di Paolo Mastrolilli
La Repubblica, 29 gennaio 2023
Biden: riformiamo la polizia. I 5 poliziotti agenti dalle telecamere sono stati già puniti: licenziati e incriminati per omicidio. Le proteste ci sono state, da New York a Los Angeles, ma per la maggior parte pacifiche, tranne qualche arresto. I cinque poliziotti responsabili della morte di Tyre Nichols sono stati subito licenziati, e poi incriminati per omicidio, in attesa ora del processo. L’America ha condannato e il presidente Biden ha definito la tragedia di Memphis “oltraggiosa”, promettendo di rimettere mano alla riforma delle forze dell’ordine, senza però abolirle o privarle dei soldi di cui hanno bisogno per esistere. È possibile, allora, che la morte di un ragazzo nero di 29 anni preso a pugni e calci diventi il nuovo paradigma per risolvere l’emergenza razziale, e quella delle violenze insensate delle varie polizie negli Usa?
Magari sì, perché il progresso in questo Paese è sempre passato attraverso prove dolorose e sanguinose, dalla Guerra Civile agli omicidi di leader come Martin Luther King. A patto però di tenere presente che proprio il razzismo potrebbe essere alla base della reazione diversa da quelle seguita al soffocamento di George Floyd a Minneapolis, e di non dimenticare che in Stati come la Florida il governatore DeSantis ha appena abolito i corsi scolastici per l’approfondimento della storia degli afroamericani, perché è meglio non imbarazzare i giovani studenti bianchi ricordando che i loro avi avevano costruito il Paese sulle spalle degli schiavi trascinati qui in catene dall’Africa. Tyre era un ragazzo di 29 anni, che viveva a Memphis e lavorava alla FedEx. Il 7 gennaio stava tornando a casa dalla madre in auto, quando gli agenti dell’unità Scorpion lo avevano fermato per una violazione del codice della strada. Lo avevano massacrato di botte e il 10 gennaio era morto in ospedale.
Venerdì sera la polizia ha pubblicato quattro video di oltre un’ora, ripresi dalle telecamere di sicurezza nella strada e da quelle indossate dagli agenti. L’America li ha guardati, attonita. I cinque poliziotti responsabili dell’assalto, Tadarrius Bean, Demetrius Haley, Justin Smith, Desmond Mills ed Emmitt Martin, hanno sostenuto che Tyre aveva cercato di rubare le loro pistole, ma di questo nelle immagini non c’è traccia. Invece si vedono loro che lo trascinano fuori dall’auto. Lui non resiste: “Ok, sono a terra”. Ma gli agenti continuato a strattonarlo: “Non ho fatto nulla”. Ma un poliziotto urla: “Tase him! Tase him!”, colpitelo con le scosse della pistola elettrica. Tyre ripete: “Sono a terra. Ragazzi, state facendo troppa roba ora. Io sto solo cercando di andare a casa”. Gli spruzzano un liquido urticante e lui cerca di scappare. Lo riprendono e inizia il pestaggio. Un polizotto urla: “Adesso ti bastono a morte”. E lo fa. Altri lo prendono a calci e pugni, mentre Tyre urla e chiede aiuto alla mamma. Finché sviene, le mani legate dietro la schiena.
Il video è difficile da guardare e ieri sera ha scatenato cortei in tutto il paese, a partire dal blocco del ponte sull’autostrada I-55 di Memphis. La famiglia di Nichols aveva chiesto di protestare in maniera pacifica, ed è stata accontentata. Ma perché? Benjamin Crump, avvocato dei diritti civili, ha commentato: “Mai vista una giustizia così veloce. È il paradigma per il futuro, che i poliziotti siano neri o bianchi”.
Messaggio sott’inteso: forse stavolta la giustizia è stata così veloce solo perché i colpevoli erano afroamericani, come la vittima. Se fossero stati bianchi magari erano ancora liberi, e i manifestanti avrebbero messo la città a ferro e fuoco. E poi sarà vero che stavolta la razza non c’entra perché i protagonisti erano tutti neri?
Il professore Shaun Harper della University of Southern California ha scritto che non è così, perché il pregiudizio contro gli afroamericani è così radicato nelle forze dell’ordine, che viene fatto proprio anche dagli agenti neri. Ma vista la storia recente, non dovremo aspettare molto per capire se qualcosa cambia sul serio.