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di Antonella Gasparini

Corriere del Veneto, 27 febbraio 2024

Detenuto inscena una protesta: finisce all’ospedale con la milza spappolata. Inchiesta con tre denunciati. Tre agenti della Polizia penitenziaria del carcere di Venezia sono stati denunciati per lesioni. A indicarli, appena è uscito dalla terapia intensiva, è stato un detenuto ventitreenne veneziano originario dell’est Europa che ha raccontato di essere stato pestato e ridotto in fin di vita al carcere di Santa Maria Maggiore il 19 febbraio. I nomi delle guardie che lo avrebbero picchiato non sono stati indicati perché il giovane non li conosce, ma a breve ci sarà il riconoscimento da parte della vittima.

Intanto lui rimane ricoverato all’ospedale Borgo Roma di Verona, dove ha passato alcuni giorni in terapia intensiva con “la milza spappolata e vari traumi” come riferisce la sua legale, Anna Osti. I medici ritengono che sia troppo fragile per rimandarlo in carcere, preferiscono tenere il paziente in osservazione, e comunque non è previsto che torni nel carcere di Venezia. Martedì 20 febbraio, il giorno successivo al pestaggio, il giovane, che ha riferito di essere rimasto in cella lamentarsi per i dolori tutta la notte senza essere ascoltato, era stato trasferito al carcere di Montorio, appunto a Verona.

Lì, dopo averlo visitato, i medici l’hanno subito mandato in ospedale, ritenendolo in condizioni gravi. Come e perché sia avvenuto il trasferimento è da chiarire. “Per disposizione del dipartimento ogni volta che un detenuto esce dalla struttura c’è un nullaosta. Se va via per motivi sanitari, l’idoneità è certificata dal personale medico dell’istituto di partenza. Chi ha rilasciato il permesso? Non vogliamo difendere né colpevolizzare nessuno - commenta Gianpietro Pegoraro della Cgil di Venezia - ma sia fatta chiarezza”.

In procura è stata aperta un’inchiesta, come hanno avuto modo di verificare anche i due garanti per i detenuti, quello di Verona, don Carlo Vinco che aveva fatto visita al giovane all’ospedale, e quello di Venezia, Marco Foffano, in contatto con il direttore del Santa Maria Maggiore Enrico Farina. Il giorno del pestaggio il detenuto, fragile e con problemi, finito in carcere per la rapina alla sala slot di Spinea nel 2019 - in cui la cassiera venne rinchiusa in uno stanzino - aveva chiesto di telefonare alla madre. Richiesta non concessa, ha raccontato alla sua avvocata, per questo a un certo punto si era messo a bruciare dei giornali. Di lì a poco in cella erano arrivate delle guardie che portandolo via avevano commentato: “Adesso ti portiamo a fare la tua telefonata”.

Una frase che il ventitreenne ha interpretato in maniera sibillina, avvertendo di essere in pericolo. Per questo, ha detto al legale, per difendersi è passato all’attacco e ha colpito per primo gli agenti. Loro lo hanno spintonato dentro a una stanza e così sarebbe iniziato il pestaggio. Riportato in cella in sedia a rotelle, sarebbe rimasto a lamentarsi per tutta la notte finché il giorno dopo, al termine di una telefonata con la madre, in quelle condizioni è stato accompagnato al carcere di Montorio.

“È stata una spedizione punitiva - dice l’avvocata Osti - Penso che la situazione al carcere di Venezia sia sfuggita di mano. Dobbiamo andare a fondo e bisogna che questa cosa vada al ministero dell’Interno. Il mio cliente non è mai stato ritenuto pericoloso, se non per se stesso. È stato trascinato per i capelli, colpito alla testa, a un orecchio e all’addome. Non si erano resi conto di quanto male stava? Perché non è stato curato a Venezia?”. Sabato scorso al Santa Maria Maggiore è scoppiata una sommossa in carcere, hanno denunciato in una lettera alcuni detenuti. Ci sono state aggressioni e sono stati appiccati incendi, testimoniano le coop che lavorano all’interno. “Sovraffollamento e sottorganico sono temi che vanno affrontati - commenta Giorgio Mainoldi, presidente della cooperativa Il cerchio - a Venezia come in tutte le carceri”.