di Stefania Mussio*
gnewsonline.it, 4 marzo 2023
È il 7 febbraio, l’ultimo giorno dell’ottava di San Giulio. La provincia di Verbania è baciata da due laghi: il più piccolo è Orta e nel suo cuore sorge l’isola di San Giulio dove il Convento di Monache claustrali Benedettine Mater Ecclesiae pulsa di bene e di preghiera. Il 31 di gennaio è stata la festa dell’isola e il monastero è in fermento.
Decidiamo anche noi di far visita alle monache per trascorrere una giornata di lavoro e preghiera come San Benedetto predicava nel V secolo. La casa circondariale e le persone detenute, hanno stretto un legame con alcune “sorelle” che ricamano in uno dei laboratori claustrali dell’isola: la stretta corrispondenza epistolare, il legame con la garante dei detenuti, hanno costruito una relazione che ha stimolato la passione del ricamo di due persone detenute. È grazie a questa amicizia che nello scorso maggio, durante una delle udienze del mercoledì proprio in piazza a San Pietro, una delegazione dell’istituto ha donato al Santo Padre un bellissimo arazzo raffigurante lo stemma papale.
L’amicizia si rinnova costantemente e così la comunità del carcere, nel ricordo della festa, esprime il desiderio di far visita al monastero, di condividere il lavoro, i doni, il silenzio, l’incontro. Madre Maria Grazia apre le braccia e ci permette di entrare, nell’ultimo giorno delle celebrazioni di San Giulio, nel solo giorno dell’anno- il 7 febbraio - in cui San Benedetto faceva visita a sua sorella, Scolastica, monaca benedettina claustrale. Una curiosa coincidenza di fraternità.
La piccola barca ci attende alle 9 al molo di Orta: ci sono tredici persone detenute, tre sacerdoti tra cui il cappellano, l’educatrice, il comandante, la direttrice. Con loro anche un delizioso cagnolino. Si parte, con un dono di dolci e biscotti che “Banda Biscotti” produce nel laboratorio presso la scuola di formazione di Verbania e alcune borse che racchiudono abiti più comodi e adatti al lavoro che attende: due squadre, una per riporre e accatastare la legna; l’altra per lavori di pulizia nei corridoi del monastero aperti agli ospiti. Il magistrato di sorveglianza di Novara ha autorizzato e dunque, con fiducia inizia una giornata molto speciale, unica, che lascerà un segno indelebile, “un grande senso di pace interiore” come dirà poi proprio uno dei detenuti. La giornata è bellissima, piena di sole.
L’accoglienza ci fa già intuire un senso dell’ospitalità non comune: Suor Maria Donata in portineria ci illustra i luoghi e i tempi a noi dedicati. Ci dirigiamo in silenzio verso uno spogliatoio dove sono pronti per tutti bevande calde e un piccolo ristoro. “Siamo stati accolti da persone ospitali e gentili” ci dirà O.A. e come lui molti altri, “giusto per iniziare la giornata in armonia e con forza” (D.M.). Inizia così il momento del lavoro fino a quando, poco dopo mezzogiorno, ci rechiamo in Chiesa per la preghiera di sesta. Tutte le persone detenute raccolgono l’invito con semplicità: anche le due persone musulmane del gruppo si lasciano coinvolgere, si fermano, riprendono fiato. “Nel momento della preghiera mi sono isolato da tutti i miei pensieri e problemi e ho ricevuto una carica e una forza che non avrei mai trovato in me”, ci racconterà poi P.D.
Andiamo tutti poi a pranzo, un ricco buffet dove nulla è trascurato, lasciando tutti meravigliati. Proviamo a immedesimarci nella loro realtà fatta di silenzio “con la compagnia della preghiera” e “per un giorno si torna in una dimensione di reale umanità e uguaglianza” (I.E.). Poco dopo incontriamo con una certa curiosità Madre Maria Grazia.
Mentre l’aspettiamo, nella sala dell’ascolto osserviamo la grata. Ci domandiamo se rimarrà chiusa, come la Madre si accosterà a noi, come potrà esprimere la sua compassione e la sua vicinanza. Con un bel sorriso si presenta a tutti noi, apre la grata e si siede insieme al gruppo: ci ha già con il cuore abbracciati tutti, ci ha già trasmesso la sua “pace e il suo equilibrio interiore” (A.R.)
“Vi guardo per tenervi nella memoria del cuore”, così inizia la Madre. “Viviamo una esperienza simile: c’è una ricchezza che si può cogliere stando separati dagli altri, che può diventare un dono. C’è una ricchezza che si può avere rimanendo separati dagli altri: occorre sviluppare un senso di profondità, per fermarsi, per poter riuscire a cogliere le cose belle e positive della vita. Noi siamo libere perché con il cuore giriamo il mondo, con la preghiera raggiungiamo il mondo e il mondo viene a noi”.
La Madre prosegue cercando di avvicinare le persone detenute e accogliendo le loro difficoltà. “La vita in comune è la massima penitenza o la cosa più bella. Non ci si sceglie e tuttavia può essere una occasione bella se si mettono insieme i talenti: bisogna disarmare il cuore. Occorre tramutare le occasioni disgraziate in occasioni di grazia. La capacità di perdonarsi reciprocamente toglie il rancore dal cuore e libera la coscienza”. C’è silenzio, sono parole che arrivano a tutti e tutti le lasciano entrare. Molti rimangono impressionati e ci racconteranno, poi, come forse per la prima volta si siano sentiti toccati nel cuore.
Ci ricorda la Madre come San Benedetto predicasse che “l’ozio nuoce alla vita” e che “è possibile leggere la reclusione come una pausa della vita che può essere propizia. Il ricordo di ciò che si patisce ti dona il coraggio di resistere, di accettare la realtà trasformandola”. Con il sorriso e la voce flebile ricorda a tutti che è necessario coltivare il desiderio al cambiamento facendo sempre memoria che il “bene costruisce mentre il male demolisce”. Ci racconta poi della loro quotidianità, dei loro tempi, scanditi dal silenzio, dalle campane, dalla preghiera. Racconta dei laboratori e del lavoro di artigianato, tessitura, stamperia, che si tramandano da sorella in sorella. Si chiede alla Madre come si possa riuscire e sostenere quella quotidianità fatta di sacrificio e le parole sagge ancor arrivano a tutti “vivo con quello che c’è e quello che c’è va bene per me”.
Suona l’ora di nona e tutti ritorniamo in chiesa. Ancora disorientati da quelle parole: perdono, cuore, pace, purificazione, un linguaggio inusuale, strano, tuttavia profondo, capace di lasciare serenità. Dopo la preghiera, delicata e armoniosa, ritorniamo nella sala dell’ascolto dove incontriamo un gruppo di sorelle. Non eravamo pronti a tanta gioia. Tutti un po’ eccitati come al primo giorno di scuola ci sediamo di fronte a loro: le guardiamo, sorridono, inchinano il capo, osservano e subito ci chiedono i nostri nomi. Sono tutte incantate dal piccolo cagnolino che è in viaggio con noi, un timido, buonissimo shitzu e lui, quasi ad aver capito il luogo, si dimostra silente, e accoccolato raccoglie felice tutte le attenzioni.
È un continuo botta e risposta tra curiosità della loro vita quotidiana e domande sulla loro scelta di vita. “Le monache hanno avuto un atteggiamento molto aperto con noi nel raccontarsi ed insegnarci le loro esperienze di vita” (C.M.): Suor Maria Scolastica suona le prime note con la chitarra e tutte insieme intonano un canto che nel cuore torna come una melodia, soave e delicata. “È ammirevole la determinazione e la costanza che mettono in ciò che fanno” (M.O.).
Suor Maria Giovanna, verso la fine, prende la parola e legge brani del discorso che Papa Paolo VI tenne nella sua visita a Regina Coeli del 1964. Ci permette di comprendere come quelle parole rivolte ad una comunità di detenuti siano adeguate anche al Monastero. Ci ricorda che ogni giorno vi sono difficoltà ma che c’è sempre una possibilità di bene. Legge diverse parti di quel discorso che è carico di fratellanza e di speranza. Le sventure, le ferite e l’umanità lacerata che abita il carcere sono il terreno per la consolazione, per comprendere il valore dell’esistenza, per cominciare ad essere veramente uomini.
Come è difficile andare via. Ma sono le 16.25, dobbiamo salutarci e correre al piccolo battello che partirà dopo cinque minuti. Sorrisi, abbracci, lunghe strette di mano, coccole al cagnolino. A bordo non si parla, si sorride, si pensa, si fa memoria di una giornata “indimenticabile”, “gratificante”, una “esperienza che da libero non si sarebbe fatta” e che ha “arricchito gli animi di tutti”. Arriviamo ad Orta, ci aspettano due poliziotti penitenziari che ci riaccompagneranno: ci guardano e intuiscono subito che c’è qualcosa di particolare. Così, insieme, andiamo a bere un caffè e ripartiamo per l’istituto.
Nessuno dimenticherà. Tanti proveranno a “disarmare gli animi” proprio come ci ha insegnato Madre Maria Grazia e le sorelle.
*Direttrice della Casa circondariale di Verbania