di Giovanni Bianconi
Corriere della Sera, 11 febbraio 2023
A maggio scorso Alfredo Cospito fu sottoposto al “41 bis” perché dalla prigione in cui era rinchiuso “istigava” gli anarco-insurrezionalisti in libertà a compiere nuovi attentati. Il “carcere duro” gli ha precluso questa possibilità, ma ora è lo sciopero della fame contro quel regime detentivo (portato avanti da oltre no giorni) a fomentare i suoi compagni.
E questo, secondo il ministro della Giustizia Carlo Nordio è il motivo per cui il “41 bis” non può essere revocato. C’era la strada alternativa indicata dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo - l’Alta sicurezza con “ulteriori opportune forme si controllo”, in grado di garantire l’incomunicabilità con l’esterno ma disinnescando le ragioni della protesta, e dunque il pericolo di nuove violenze - che però il Guardasigilli non ha voluto percorrere.
Imboccando quello che al momento sembra un vicolo cieco, stando alle parole dell’avvocato Flavio Rossi Albertini, difensore di Cospito: “Lo do quasi per scontato che muoia, per quanto mi riguarda sono settimane che considero imminente il tracollo. Anche a sentire i medici Alfredo dimostra di avere una tempra particolarmente forte, ma che l’esito di questa vicenda sia la sua fine mi sembra scontato”.
Conclusione che nessuno si augura. Anche perché pure da morto, proprio seguendo il ragionamento ministeriale che ha confermato il “carcere duro”, l’anarchico non cesserebbe di essere una minaccia. A conferma del vicolo cieco in qualche modo illustrato nel provvedimento firmato da Nordio. Quello che conta in questo momento, sostiene il Guardasigilli, non è il possibile “concorso” del detenuto “nelle singole azioni violente e intimidatorie” commesse fuori dal carcere (che pure sono “incontestabile conseguenza delle sue indicazioni ideologiche”), bensì “la sua capacità di orientare le iniziative di lotta verso strategie e obiettivi sempre più rilevanti”.
Dimostrata proprio dallo sciopero della fame, “forma di protesta tradizionalmente non violenta che invece, nel caso di specie, ha assunto un significato assolutamente opposto”. Dopo che Cospito ha pronunciato la frase “il corpo è la mia arma”, si sono moltiplicate gli attentati compiuti in segno di solidarietà con la sua ribellione al provvedimento, e il ministro accusa: “Ciò rappresenta una ulteriore dimostrazione non solo della estrema pericolosità di Cospito, ma anche della persistente, e anzi aumentata, possibilità che egli mantenga contatti con una vasta area di gruppi collegati all’ideologia anarco-insurrezionalista”.
Secondo il Guardasigilli “proprio il succedersi di eventi critici legati indubitabilmente alla galassia anarco-insurrezionalista” di cui il detenuto fa parte, cioè le proteste di piazza e le azioni violente a suo sostegno, “aumenta il rischio di collegamento operativo del detenuto con la sua associazione criminale di riferimento”.
Un pericolo che può essere “contenuto” - secondo il provvedimento in cui Nordio cita il parere della Procura generale di Torino, ma non quelli della Procura distrettuale e della Dna - solo con il mantenimento del “41 bis”.
L’avvocato Rossi Albertini lamenta che il ministro non sia entrato nel merito delle contestazioni contenute nella sua istanza di revoca, e ritiene che “il rigetto non sia scevro da condizionamenti esterni di tipo politico”; annuncia un nuovo reclamo al tribunale di sorveglianza di Roma, nel quale però nutre scarsa fiducia; considera l’accusa di “istigare una galassia” talmente fumosa da diventare un pretesto per zittire il proprio assistito, e cita le sue parole: “Hanno deciso di tumularmi dentro un sarcofago di cemento”.
Il prossimo passo è l’appuntamento alla Corte di cassazione, dove il 24 febbraio si terrà l’udienza per discutere il ricorso dello stesso avvocato contro il diniego della Sorveglianza pronunciato a dicembre. L’ex senatore Luigi Manconi, promotore di una campagna d’opinione in favore di Cospito, si augura che in caso di annullamento di quel diniego il ministro torni sui suoi passi revocando il “41 bis”, che il difensore dell’anarchico considera l’unica possibilità per far cessare il digiuno del suo assistito: “Non accetterebbe né l’alimentazione forzata né la sospensione temporanea della pena per motivi di salute”. Ma Nordio ha già interpellato il Comitato nazionale di bioetica per chiedere come comportarsi con un detenuto che metta volontariamente a rischio la propria vita.