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di Dacia Maraini

Corriere della Sera, 4 aprile 2023

Oggi, dopo anni di pace e di scambi che sembravano comportare una convivenza globale, probabilmente per reazione ai cambiamenti climatici, alla crisi economica, alla siccità, alla fame, alle pandemie, assistiamo alla nascita di una ondata di insofferenza contro tutto e contro tutti.

Stiamo vivendo un momento difficile e pericoloso. Tira aria di guerra e l’umore della gente diventa ogni giorno più insofferente e litigiosa. Come se ci fosse una licenza generale a tirare fuori il peggio di sé. Il che certamente può procurare una soddisfazione egoistica, ma è un modo pericolosissimo di evadere dal senso di responsabilità. Mai come ora ci rendiamo conto che i popoli sono legati da vincoli sotterranei che come gli alberi nelle foreste, pur sembrando isolati, in realtà comunicano segretamente attraverso un linguaggio profondo e silenzioso. Se si pensa al Quarantotto per esempio, non viene in mente un solo Paese ma tutta una rete di città che si sono svegliate inaspettatamente alla protesta popolare. Ancora di più se si riflette sul Sessantotto: un fenomeno che ha toccato le parti più lontane del globo, dall’America alla Cina. Comincia con i movimenti antiautoritarii del 64, e il fuoco prende a infiammare gli animi più diversi e lontani. Così oggi, dopo anni di pace e di scambi che sembravano comportare una convivenza globale, probabilmente per reazione ai cambiamenti climatici, alla crisi economica, alla siccità, alla fame, alle pandemie, assistiamo alla nascita di una ondata di insofferenza contro tutto e contro tutti.

Germoglia spesso da una protesta specifica, ma poi diventa una rivolta anarchica autodistruttiva e tende a travolgere ogni cosa, soprattutto le istituzioni. Ma le istituzioni sono alla base della democrazia, sempre che siano autonome e possano controllarsi l’un l’altra. Alternative non ce ne sono, salvo che non si voglia accettare un regime autocratico, o una dittatura militare.

Per questo dobbiamo temere le conseguenze di uno scontento senza ragioni comprensibili che, come sta succedendo in molte parti del mondo, porta alla caduta dei governi democratici e alla scivolata verso l’autoritarismo. Credo sia chiaro a tutti che non ci possa essere democrazia senza istituzioni autonome e libere. La storia ci insegna che la voglia di buttare all’aria ogni ordine sociale porta a rigidezze poliziesche e richiesta di freni sociali.

Ciò non vuol dire che le proteste di strada siano tutte sbagliate, ma in questo momento si assiste a una strumentalizzazione delle migliori intenzioni per gettare all’aria la logica e la convivenza pacifica. Tira un’aria inquietante di sgombero, ma uscire da una casa senza averne un’altra vuol dire finire sotto i ponti. È questo che vogliamo?