sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Antonella Gasparini

Corriere del Veneto, 7 giugno 2023

Non ce l’ha fatta più ad andare avanti. Quando gli hanno consegnato l’ordinanza e ha visto che sarebbe dovuto rimanere nuovamente in carcere tutto il giorno è crollato e si è ucciso. Bassem Degachi da mesi lavorava con la cooperativa sociale “Il cerchio”, in regime di semilibertà, con le remiere. Inserito in un percorso di accompagnamento, voleva tornare a una vita normale, dopo il carcere, con un mestiere dignitoso in mano.

Sognava il suo riscatto e si stava impegnando per rifarsi una vita dopo gli errori del passato. La luce si era accesa di nuovo e traguardava di tornare a casa. Quando gli è stata notificata l’ordinanza che gli toglieva la semi-libertà l’uomo, 39enne di origini tunisine, ha fatto prima una telefonata drammatica alla moglie e poi si è ucciso impiccandosi. “Da un anno lavorava fuori dal carcere, per poi tornarci a dormire la sera - racconta il suo legale, Marco Borella. A settembre avremmo avuto l’udienza per l’affidamento in prova ai servizi sociali. Si è sentito perso. Che senso ha avuto disporre quest’ordinanza per fatti di cinque anni fa?”. Dopo due anni e mezzo di reclusione per il 39enne era arrivata l’attività nella cooperativa. “Una persona corretta, amabile, che si è sempre comportata bene - commenta il presidente della onlus Giorgio Mainoldi. La notizia del gesto estremo ci ha segnati particolarmente”. Nell’ultima telefonata alla moglie verso mezzogiorno l’uomo avrebbe annunciato di volersi togliere la vita: “Sono rovinato, mi uccido”. La donna allora aveva subito allertato il carcere. “Hanno cercato di telefonarmi in studio per farmi parlare con lui - prosegue l’avvocato - Gli avrei detto di stare tranquillo, che non era un problema”. Ma qualcosa non è andato per il verso giusto e il colloquio non c’è stato. Intanto la moglie aveva provato a telefonare sia alla matricola del carcere che a un conoscente, anche lui in semilibertà, per dirgli di calmarlo, ma Degachi era probabilmente già piombato nello sconforto. “Non ha retto all’idea di tornare in carcere - continua Mainoldi - Questa sentenza è arrivata per fatti legati a un passato ormai lontano e quest’uomo stava svolgendo in maniera corretta e precisa il suo lavoro”.

L’uomo si era ripreso la vita in mano, la cooperativa gli aveva rinnovato il contratto e aveva avuto dei permessi premio. Ieri, per la Funzione pubblica della Cgil, “lo Stato ha fallito”. Verso le 17.35 in carcere è scoppiata una protesta e un detenuto, dopo un alterco con un famigliare, ha aggredito un poliziotto. “L’amministrazione penitenziaria non fa nulla - dice la Cgil - Non investe in progetti di tutela del personale, e manda avanti un carcere, come il Santa Maria Maggiore, privo di spazi, in sovraffollamento e con una situazione di cronica mancanza di personale. Chiediamo urgentemente un incontro istituzionale”.