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di Francesca Fagnani

La Stampa, 7 giugno 2023

Quattro agenti e un ispettore sono finiti agli arresti domiciliari con accuse gravissime, dalla tortura al falso, per aver picchiato, vessato e umiliato persone sottoposte a fermo e affidate alla responsabilità dello Stato e delle sue leggi.

Ci risiamo. Stavolta non c’è stato neanche il tempo di togliersi dagli occhi le immagini brutali del video della trans pestata da alcuni agenti della Polizia locale di Milano che ecco un altro caso di vergognoso abuso della propria autorità da parte di poliziotti in servizio presso la Questura di Verona. Quattro agenti e un ispettore sono finiti agli arresti domiciliari con accuse gravissime, dalla tortura al falso, per aver picchiato, vessato e umiliato persone sottoposte a fermo e affidate alla responsabilità dello Stato e delle sue leggi che non prevedono certo che la persona privata della propria libertà sia picchiata fino a farle perdere i sensi o sia costretta ad urinare in terra per il gusto sadico di farla poi rotolare come uno straccio nei propri escrementi.

L’attività della Squadra Mobile di Verona - che ha condotto le indagini a carico dei colleghi - ha registrato per otto mesi il comportamento di cinque poliziotti che in almeno sette occasioni hanno dato sfogo ai loro peggiori impulsi nei confronti di stranieri senza fissa dimora o tossicodipendenti, aggiungendo vigliaccheria alla loro ferocia. Quanto coraggio da parte di chi poi si vantava delle proprie imprese con gli altri e addirittura con la fidanzata: “Com’è che non l’hai ammazzato?”. Si provi ad avere lo stesso comportamento con chi è consapevole dei propri diritti o è in grado di pagarsi un avvocato e raccontargli tutto per filo e per segno. Inutile precisare che gli abusi non sono accettabili mai e nei confronti di nessuno, ma è ancora più spregevole e doloroso quando ad esserne vittima sono gli ultimi e gli emarginati. Come Hasib Omerovic, il rom sordomuto precipitato l’estate scorsa dalla finestra della sua casa popolare, dopo un blitz non autorizzato dei poliziotti del commissariato di Primavalle a Roma. Gli uomini in divisa in quel caso avrebbero agito dando seguito ad alcune voci degli abitanti del quartiere, secondo le quali Hasib avrebbe infastidito le ragazze.

Tanto era bastato agli agenti oggi indagati per picchiarlo violentemente e legargli i polsi con il filo della corrente di un ventilatore, fino a procurarsi l’accusa - per quel volo di nove metri dalla finestra - di tentato omicidio, nonostante gli strenui tentativi di depistaggio. Minacciavano il ragazzo disabile brandendo un coltello: “Se lo rifai, te lo ficco nel c…”, la stessa intenzione, ma con lo spray al peperoncino, manifestata dagli agenti di Verona nei confronti di chi finiva nelle loro mani. Un linguaggio pieno di odio e di violenza che trasforma uomini di Stato in banditi, confondendo i piani di chi dovrebbe stare seduto dalla parte giusta della storia e che invece occupa la sedia sbagliata, ingenerando - come si diceva giorni fa nel caso della trans pestata senza motivo - quel senso di smarrimento e di sfiducia nei cittadini da cui è sempre difficile poi tornare indietro. Nella brutta vicenda di Verona che coinvolge i cinque agenti arrestati però è necessario sottolineare e incoraggiare un cambio di passo significativo da parte della Polizia stessa che in questo caso ha deciso di allontanare dagli incarichi operativi altri 17 poliziotti non direttamente coinvolti nelle azioni violente, ma che hanno coperto i colleghi non denunciandoli.

Difficile ipotizzare infatti che nessuno abbia visto dal momento che le torture avvenivano in un locale dotato di una vetrata in plexiglass. Un segnale importantissimo che interrompe quella che purtroppo è una consuetudine, ovvero l’abitudine al silenzio e ai depistaggi che trasferiscono sull’intero corpo l’onta di comportamenti individuali per cui poi non regge certo la solita teoria delle poche mele marce. Alzare il tappeto e denunciare la polvere che sta sotto è l’unica via tra l’altro per indurre altri colleghi timorosi a infrangere quel muro di omertà che circonda quasi sempre fatti simili e che non fa altro che amplificare la gravità della situazione.

Inoltre, ogni volta che un abuso viene insabbiato e coperto si determina nei cittadini non solo un sentimento generale di sfiducia ma anche un retropensiero molto pericoloso, il timore cioè di finire colpevoli o no sotto la responsabilità dello Stato. Un rischio che le istituzioni non possono (più) permettersi di correre non solo perché sarebbe ingiusto per tutti coloro che indossano con onore la divisa, ma soprattutto perché se è vero che viviamo in uno Stato di diritto nessuno è al di sopra della legge, nemmeno i colleghi.