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di Nicola Munaro

Il Gazzettino, 19 settembre 2023

Si era tolto la vita in cella dopo un’ordinanza di custodia cautelare per fatti risalenti al 2018. “Bob” è un pupparino azzurro-giallo restaurato dalla Remiera Serenissima e che solcherà le acque della laguna. Porta il soprannome con cui i colleghi di lavoro chiamavano Bassem Degachi, il trentottenne tunisino che il 6 giugno si è impiccato in cella dopo aver ricevuto un’ordinanza di custodia cautelare per fatti di spaccio in via Piave del 2018. Quelle carte erano rappresentavano per lui - già in semilibertà - un macigno insormontabile che calava sull’orizzonte di una nuova vita fuori dal carcere ormai vicina fatta, anche, di un lavoro in remiera.

La stessa remiera che sabato ha voluto dedicargli l’imbarcazione con una cerimonia alla quale, oltre alla moglie di Bassem, Silvia, ha partecipato anche il garante dei detenuti, l’avvocato Marco Foffano: era stato lui ad accompagnare Bassem alla Serenissima la prima volta e a condividere preoccupazioni e prospettive.

Una scelta, quella di dedicare al trentottenne tunisino il pupparino rimesso a nuovo grazie al lavoro di Bruno Menin, che “ha un grande significato per noi e ci permetterà di ricordarlo ogni volta che il Pupparin attraverserà le acque della nostra laguna” ha spiegato il presidente della Remiera Serenissima, Alberto Olivi.

Ed è stata la moglie Silvia - dopo aver ricevuto un mazzo fiori rosso e bianco, a richiamare i colori della Tunisia, a sollevare il gonfalone di San Marco che copriva il nome, quel “Bob” con cui tutti in cantiere chiamavano Degachi. A chiusura della cerimonia, con il pupparino in fondamenta pronto al suo battesimo d’acqua, una socia della Remiera ha raccolto le firme di tutti i colleghi di lavoro e degli iscritti all’associazione in un foglio dedicato a Bob, che è stato piegato a forma di barchetta, inserito un fiore e lasciato vagare nella laguna.

Per i carabinieri che ne avevano chiesto l’arresto a cinque anni di distanza dai fatti (anni quasi tutti passati in carcere da Bassem per scontare un’altra condanna, sempre per droga, ormai alla fine) il trentottenne tunisino era ritenuto il polo attorno al quale ruotava lo smercio di droga. Dopo aver chiamato la moglie per salutarla un’ultima volta, si è tolto la vita. L’inchiesta della procura ha certificato che il 6 giugno Bassem era rimasto da solo in cella un’ora, tempo trascorso tra le chiamate della donna in carcere per avvertire gli agenti e il suo ritrovamento. Sessanta minuti nei quali nessuno degli agenti in servizio quel giorno sarebbe andato a controllarlo, nonostante la moglie per tre volte avesse chiamato la guardiola del penitenziario di Santa Maria Maggiore dicendo che il marito l’aveva chiamata per salutarla un’ultima volta, annunciandole di volersi uccidere.

Come chiesto dall’avvocato Marco Borella, legale di Degachi e (ora) della famiglia del tunisino, la procura ha disposto l’acquisizione delle telecamere interne a Santa Maria Maggiore e dei tabulati telefonici del cellulare del detenuto, della moglie e del centralino del carcere veneziano: l’obiettivo è ricostruire tutti i passaggi di quella mattina e capire come mai ci sia stato un buco di un’ora nella sorveglianza nel quale Decaghi ha portato a dama ciò che aveva annunciato.

Degachi era in semilibertà: di giorno usciva dal carcere per lavorare e si stava già immaginando una nuova vita una volta pagato il debito con la giustizia per fatti del 2020. Vedersi ri-arrestare per fatti precedenti alla condanna per la quale era in carcere gli ha aperto un baratro. Un’ordinanza di arresto - beffa amara - annullata per tutti gli altri undici pusher arrestati con lui a inizio giugno. Il motivo? Era passato troppo tempo dai fatti.