di Marcello Sorgi
La Stampa, 15 settembre 2024
Mai, forse, neppure ai tempi di Berlusconi - che comunque alla fine accettò ed espiò la sua condanna - lo scontro tra governo e magistratura aveva toccato punte così alte. Ed è la presidente del consiglio, non direttamente interessata al processo di Palermo, a difendere il suo vice, che dopo le richieste della pubblica accusa rischia ora una pena molto pesante, di sei anni. Talmente dura da chiedersi se davvero, da condannato, potrebbe tranquillamente continuare a svolgere il suo compito nell’esecutivo. All’epoca dei fatti - governo gialloverde Conte 1, Salvini ministro dell’Interno, talmente convinto di avere nelle vele il vento dell’opinione pubblica che pochi mesi dopo farà saltare il banco nella tragicomica crisi del Papeete - Meloni era all’opposizione. Il centrodestra, che per un soffio non aveva vinto le elezioni nel 2018, si era spaccato, con il leader della Lega che aveva sentito il richiamo della sirena populista ed era andato all’abbraccio dei 5 stelle. Con quali risultati, a partire dalla procedura d’infrazione europea per la mancata correzione dei conti, lo si ricorderà. E con una gara tra il Capitano leghista e l’allora capo politico pentastellato Di Maio a chi faceva la faccia più feroce contro i migranti naufraghi nel Canale di Sicilia.
Se non fosse già così lunga la catena dei morti e del dolore, che si allunga ai tempi del governo attuale - basti solo un esempio: Cutro - si può dire che gli interventi della magistratura e della Guardia costiera in molti casi sono serviti soprattutto a limitare il numero delle vittime. La premier ieri nel post in cui ha difeso Salvini, facendo sua la posizione dell’ex-responsabile del Viminale imputato, ha detto che i magistrati non possono impedire al governo di espletare il proprio mandato popolare. Ma è da vedere che anche il cittadino più contrario all’immigrazione clandestina lo sia a tal punto da mettere in conto l’annegamento di donne e bambini, com’è purtroppo avvenuto troppo spesso negli ultimi anni. Oppure che preferisca la deportazione in catene dei clandestini in un Paese straniero, come prevede il progetto Albania di Meloni.
Naturalmente, da un punto di vista pratico, nulla cambia per i magistrati di Palermo che devono giudicare Salvini. La giustizia farà il suo corso e in un tempo ragionevole il vicepresidente del consiglio riceverà la sua sentenza. Ciò che invece seguirà le parole della premier sarà un deciso peggioramento dei rapporti tra governo e magistratura, già incrinati dal progetto di separazione delle carriere del ministro Nordio, e dall’impossibilità di qualsiasi interlocuzione sulla riforma, destinata a influire in modo determinante sul ruolo e sul lavoro delle toghe.
Nel giro di pochi giorni, dopo un’estate niente affatto tranquilla in cui d’improvviso hanno fatto irruzione i boatos non confermati su un’inchiesta su Arianna Meloni, sorella della premier, e le dimissioni del ministro Sangiuliano per le accuse di una sua mancata consulente, coinvolta in un turbinoso affaire di cuore, anche ieri la giornata era stata segnata dall’esplosione dello scontro tra il ministro Crosetto e i vertici dei servizi di sicurezza. Vicenda assai delicata, che il sottosegretario Mantovano e lo stesso Crosetto hanno provato a silenziare. Ma anche qui: un tale conflitto tra l’esecutivo e gli apparati di sicurezza che avrebbero il compito di proteggerlo non s’era mai visto. La sensazione insomma è quella di un governo che si getta a capofitto contro ogni ordine e corpo separato dello Stato, non appena ha la sensazione, solo la sensazione, che voglia o possa rallentare la sua marcia. Questa tendenza al conflitto, questa voglia di guerriglia quotidiana mal si conciliano con il consenso stabile o crescente confermato dai sondaggi verso Meloni e il destra-centro Così che viene da dire: calma! Nessuno ignora la difficoltà del lavoro della premier e dei ministri Salvini e Crosetto, né intende sminuirla. Ma non pensano che il compito principale di un governo sia di dare un po’ di serenità al proprio Paese?