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di Maurizio Martina*

Corriere della Sera, 25 luglio 2023

L’impalcatura multilaterale nata dopo la seconda guerra mondiale ha certamente bisogno di cambiare e migliorare per svolgere al meglio il proprio ruolo nel tempo che stiamo vivendo. Si sta svolgendo a Roma presso la FAO (24/26 luglio 2023) il vertice sui sistemi alimentari promosso dalle Nazioni Unite e dall’Italia. Si tratta di un appuntamento molto rilevante, con l’ambizione di fare compiere alla comunità internazionale un salto di qualità operativo nelle azioni per combattere la fame e sostenere sistemi alimentari più equi, resilienti e sostenibili. Le modalità di lavoro del vertice dovrebbero aiutare a entrare nello specifico di alcuni nodi strategici della questione aperta di fronte a noi.

Pensiamo troppo poco al fatto che mancano solo sette stagioni di raccolta nei campi da qui al 2030, l’anno di riferimento dell’agenda internazionale per lo sviluppo sostenibile. In questi anni, l’impegno per il diritto al cibo si è fatto ancora più complesso e senza un cambio di passo sostanziale, le proiezioni ci dicono che nel 2030 avremo ancora 600 milioni di persone affamate. Il cambiamento climatico che stiamo vivendo ormai quotidianamente sta sfidando alla radice la tenuta dei sistemi agricoli e alimentari a ogni latitudine, colpendo prima di tutto i territori più fragili come nel caso drammatico del Corno d’Africa.

Tenere uniti il contenimento della temperatura a 1.5 gradi e l’obiettivo fame zero impone una coerente strategia d’azione, di mitigazione e adattamento, tutt’altro che scontata. Le guerre e i conflitti rimangono la principale causa della fame nel mondo, e certamente il conflitto in Ucraina ha ulteriormente aggravato la situazione, stante il rapporto strettissimo da sempre esistente tra le produzioni agricole dei territori coinvolti e le importazioni di tanti paesi in via di sviluppo, fortemente dipendenti per le forniture di cereali e fertilizzanti essenziali per la tenuta delle comunità e delle produzioni agricole.

Gli stessi effetti socioeconomici della pandemia si stanno ancora facendo sentire. La combinazione di questi shock multipli ha portato a pesanti incertezze sui mercati, aumenti radicali dei costi di produzione dovuti alla crisi energetica e impennate dei prezzi delle materie prime alimentari. L’inflazione alimentare rimane assai elevata anche da noi e tocca percentuali impressionanti altrove: dal Venezuela (450%) al Libano (304%) all’Argentina (118%). La speculazione è sempre in agguato.

Complessivamente, rispetto al periodo pre pandemico, oltre 122 milioni di persone in più soffrono di insicurezza alimentare portando a oltre 730 milioni le persone a rischio fame cronica. La situazione in Asia e America Latina non è peggiorata mentre in Medio Oriente, Caraibi e sopratutto in Africa le condizioni alimentari si sono aggravate. Pandemia, crisi climatica e guerre ci hanno fatto riscoprire le fragilità e le storture dei sistemi alimentari e al tempo stesso hanno fatto emergere anche la loro assoluta centralità in termini geopolitici. Perché anche in un mondo globalizzato, veloce e interconnesso occorre capire dove e come si produce cibo sano, sicuro e sufficiente.

Il fatto è che la comunità internazionale ha ancora un’agenda agricola e alimentare piena di sfide da condividere e gestire. Abbiamo già detto, prima di tutto, della rivoluzione climatica in atto che sta cambiando le condizioni degli ecosistemi. Ma si pensi, conseguentemente, anche al rischio di nuove zoonosi e pandemie. O alle tendenze che ci indicano che entro il 2050 ben sette persone su dieci vivranno nelle aree urbane del pianeta. Di fronte a tutto questo, scienza e innovazione, se ben calibrati al servizio di tanti e non solo di pochi, possono certamente aiutarci a produrre meglio, consumando meno. Possiamo avere colture più resistenti alle crisi idriche, sprecare meno acqua, usare meno input chimici. Ma sono essenziali anche nuove regole internazionali, a partire dai mercati.

Apertura e regole comuni rimangono leve importanti per sostenere in particolare le economie (anche agricole) emergenti. Al fondo, il tema della sostenibilità sociale ed economica nell’accesso al cibo — ovvero del grado di equità ed eguaglianza del sistema — rimane il centro della sfida insieme alla sua sostenibilità ambientale. Ancora oggi, il continente africano rappresenta il cuore del dramma della fame e il Mediterraneo è sempre di più un crocevia dei mutamenti più direttamente connessi alla insicurezza alimentare di milioni di persone.

All’Italia tocca un compito assai rilevante. Ci può essere una diplomazia agricola e alimentare mediterranea utile a rafforzare cooperazione e sviluppo in particolare in questo quadrante del mondo, favorendo la gestione comune delle grandi sfide del nostro tempo. Ce n’é abbastanza per impegnarsi per una nuova visione multilaterale. La storia degli ultimi anni ci dovrebbe insegnare che non tutti i paesi vengono colpiti allo stesso modo dagli shock globali, ma nessuno può bastare a se stesso per uscirne.

Sorprende fino ad un certo punto rileggere oggi alcune pagine di storia e scoprire la similitudine del dibattito che i paesi aprirono agli inizi degli anni ‘50 del secolo scorso attorno all’idea di strumenti comuni per immagazzinare e gestire beni agricoli primari per fare fronte alle crisi. Oggi, un po’ ovunque, si ragiona anche di autonomia strategica alimentare. È chiaro che l’impalcatura multilaterale nata dopo la seconda guerra mondiale ha certamente bisogno di cambiare e migliorare per svolgere al meglio il proprio ruolo nel tempo che stiamo vivendo. La sua essenza rimane straordinariamente attuale e il tema della governance globale ha acquistato un significato ma ancora più rilevante. Di certo, per battere la fame c’è bisogno di costruire un nuovo equilibrio. Ambientale, economico e sociale. Le risposte per arrivare a questo migliore equilibrio ci sono e ci possono essere, ma occorre la volontà di volerle perseguire, qui e ora. Roma ospita un vertice il cui obiettivo primario dovrà proprio essere quello dell’implementazione operativa di soluzioni nei territori. C’è davvero da impegnarsi a fondo perché questo avvenga con la massima forza.

*Vicedirettore Generale FAO