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di Angiola Petronio

Corriere di Verona, 14 febbraio 2024

Sasha Alexander, 38 anni. Ucraino, un lavoro regolare, una figlia e una moglie che lo aveva denunciato per maltrattamenti. Incensurato, Sasha, fino al momento in cui è finito in carcere per quelle violenze. È la sua la quinta lapide piantata a Montorio in due mesi. Sua la quinta vita che da quel carcere e dal mondo se n’è andata volontariamente. Ci aveva già provato Sasha a farla finita, tagliandosi la gola, l’8 gennaio. Ci è riuscito 11 giorni fa, impiccandosi in cella.

“A Montorio - racconta il suo avvocato Francesco Spanò, che ieri ha accompagnato la visita in carcere di Flavio Tosi e Patrizia Bisinella. Alexander era arrivato con il “codice rosso”. Gli era stata applicata la massima misura custodiale in carcere, per le violenze denunciate dalla moglie. Era dentro dal 2 gennaio quando c’era stata la convalida dell’arresto. Stavo lavorando per fargli avere gli arresti domiciliari. Ma serve una casa...”.

E qui entra in ballo quella parte burocratica che ferma gli ingranaggi di vite già arrovellate. “Avevamo chiesto aiuto agli amici, ma è difficile trovare i numeri di telefono. Quando si viene associati al carcere ti tolgono il cellulare, perdi tutti i contatti e l’aspetto burocratico non è poca cosa, anche per l’avvocato. Dopo il primo tentato suicidio Sasha era stato ricoverato in Borgo Roma. Ci era rimasto due settimane, poi era stato dimesso e trasferito di nuovo in carcere. È stato in osservazione in infermeria e poi è stato ritenuto idoneo a tornare in cella con altri detenuti. È lì che si è ammazzato. L’ho visto due giorni prima che si suicidasse e sembrava relativamente tranquillo. Ma il problema è la mancanza di personale in infermeria.

Sostanzialmente i detenuti non sono seguiti adeguatamente”. Un refrain, quello di Sasha, ripetuto prima di lui da altre quattro persone. In due casi, quelli di Giovanni Polin e Antonio Giuffrida, erano detenuti italiani. Gli altri tre, erano stranieri: Farhady Mortaza, Oussama Sadek e Sasha. Un dettaglio non secondario. “Montorio è un carcere problematico perché la popolazione è per due terzi straniera e con detenuti non semplici da gestire”, ha detto Flavio Tosi.

Quei due terzi per i quali spesso mancano i mediatori culturali, due terzi che non hanno supporti dall’esterno, due terzi che non hanno reti familiari e amicali. Nulla che li possa un domani integrare e con i quali a volte è difficile interagire anche solo dal punto di vista linguistico. Due terzi di un intero che è la casa circondariale di Montorio.