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di Michela Marzano

La Stampa, 25 aprile 2022

È così difficile pronunciare le parole “gestazione per altri”? Perché, quando si parla di questa pratica, non si riesce semplicemente a nominarla per ciò che è, e si deve per forza connotarla negativamente utilizzando espressioni come “utero in affitto” o “maternità surrogata”?

Il problema è che c’è chi ha deciso di strumentalizzare questa pratica, mettendo sul ventre delle donne il cartello “affittasi”. C’è chi non sa nemmeno di cosa si stia esattamente parlando, e che però pontifica. Come Giorgia Meloni che, trionfante dopo il voto in Commissione Giustizia sulla propria proposta di legge che prevede di perseguire come reato universale la gestazione per altri, ha dichiarato: “È una pratica che trasforma la vita in merce e umilia la dignità della donna”. Vorrei tanto che l’onorevole Meloni, e tutti coloro che hanno votato questa legge, mi dicessero con chi hanno parlato, con quali donne sono entrate in contatto, con quanti bambini nati per Gpa hanno mai giocato. Conoscono la realtà oppure imbastiscono odio sul nulla? Sanno chi diventa padre o madre utilizzando questa pratica oppure vanno avanti per stereotipi?

Conoscono le modalità attraverso cui viene portata avanti la gestazione per altri e vengono tutelate le donne oppure si basano sui “si dice” e generalizzano lo sfruttamento di alcune donne in certi parti del mondo? Se vogliamo dirla tutta, anche pratiche universalmente osannate come il dono degli organi, in alcuni paesi, diventano sfruttamento, aggressione, rapimento e omicidio. Prima di parlare di “battaglia di civiltà”, come hanno fatto alcuni deputati di destra, bisognerebbe forse capire quale civiltà voglia promuovere Giorgia Meloni. Lei che si vanta di essere donna, madre, cattolica, italiana, si è mai chiesta come vivono il proprio essere donne, madri, non-madri, cattoliche o atee, le altre donne?

Vorrei raccontare all’onorevole Meloni la storia di C., che ha portato nel proprio grembo J. e O., due bellissimi bambini che vivono oggi con due papà. C. non è un esempio astratto, è una donna in carne e ossa, che vive negli Stati Uniti con il marito e due figlie e ha un ottimo lavoro. Ma C. ha anche deciso di portare avanti alcune gravidanze, e permettere così anche ad altre persone, che non potevano altrimenti avere figli, di diventare genitori. Lo ha fatto per guadagnare più soldi, ma anche per convinzione. Lo ha fatto per pagare l’università negli Usa alle figlie, ma anche perché è convinta che il proprio gesto è altruistico, generoso. Come mi ha detto di recente uno dei due papà di J. e O: “Ciò che C. ha fatto per la nostra famiglia non ha prezzo. Che prezzo potrebbe d’altronde avere la cura con cui C. ha portato avanti la gravidanza dei due nostri figli? Le sarò per sempre grato di avermi dato la possibilità di diventare papà”.

Le piace questa storia onorevole Meloni? Oppure sta pensando che è una storia inventata che, con la realtà, non c’entra affatto. Oppure è lei che parla di qualcosa che non conosce? Perché io, che mi occupo di etica e che questa pratica non solo la studio, ma la conosco personalmente, le posso dire che il problema è nelle modalità in cui viene vissuta, e non nella Gpa in sé.

E se la legge l’avessi scritta io, invece di parlare della gestazione per altri come di un reato universale, avrei proposto di renderla legale, ma a certe condizioni. Avrei proposto la gratuità, come accade quando si dona un organo. Ma avrei anche chiesto un accompagnamento medico e legale per ogni donna. E se qualcuno pensa che, a queste condizioni, non ci sarebbe nessuna donna disposta a portare avanti una gravidanza per qualcun altro, gli risponderei che sbaglia, che c’è chi dona gratuitamente un rene o un pezzo di fegato, c’è chi dona costantemente tempo e amore, c’è chi dona persino la vita senza chiedere nulla in cambio.

Ma per capire il valoro del dono, bisognerebbe essere capaci di guardare in faccia questi uomini e queste donne che diventano papà o mamma grazie a una gestazione per altri, bisognerebbe poter percepire la loro gratitudine per ciò che non considerano un diritto, ma una grazia, bisognerebbe avere il coraggio di passare qualche ora con i loro figli e rendersi conto che loro, sin da piccoli, sanno bene che è grazie alla generosità di una (o un’altra) donna che sono nati. Bambini che non hanno niente di una merce. E che necessitano invece un quadro giuridico capace di proteggerli, così come sono protetti gli altri bambini, compresa la figlia dell’onorevole Meloni.

Quanto all’egoismo dei loro genitori, cui si continua a far riferimento, inviterei ancora una volta alla cautela. Visto che la paternità e la maternità sono sempre complesse e, permettetemi di dirlo, quasi mai frutto di un gesto altruistico. Quante sono le persone che hanno figli perché è così che si fa, oppure capita, oppure li vogliono con la stessa forza con cui si può volere un cane o un gatto? La genitorialità vera, d’altronde, ha ben poco a che vedere con il Dna o il sangue, ed è quel legame che si stringe con un figlio (biologico o meno) quando ci si assume la responsabilità di accoglierlo, riconoscerlo, amarlo, accudirlo, talvolta anche sgridarlo.