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di Alessia Candito

La Repubblica, 28 luglio 2022

“Papà sei il mio leone, presto ci riabbracceremo”, scriveva il ragazzo. La donna non voleva che seguisse le sue orme, ma il ragazzo era ossessionato dalla figura del genitore, arrestato nel 2018.

Per lui il padre, da anni in galera, era “un leone”. E quell’immagine se l’era tatuata anche sul braccio, facendosi ritrarre cucciolo, da proteggere adesso, ma destinato in futuro a essere come il genitore. “Il mio pilastro”, scriveva sui social. “A breve ci riabbracceremo”, diceva. E quando la madre, per l’ennesima volta, gli ha chiesto di troncare quel rapporto, minacciando un trasferimento, ha reagito. Male, come sempre. Ma lunedì sera non ci sono state solo urla o spinte, è spuntata anche una lama.

È con quella che il figlio quindicenne ha ucciso Valentina Giunta, colpendola anche quando gli ha dato le spalle, magari per proteggersi o per tentare la fuga. Ne sono certi gli investigatori della squadra mobile che, per ordine della procura per i minorenni di Carla Santocono, hanno fermato il ragazzo a poco più di 36 ore dall’omicidio della madre. A inchiodarlo, anche dei vestiti sporchi di sangue e qualche parziale ammissione, scappata di bocca quando è stato rintracciato.

Non era nell’appartamento in cui Valentina Giunta viveva con il fratello più piccolo. Ma quella sera è stato lì. Lui e la madre hanno urlato. Qualcuno ha sentito, ha capito che stava succedendo qualcosa di grave. E ha chiamato la polizia, ma senza identificarsi. Gli investigatori ipotizzano sia stato un familiare della donna, forse la sorella, ma toccherà alle indagini accertarlo.

Nel quartiere San Cristoforo, a Catania, nessuno parla. Geograficamente non è periferia, dista meno di dieci minuti a piedi da via Etnea e dal centro. Ma è ghetto esistenziale, zona di vecchie e nuove povertà, dove la comunità di Sant’Egidio, durante la pandemia, ha visto più che raddoppiare i beneficiari dei pacchi alimentari. Prima che finisse in carcere per una storia di auto rubate e ricettate, come di “sgarbi” a cui si rimedia pistola alla mano, San Cristoforo era il regno di Angelo, il “genitore-eroe” dell’adolescente fuggito via mentre la madre agonizzava.

È stata trovata in fin di vita, con addosso un rosario di ferite, fra la schiena e il collo. Subito le indagini si sono indirizzate sulla pista familiare. Con l’ex compagno la donna non aveva una relazione serena, ma è stato subito escluso dalla rosa dei sospetti: mentre Valentina Giunta veniva uccisa, lui era nella cella in cui è da tempo detenuto.

I due sono stati insieme per anni, il primo figlio lo hanno avuto da adolescenti, il secondo è arrivato quando lei aveva poco più di vent’anni. Poi sono ci sono state le violenze e i maltrattamenti, per cui la donna aveva denunciato Angelo, salvo poi ritirare la querela. E gli anni di incontri solo dietro il vetro del parlatorio del carcere, che Valentina Giunta tollerava solo per accontentare quel figlio adolescente, quasi ossessionato dalla figura del padre. “Non ti abbandonerò mai”, prometteva il quindicenne post dopo post sui social. “Saremo invincibili”.

La madre si è stancata. Di quella vita e di quella forma di venerazione che ha iniziato a combattere frontalmente. E contro di lei il ragazzo è diventato “rabbioso, aggressivo”, dice chi li conosceva.

Per il 15enne esisteva solo la famiglia paterna: il nonno che con il papà operava gomito a gomito e che con lui è finito in carcere; la nonna che definiva “la donna della mia vita”. Alla madre, sulle sue bacheche social, soltanto qualche velenoso accenno. Affetto e devozione erano solo per il padre, a cui prometteva: “Arriverà il nostro momento”. Ma se il giudice per le indagini preliminari dovesse convalidare il fermo, potrebbe non essere tanto presto.