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di Fulvio Fulvi

Avvenire, 2 settembre 2023

Gli appelli delle associazioni sul provvedimento del governo: “Serve un approccio globale”. Pronto all’approvazione il testo messo a punto dal ministero della Giustizia dopo i suicidi di agosto. Boscoletto (Cooperativa Giotto): “Bisogna ripartire dalle persone e restituire dignità”.

Il “pacchetto carceri”, destinato a introdurre novità nel sistema penitenziario, è pronto e sarà esaminato a settembre, in una delle prossime sedute del Consiglio dei ministri. Il provvedimento prevede, tra l’altro, la nomina di direttori negli istituti di pena dove l’incarico è vacante (non più “ad interim”), norme sulla tutela del personale di sorveglianza e l’aumento delle telefonate dei detenuti ai loro parenti che passeranno da quattro a sei al mese (mezz’ora di chiamate in tutto), secondo quanto annunciato la vigilia di Ferragosto dal ministro Nordio.

La cosa è “quasi fatta” ma nel frattempo non si placano le polemiche. Diverse associazioni del settore hanno inviato infatti una lettera-appello al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a Papa Francesco e allo stesso Guardasigilli, nella quale si sottolinea come i problemi delle carceri non si risolvono solo così: “Non bastano due telefonate in più al mese”.

Il documento è diventato anche una petizione con quasi duemila firme finora raccolte, tra cui quella di Nicola Boscoletto, presidente del consorzio sociale Giotto di Padova, di cui fa parte l’omonima cooperativa con la quale lavorano (in pasticceria, officine per l’assemblaggio di biciclette e valigie e due cali center) circa 200 detenuti della Casa di reclusione Due Palazzi di Padova. “È come quando la casa si allaga perché abbiamo lasciato i rubinetti aperti e cerchiamo di asciugare il pavimento con secchi e stracci, ma l’acqua continua a scorrere” osserva.

Per Boscoletto, come per gli altri firmatari dell’appello, tra cui Ristretti Orizzonti, Antigone, Sbarre di zucchero e la Camera penale di Milano, la proposta del Guardasigilli non risolve il problema della solitudine e della disperata inquietudine di chi vive dietro le sbarre, causa principale dei suicidi e degli atti di autolesionismo. Serve, invece, un approccio globale: “Bisogna ripartire dalla persona, restituirgli la dignità”.

“La nave che va a picco - aggiunge il presidente del Consorzio Giotto - il sistema non funziona, anzi diciamo proprio che è fallito: io non attacco chi ci lavora, che anzi è penalizzato, agenti, dirigenti, educatori, operatori sociali, volontari ma questa è la realtà. È scientificamente provato nel tempo che non è la punizione che toglie o limita dalla società la delinquenza, il “pugno duro” che molti invocano è demagogia dei politicanti.

Succede invece che più punisci un detenuto più questo una volta uscito torna a commettere reati, tant’è vero che il tasso di recidiva, non a caso, è del 90%. La risposta da dare allora è lavoro, scuola e attività. Mettendosi tutti insieme, perché nessuno si salva da solo”.

Per Boscoletto, inoltra, bisogna “allargare le esperienze che adesso riguardano una decina di realtà tra Roma, Bollate, Padova, la Sicilia. Perché sono solo 700, tra i 57mila ospiti dei penitenziari italiani, quelli che lavorano dietro le sbarre. Buone pratiche da esportare, perché patrimonio comune”.

E c’è chi invoca a gran forza una riforma del settore. “Ben venga - osserva Boscoletto - se fatta come si deve ma intanto bisogna applicare le leggi che ci sono e la Costituzione. Devono cambiare, invece, le persone”.

E la liberalizzazione delle telefonate? “Va detto innanzitutto che esiste libertà di corrispondenza sia in uscita che in entrata: i carcerati possono scrivere e ricevere lettere senza censura (solo l’1% è sottoposto a controlli, i 41bis e quelli dell’alta sicurezza).

Invece i numeri telefonici depositati, e autorizzati dal magistrato, sono tracciabili, le schede sono controllate: allora che rischio c’è, visto che i cellulari vengono utilizzati, al 95%, non per commettere reati ma per chiamare mogli, figli, genitori, fratelli. E poi, liberalizzarne l’uso significa anche eliminare un fiorente mercato clandestino dietro le sbarre”.