebbero state mosse comunque la premier ha deciso di non esporsi troppo e casomai di lavorare discretamente nella speranza di ottenere comunque un risultato che garantisca l’interesse del governo per gli italiani nel mondo. Anche se rivali politici, di sinistra e sotto processo.

Criticare questa posizione del governo italiano, così come tutto lo scarsissimo interesse dimostrato per il caso nel corso di 11 lunghi mesi non è solo comprensibile. È giusto. Brandire la civiltà giuridica europea contro un Paese che pur essendo europeo non la rispetta né poco né punto è sacrosanto. Il guaio che queste critiche, quando sono mosse dal Pd o peggio dai 5S, sono viziate e depotenziate da una palese e macroscopica ipocrisia.

La civiltà giuridica di un Paese o di un continente non si calibra sulla gravità del delitto. La tortura è tortura anche se applicata solo nei casi di gravi imputazioni. L’Italia che rimbrotta aspramente l’Ungheria è un Paese dove è in vigore una forma riconosciuta dall’Unione europea come forma di tortura, quell’art. 41bis del quale il Pd è strenuo difensore. Undici mesi di carcerazione preventiva per Ilaria Salis sono un’aberrazione. Oltre vent’anni di detenzione in regime di 41bis per Nadia Lioce anche. Lo sono anzi un po’ di più.

Non risulta peraltro che nessuno, neppure dai civilissimi spalti del Pd, abbia mai chiesto scusa alla famiglia di Paolo Signorelli che prima di essere assolto da tutti i capi d’accusa di anni di galera se ne era fatti preventivamente una dozzina. Le manette in pubblico sono un bruttissimo spettacolo. Gli italici schiavettoni pure. Chiedere una condanna a 11 anni di carcere per un pestaggio suona esageratissimo. Comminarne 8 per una manifestazione di protesta, pur se violenta contro le cose come l’occupazione della sede della Cgil, non è diverso. Le condizioni di vita nelle carceri ungheresi gridano vendetta. In quelle italiane, l’anno scorso, hanno spinto al suicidio 84 detenuti ma quest’anno andrà peggio: in meno di 40 giorni i suicidi sono già 15 ma l’associazione Antigone ne conta 29.

Al governo c’è la destra ma quella che dovrebbe essere la controparte, quella civile e attenta alle garanzie, non si è differenziata in nulla. Fa muro in difesa della tortura definita 41bis. In anni di governo ha lasciato le carceri nelle attuali condizioni, e non è affatto certo che quelle ungheresi stiano messe peggio. Ha plaudito alla condanna esorbitante per l’assalto alla Cgil con la stessa passione con cui s’indigna per la pena chiesta contro Ilaria Salis. È in questo humus che la barbarie di Orbán cresce rigogliosa, e senza decidersi a deporre ipocrisia e propaganda gli strepiti, in sé giusti anzi necessari, serviranno a poco.