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di Fulvio Fulvi

Avvenire, 21 settembre 2024

Viaggio a Vigevano, nella Casa di Reclusione dove chi è stato condannato può ripartire grazie a un impiego come operatore di call center. La direttrice dell’istituto: dobbiamo dare nuove opportunità. C’è Vito, 57 anni, che si commuove dal palco quando racconta la sua storia: “Mi sentivo inutile alla mia famiglia e a me stesso ma in carcere ho preso il diploma di terza media e adesso, dopo un corso di formazione, mi hanno dato un vero lavoro e posso mandare ogni mese qualche soldino a casa, sono fortunato se penso che alcuni di noi si sono persi per strada, a volte si arriva al peggio”.

Lui, come tutte le altre 350 persone ospitate nella Casa di Reclusione di Vigevano, in provincia di Pavia, ha una pena pesante sulle spalle. Perché gli errori, pure gravi, si commettono e si possono ripetere, più volte ma uno spiraglio di luce che filtra tra certe sbarre non manca mai. E da quel barlume può nascere una speranza. Lo sa bene anche Mauro, che da cinque anni sconta la sua condanna nell’istituto lombardo dopo averne girati altri nove “senza aver combinato nulla”. “Stavo per ore sdraiato sulla brandina - dice con voce rotta - e durante la giornata svolgevo piccole mansioni di servizio come scopino e portavitto, adesso invece ho un contratto di lavoro con una ditta, comincio a credere in me stesso, mi sto guadagnando uno stipendio e una rispettabilità”.

E con loro ci sono anche Alessandro, Omar, Giovanni e altri ragazzi che hanno imparato a sorridere e mostrano con orgoglio la loro postazione davanti a un computer, in una sala nuova di zecca dove c’è pure l’aria condizionata, dentro questo edificio che a vederlo da fuori sembra una fortezza, distante una manciata di metri dalla frazione di Piccolini, nelle campagne intorno al naviglio pavese. In diciotto, per il momento, sono stati assunti a tempo pieno (per tredici mesi con possibilità di conferma) a partire dal I° ottobre come operatori del cali center (nove di loro stanno già lavorando).

Il progetto si chiama “In carcere non si finisce... si ricomincia” ed è stato realizzato grazie all’impegno della direttrice dell’istituto, Rosalia Marino, in collaborazione con le imprese sociali “bee.4 altre menti” e “Divieto di sosta”. Aziende partner sono la società di telecomunicazioni Eolo spa, l’azienda di produzione Dolomiti Energia, la Sielte e la TeamSystem che hanno messo a disposizione dei reclusi più meritevoli, dopo un’accurata selezione e formazione professionale, impieghi finalizzati all’erogazione dei servizi di assistenza ai loro clienti. Mansioni delicate, che devono essere svolte con la necessaria preparazione tecnica e comunicativa.

“L’iniziativa è nata dopo una visita al carcere di Bollate - afferma la direttrice del penitenziario - e, vedendo i risultati, abbiamo “copiato” da loro, non volevamo arrenderci all’idea che Vigevano dovesse essere un carcere privo di opportunità e di speranze”. Un passo avanti è stato fatto. Ma c’è la consapevolezza che bisogna continuare su questa via.

“Crediamo che all’interno dei luoghi di pena siano custoditi tanti talenti che chiedono di essere svelati - sottolinea Pino Cantatore, presidente della cooperativa “bee.4 altre menti” - nel corso degli undici anni di storia della nostra impresa sono state tante le persone che hanno avuto modo di scoprire inedite prospettive di futuro, ci sentiamo investiti di una missione: portare oltre le mura di Bollate quanto di buono abbiamo sperimentato sin qui, offrendo alle persone che vivono in carcere, anche in contesti difficili come quello di Vige vano, opportunità per ricominciare”. Il progetto sembra aver sconvolto la vita del carcere dove pure grazie all’impegno dei gruppi di volontariato (la Caritas è presente con uno sportello di ascolto e un laboratorio di sartoria) e del personale di polizia e amministrativo, le attività, nelle due sezioni, sono rifiorite: chi non è potuto entrare tra gli assunti si è dato da fare per produrre miele, realizzare oggetti in cuoio e in legno. La speranza è uscire da qui con una prospettiva concreta. Non a casa le magliette che i detenuti indossavano ieri orgogliosi, mostravano una scritta che è essa stessa un programma: “La via d’uscita è dentro”.