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di Clemente Pistilli

La Repubblica, 3 agosto 2023

A due anni e mezzo di distanza dall’uccisione dell’imprenditore non è ancora stata fatta giustizia. I familiari si sono opposti alla richiesta di archiviazione ed è stata fissata un’udienza.

Non è finita. C’è ancora possibilità di ottenere giustizia per la morte di Luca Ventre, l’imprenditore ucciso all’interno dell’ambasciata italiana a Montevideo, in Uruguay, il primo gennaio 2021.

La madre e i tre fratelli della vittima si sono opposti alla richiesta di archiviazione delle indagini fatta dal sostituto procuratore della Repubblica di Roma, Sergio Colaiocco, e il gip Anna Maria Gavoni ha fissato un’udienza per il prossimo 27 settembre. Il giudice dovrà decidere se archiviare, disporre nuove indagini o ordinare alla Procura di formulare l’imputazione per l’indagato, al fine di chiederne il rinvio a giudizio.

Il 35enne Luca Ventre, romano d’origine, due anni e mezzo fa entrò nell’ambasciata scavalcando il muro di cinta, dopo aver citofonato invano. Era spaventato, venne bloccato a terra da uno dei vigilantes e spirò dopo essere stato trasportato in ospedale. Per gli inquirenti uruguaiani non si è trattato di omicidio e l’imprenditore sarebbe morto non perché soffocato, ma causa di uno stato “iperadrenergico causato dall’eccitazione psicomotoria, associata al consumo di cocaina, con le ripercussioni elettrofisiologiche a livello cardiaco, avvenute in un contesto di misure di contenzione fisica”. Ma per la Procura di Roma, che ha indagato la guarda giurata Ruben Eduardo Dos Santos Ruiz con l’accusa di omicidio preterintenzionale, il 35enne è invece stato soffocato.

Il sostituto procuratore Colaiocco precisa infatti che l’autopsia eseguita in Italia ha stabilito che Luca Ventre “è morto per asfissia meccanica violenta ed esterna per una prolungata costrizione del collo che provocò l’ipossia cerebrale, dalla quale derivarono il grave stato di agitazione psicomotoria e l’arresto cardiaco irreversibile, non potendosi escludere una concausalità nell’azione della cocaina”.

Il magistrato ha anche aggiunto di aver raccolto “elementi più che sufficienti a sostenere in giudizio la responsabilità dell’indagato”. Perché dunque la richiesta di archiviazione? Il sostituto Colaiocco sostiene che vi è un “problema di procedibilità in Italia del delitto di omicidio commesso all’estero da uno straniero in danno di un cittadino italiano”, in quanto per esercitare l’azione penale il reo dovrebbe essere presente sul suolo nazionale e Ruben Eduardo Dos Santos Ruiz non si è mai recato in Italia. L’omicidio è però avvenuto all’interno di un’ambasciata italiana e dunque su suolo italiano. Occorrerà vedere se quest’ultimo particolare consentirà di arrivare a un processo per l’uccisione del 35enne.