di Vincenzo Scalia
Il Manifesto, 18 settembre 2024
Se gli adulti uccidono per una borsa e passano sopra il cadavere, dai giovani, cosa ci aspettiamo? L’omicidio di Said Malkoun ad opera dell’imprenditrice Cinzia Del Pino, alla quale era stata sottratta la borsa dal sedile della propria autovettura, scoperchia il vaso di pandora del securitarismo italiano. La macchina di produzione della paura, ovvero forze politiche, media e social, da anni insiste sull’equazione tra migranti e criminalità, stigmatizzando oltre l’eccesso gli atti devianti o di violazione della legge compiuti dai migranti. In nome delle minacce plurime incarnate da questa classe pericolosa, tra le cui fila allignano periodicamente ladri, rapinatori, spacciatori, stupratori, pedofili e terroristi, si giustifica ogni reazione da parte delle “vittime” italiane, anche a costo della violazione della legge.
Una parte dell’opinione pubblica italiana fa di Cinzia Del Pino una vera e propria eroina, icona dei cittadini onesti spazientiti dalle vessazioni e dalle prepotenze messe in atto dai migranti. A dispetto non soltanto dell’omicidio commesso, ma anche del modo in cui ha infierito sulla vittima, schiacciandola con la propria auto contro una vetrina di un negozio ben quattro volte. Qualcosa non funziona all’interno di queste rappresentazioni, ed è figlia del legalitarismo, dell’ossessione per la proprietà privata, della domanda di sicurezza che da un trentennio attraversano la società italiana.
Da anni, dai settori più affluenti e integrati, proviene la domanda di potere difendere legittimamente la propria roba (in senso verghiano) e la propria incolumità, facendo uso delle armi. Non a caso, sono stati varati provvedimenti che ampliano la legittima difesa e autorizzano la formazione di gruppi di sicurezza composti da privati cittadini. Leggi ispirate dalla dicotomia tra italiani buoni e migranti cattivi, che hanno già sortito i loro effetti. Si pensi ai fatti di Voghera del 2019, quando Younes Boussettaoui venne ucciso in piazza da un ex assessore, e agli svariati casi di cronaca, prevalentemente al nord, di imprenditori che sparano ai migranti autori di presunte o effettive effrazioni.
Eppure non si tratta di un fenomeno politicamente connotato, in quanto anche al di fuori del centrodestra circolano pulsioni analoghe. La cultura legalitaria, che pone enfasi sul binomio legge e ordine, e considera qualunque atto contrario alle leggi esistenti un fatto criminale in sé, degno di riprovazione morale, è diffusa anche a sinistra. La domanda di pene più severe e di carcere è fortemente diffusa anche tra quei settori dell’opinione pubblica che si autodefiniscono libertari, sfociando talvolta in quello che Tamar Pitch definisce il femminismo punitivo. Viceversa, in contesti analoghi, c’è chi, scorgendo questo pericolo, sottolinea la necessità di garantire l’autodifesa anche per mezzo del possesso e dell’uso di armi. Legalitarismo e giustizia fai da te rappresentano due facce della stessa medaglia, in quanto si abdica definitivamente alla possibilità di stabilire forme di convivenza civile basate sul rispetto reciproco e sull’implementazione dei diritti, alimentando un clima di insicurezza e di sfiducia che, in ultima analisi, si ritorce sempre contro i gruppi sociali più marginali.
In particolare, ci viene in mente il panico morale che, nell’ultimo lustro, si è scatenato nei confronti dei minori, culminando, dopo i fatti di Caivano, nel varo di un provvedimento che nei fatti ha distrutto la giustizia minorile e prodotto un sovraffollamento degli Istituti Penali Minorili (IPM), mai visto prima. Il problema della devianza minorile è lungi dall’essere risolto. Anzi, pochi giorni prima della tragedia di Viareggio, un giovane di 16 anni, Fallou Sall, è stato accoltellato a morte da un suo coetaneo. Sono partiti i dibattiti sui giovani violenti, che portano e usano i coltelli con facilità. Ma se gli adulti uccidono per una borsa e passano sopra il cadavere, dai giovani, cosa ci aspettiamo?