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di Manuela Trevisani

L’Arena di Verona, 26 febbraio 2024

La sorella Giulia racconta chi era Giovanni Polin, suicida in cella. Il mistero della lettera sparita: “E le videoriprese?”. “Mio fratello è nato dalla pancia dell’aereo”. Così diceva da piccola Giulia, la sorella di Giovanni Polin, 34 anni, uno dei cinque detenuti che si sono tolti la vita all’interno del carcere di Montorio da novembre a oggi. Perché è proprio in aeroporto che lei lo ha visto la prima volta. Giovanni era stato adottato da piccolo da una coppia di Negrar, dopo che i suoi genitori naturali in India lo avevano abbandonato. Giulia torna con il pensiero a quel momento e lo immagina davanti a sé. “Un frugoletto sulla spalla del papà al terminale degli arrivi dell’aeroporto, che al mio gesto di donarti un peluche girava imbronciato il viso dall’altra parte”, racconta, rivolgendosi direttamente a Giovanni. “L’adozione è così. È come piantare un semino venuto da mondi lontani e circondarlo di altri climi, altri terreni, altre atmosfere. Eppure quel semino porta dentro se stesso una radice esotica che si sviluppa autonomamente e si aggrappa con tutte le forze a un nuovo mondo, ma non per questo perde la sua natura ancestrale e misteriosa. Tu eri altro da me, infinitamente diverso da me, eppure eravamo entrambi radicati allo stesso terreno, talvolta impervio e scosceso ma pronto a donarci la vita”.

Essere “fratelli” - C’è un’intensità, dietro queste parole, che va oltre l’essere fratelli. “Io posso dire con certezza che tu mi abbia amata profondamente come una sorella, che tu mi abbia protetta e abbia fatto sempre il possibile perché fossi felice”, dice Giulia. “Ora su quel terreno impervio non sarò sola perché hai distribuito attorno a me tutto ciò che mi darà la forza e il coraggio per resistere al solco che lascia la tua assenza”. Di lui, finora, sono state diffuse poche informazioni. Arrestato in autunno con l’accusa di maltrattamenti sulla compagna, si è suicidato il 20 novembre scorso. Pochi dati, così com’è avvenuto per gli altri detenuti che si sono tolti la vita a Montorio.

Prima di finire in cella, però, Giovanni era stato un giovane con le sue passioni, i suoi sogni, i suoi affetti. “Mio fratello aveva iniziato a frequentare una ragazza che era apparsa da subito in una situazione estremamente complicata”, racconta Giulia. “Lui si era preso a cuore la sorte dei suoi due figli, aveva seguito le procedure per l’iscrizione dei bambini a scuola, procurato loro gli arredi per la cameretta e tutto quanto fosse necessario per una nuova vita insieme. Credeva fermamente di aver costruito una famiglia e diceva “Fare il genitore è bellissimo, sono veramente felice”. Poi l’accusa di maltrattamenti, l’arresto, il carcere.

“Eventi oscuri, non in linea con la sua personalità e con le sue azioni degli ultimi mesi”, prosegue Giulia, consapevole che “il fatto stesso rimarrà al vaglio di un giudizio eternamente pendente”. Essendo Giovanni deceduto, infatti, il processo non si svolgerà mai.

Una sconfitta per la società - Oggi, alla luce di quanto accaduto a Montorio, lei parla di “sconfitta”. “La filosofia del diritto ci insegna che la pena deve essere specialmente preventiva e rieducativa, una società dove si contempla l’inferno sulla terra ha perso in partenza”, commenta Giulia, esprimendo il suo sgomento di fronte alla situazione “disumana” in cui versano attualmente i detenuti. Il caso di Giovanni, come lei stessa sottolinea, si differenzia dagli altri. Se per Oussama Sadek, Alexander Sasha e Mortaza Farhady, altri detenuti che si sono tolti la vita in carcere a Verona nei mesi scorsi, erano evidenti le problematiche psichiche, il suicidio di Giovanni è stato, secondo la sorella, “imprevisto e silenzioso”.

“Giovanni non soffriva di alcun tipo di malattia psichica certificata, dal fascicolo sanitario relativo alla sua permanenza a Montorio non emerge alcun rischio suicidario e, secondo il compagno di cella, il suo comportamento era assolutamente normale”, racconta Giulia. “Non aveva problemi con altri detenuti, non aveva dato alcun cenno di voler arrivare a un gesto simile, lo stesso garante per i diritti dei detenuti descrive il suo comportamento come riservato, ma collaborativo e calmo”.

Il mistero della lettera - La sorella, che lo aveva sentito pochi giorni prima dell’estremo gesto, non riesce a trovare una spiegazione e pone alcuni quesiti. “Ci è stato riferito che in cella Giovanni aveva scritto una lettera. Ne è prova anche il fatto che dall’estratto conto del carcere risulta acquistata da lui una spedizione. Questa lettera, però, non è mai arrivata, né è stata ritrovata tra i suoi effetti personali: è completamente sparita”.

Gli amici e i familiari lo descrivono come un ragazzo anche piuttosto pauroso, con scarso senso pratico e limitatissima capacità di sopportare anche solo la vista di cose che riportano alla morte e all’orrore. “Resta quindi un velo di mistero intorno al percorso psicologico che può averlo portato a un gesto simile senza dare alcuna spiegazione, senza nessun segnale autolesionistico, senza lanciare prima alcuna richiesta di aiuto”, prosegue Giulia.

“A rendere ancora più inquietante l’evento è il fatto che Giovanni, sebbene avesse ricevuto fin da subito una quota sufficiente di denaro dalla famiglia per far fronte alle spese primarie, chiedesse insistentemente di bonificargli lo stipendio arretrato sul conto del carcere, ed era preoccupato di restare a corto di soldi, anche se poi una volta morto ed esaminato l’estratto conto è emerso che non aveva quasi usato il denaro ricevuto”.

La famiglia si è chiesta più volte a cosa servisse il denaro richiesto. “Di carcere si muore quindi anche se non ci sono problemi psichici importanti”, è la conclusione a cui giunge Giulia, “anche se sei in attesa di vedere i famigliari la settimana successiva, anche se hai progetti per il futuro e ne parli in una telefonata che antecede la morte di soli cinque giorni, anche se sai che non verrai condannato a una pena lunga e sei in attesa di uscire a breve”. La famiglia ha più volte chiesto al carcere il materiale riguardante la videosorveglianza per poter ricostruire gli istanti prima del suicidio, ma la richiesta è stata rifiutata per “motivazioni di sicurezza”. La famiglia spera di riuscire a trovare qualche risposta, “ricordando che nel 2024 non è più accettabile morire di carcere”.