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di Annamaria Schiano

Corriere di Verona, 1 ottobre 2023

I medici delle dipendenze: “Inasprire le pene? Sbagliato”. Sullo spaccio in carcere a Montorio di metadone e psicofarmaci intervengono Camillo Smacchia e Fabio Lugoboni, esperti di medicina delle dipendenze. “C’è una violenza diffusa tra giovani fuori controllo che superano i propri limiti all’ennesima potenza, a causa anche dell’uso spropositato di droga e alcol”, è l’allarme lanciato dal direttore centrale Anticrimine della Polizia di Stato, Francesco Messina.

E nei giorni scorsi è arrivata la denuncia anche del deputato di Forza Italia Flavio Tosi sul “mercato nero di metadone e psicofarmaci” all’interno del carcere di Montorio, dove le celle sono per lo più piene di giovani che hanno commesso reati per consumo e spaccio di sostanze stupefacenti, o di immigrati irregolari che, poi, in molti casi vengono arruolati dalla criminalità organizzata. Fuori dalle mura carcerarie, invece, poco più che bambini, ragazzi, o giovani adulti, consumano la loro crescita con reati sempre più feroci, la cui repressione si contempla con pene più dure.

Dunque, come si “cura” questo male profondo? E il carcere è la ricetta giusta? Ne abbiamo parlato con il direttore dei centri dipendenze della Provincia dell’azienda socio sanitaria scaligera, Camillo Smacchia, già direttore della sanità penitenziaria nel carcere di Verona (dal 2018 al 2020) e con il professore Fabio Lugoboni, responsabile della Medicina delle Dipendenze dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona.

“Sono tra il 25 e il 30 per cento i detenuti per spaccio di sostanze. Riempiono le celle di Montorio che ha una capacità di 335 posti letto, ma con la presenza media oltre le 500 persone. Anche l’altro giorno ce n’erano 540. Si aggiungono letti a castello, quindi se sono previsti 14 metri quadrati per detenuto, alla fine possono anche diventare 3 o 4 mq a persona in una cella. Inoltre, circa il 65% dei detenuti sono stranieri, sui quali essendo irregolari per lo più, non si possono nemmeno fare progetti riabilitativi come ad esempio mandarli in comunità terapeutiche”, aggiunge il dottor Smacchia. In carcere si sta sempre peggio. “Ormai è un luogo di detenzione sociale per le sacche di emarginazione. E aumentano anche i suicidi o gli atti di autolesionismo, che diventano forme di protesta e di ritorsione. La carenza di personale generico e specialistico, di polizia penitenziaria, e il sovraffollamento carcerario sono le criticità perenni”.

A Verona da giugno è stato inserito anche il settore per i detenuti psichiatrici, e già in poco tempo si sono verificate aggressioni a psichiatri e ispettori penitenziari. Come si può intervenire? “Una parte di detenuti condannati per le sostanze hanno anche problemi psichiatrici, poiché essere tossici significa avere problemi comportamentali. Il carcere è diventato anche un ricovero o un grande ospedale per persone in giro per la città. C’è un servizio di medicina delle dipendenze all’interno di Montorio, un’unità multidisciplinare composta da un medico, un assistente sociale, un educatore e un psicologo, che raccolgono le richieste dei detenuti che chiedono una misura alternativa al carcere, che può essere ad esempio la comunità terapeutica o la messa in prova a servizi sociali, con il Sert che controlla settimanale l’astensione alle droghe”, conclude Smacchia.

“Ci sono due ordini di cose da valutare - spiega Lugoboni - Sul piano politico la scelta di inasprire le pene è una pessima maniera per farvi fronte. Dare risposte spot su fenomeni così complessi per fatti di cronaca, seppur feroci, è demenziale. Le leggi ci sono già. Ed è soprattutto il piano psicoterapeutico che non funziona: l’adolescente non ha il senso della legalità, è nella sua natura la tendenza a fare cose rischiose in gruppo, perché la parte impulsiva del loro cervello funziona in modo predominante rispetto alla parte riflessiva dell’adulto. In galera i giovani escono perfetti criminali, quando, in altro modo si sarebbe potuto recuperarli. Faccio un esempio: nelle scuole superiori ci sono moltissimi ragazzi che consumano cannabinoidi, ma dopo i 25 anni c’è un drastico calo di consumo”.