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di Alessandro Polet

Gente Veneta, 30 novembre 2024

Un desiderio e un proposito di bene, confidato ad una persona amica, da ideale o sogno quasi irrealizzabile diventa invece una splendida realtà, riuscendo a passare attraverso le molte sbarre e i vari passaggi blindati che scandiscono “naturalmente” ogni ingresso ed ogni uscita dal carcere. Succede infatti, qualche tempo, fa che suor Virginiana Dalla Palma, religiosa delle Figlie di S. Giuseppe del Caburlotto e stabilmente impegnata da anni come volontaria nel carcere maschile veneziano di S. Maria Maggiore, incontri in una calle Milena D’Agostino, dipendente del Patriarcato ed impegnata nella Pastorale del turismo con particolare attenzione al servizio volontario di guida e accompagnamento ai visitatori della basilica di S. Marco e dei suoi magnifici mosaici.

“Mi piacerebbe - le dice allora la suora - portare all’interno del carcere la bellezza di Venezia, magari presentando ai detenuti i mosaici di S. Marco. Tu che lavori ogni giorno con l’arte, perché non vieni a fare qualcosa anche per i detenuti?”.

“Già, perché non portarla a tutti questa bellezza? Certo che si può fare…”, osserva Milena. Sarebbe proprio interessante e bello, concordano entrambe. E da quel momento suor Virginiana e Milena “partono” e pongono le basi, ricercando le strade e le modalità giuste, accanto ovviamente all’ottenimento di tutti i permessi necessari, per iniziare a realizzare quest’idea particolare e suggestiva. A loro si unisce immediatamente Nicola Panciera, marito di Milena, ingegnere, guida volontaria a S. Marco e anche lui grande appassionato d’arte, detto amichevolmente “Pancho”.

La direzione dell’Istituto si è dimostrata subito entusiasta della prospettiva e il compianto don Antonio Biancotto, allora cappellano (indimenticato) del carcere, si era detto felicissimo, tanto da immaginare già i successivi passi: dopo i mosaici di S. Marco aveva invitato, in futuro, a proporre alcune delle tante e bellissime chiese di Venezia per, magari, arrivare un giorno a dare la possibilità ai detenuti (in una sorta di permesso premio) di ammirarle dal vivo almeno una volta, riproponendo così un paio di iniziative singole e simili realizzate in anni passati a S. Francesco del Deserto e alla Salute. Per don Antonio, inoltre, l’educazione e la formazione all’arte hanno sempre rappresentato una risorsa in più per gli ospiti dell’Istituto nel momento della loro uscita e del ritorno in società.

“Abbiamo cominciato - racconta Milena - legandoci all’incontro già esistente del lunedì per la recita del Rosario e ci siamo collegati ai contenuti dei singoli misteri, iniziando da quelli dolorosi e quindi con la Passione di Gesù, com’è raffigurata a S. Marco. Abbiamo poi affrontato i mosaici principali e più belli della Basilica, per finire con quelli dedicati alla Creazione, che hanno suscitato tante curiosità e domande. Adesso siamo passati a Torcello e stiamo affrontando nientemeno che il Giudizio universale. In futuro probabilmente toccherà al Tintoretto”.

Questi incontri spirituali e culturali - che sono, insieme, di preghiera, catechesi e dialogo attraverso l’arte - avvengono in genere una volta al mese e vi partecipa un gruppo di 15-20 persone in media, tutte molto interessate e che attendono con trepidazione l’appuntamento; sono perlopiù detenuti italiani, più di qualcuno originario dell’area veneziana, ma non mancano gli stranieri - nordafricani o dell’Est Europa - che rappresentano una parte cospicua dell’attuale popolazione di S. Maria Maggiore.

“La proposta ci ha preso da subito - afferma Pancho - quasi come un completamento dell’esperienza che, con Milena, facciamo in Basilica come guide volontarie. Del resto, il racconto che viene fuori dall’apparato musivo marciano ha sempre un duplice fascino: quello artistico e quello del contenuto che suscita sempre reazioni e colpisce i visitatori. Questo vale ancor di più per chi è in carcere. La nostra non è mai una lezione, ma una esperienza del bello che, in quel luogo, ha un grande valore e riesce a tirare fuori l’umano che è in ogni persona al di là della situazione contingente e vincolante. L’opera d’arte, letta attraverso uno sguardo di fede, aiuta la persona a confrontarsi e ad approcciare l’esistenza, anche quella vissuta in carcere, come uno spazio di libertà e di bene. Il nostro dialogo giunge così a toccare corde molto personali, come quando si arriva a parlare del peccato e del male”.

Per gli ospiti del carcere, quell’ora e mezza d’incontro diventa una boccata d’aria fresca e buona; un momento che li fa guardare ad altro e più avanti, rispetto anche alle preoccupazioni e ai soliti dialoghi di carattere più ordinario (in cella, con gli avvocati, con il personale del carcere, con i magistrati…). Milena ricorda, in particolare, il momento in cui Pancho stava spiegando l’arcone marciano dell’Ultima Cena con il tradimento di Giuda che, in tale rappresentazione, come pure nella patavina Cappella degli Scrovegni, non guarda in faccia Gesù perché non riesce a sostenerne lo sguardo: “Accanto a me un giovane detenuto mi sussurra: “Giuda era proprio un dilettante! Io al mio avvocato ne ho dette di tutti i colori guardandolo in faccia…”. Un altro ragazzo, però, appena sentita quella battuta, mi fa: “Io invece lo capisco (Giuda, ndr), perché adesso non riesco più a guardare in faccia i miei genitori”. E lì si è aperto un momento forte di dialogo”.

I detenuti sono colpiti dal fatto che una coppia come loro dedichi del tempo per venire in carcere e, a volte, si aprono dei canali di comunicazione brevi ma profondi. “Hanno tanto bisogno di comunicare e di vivere degli spazi di normalità in un contesto che non è normale”, confida suor Virginiana. Di fronte, ultimamente, alla presentazione della Creazione marciana o del Giudizio universale di Torcello, capita poi di toccare temi delicatissimi come la libertà dell’uomo o la rappresentazione (e l’esistenza) dell’inferno. Con reazioni impreviste e imponderabili, come quando un detenuto, ad un certo punto, ha aperto il suo cuore con una limpidezza assoluta: “Quando sarò dall’”altra parte”, penso che Dio non mi guarderà come mi guardo io. Lui mi dirà: “So che hai sbagliato, ma io ti voglio bene”.

Il benefico e stimolante intreccio tra fede e arte portato all’interno del carcere, al centro di un’iniziativa specifica, stabile e non più solo estemporanea, ha suscitato già molto interesse anche al di fuori della città. Ne ha già parlato con un servizio il mensile “Madre”, mentre TV2000 ha voluto raccogliere le voci di suor Virginiana, Milena e Pancho per raccontare l’originale esperienza veneziana durante il rotocalco “Finalmente domenica” (la trasmissione andrà in onda domenica 1 dicembre alle 15.15).