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di Alessandro Parrotta

Il Dubbio, 8 settembre 2023

Il processo è una pena, il carcere è una pena, parrebbe ora, per il fisco italiano, esserlo anche per il possesso di un immobile. Il caso, che dalla rassegna stampa consta di un unico e simile precedente nel 2013, riguarda la vicenda di un soggetto recluso e condannato a una lunga pena detentiva che - uscito dall’Istituto per terminata espiazione - si è trovato destinatario di molteplici avvisi di accertamento e intimazioni di pagamento per non aver corrisposto l’Imu su quella che - ad avviso del Fisco - era nel frattempo diventata la “seconda” casa, ritenendo l’Ufficio che l’Istituto di pena presso cui e per il tempo nel quale il soggetto era stato recluso potesse considerarsi a tutti gli effetti come “nuova” prima abitazione.

Più nel dettaglio, in ossequio a quanto disposto dall’art. 13, comma II, del D. L. n. 201/ 2011, “L’imposta municipale propria non si applica al possesso dell’abitazione principale e delle pertinenze della stessa Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”.

Secondo, dunque, l’interpretazione formalistica (e, occorrerebbe dire, forse un po’ cieca) del fisco, il soggetto detenuto, coattivamente residente e dimorante abitualmente presso l’istituto di pena, merita la tassazione sull’immobile posseduto - la cd. prima casa - in quanto abitazione non (più) principale, sostituita questa dal carcere! Non fa una piega… Numerose sono state le impugnazioni dei plurimi avvisi di accertamento ricevuti, tutte rigettate dalla giustizia tributaria. Una vicenda, dunque, al limite del paradosso, che impone riflessioni - prima che di carattere giuridico - di umanità, solidarietà e buon senso. Su queste ultime, ciascuno ha la sua personale coscienza.

Con riferimento, invece, a considerazioni di carattere giuridico valga osservare - tra tutte - l’erronea interpretazione data dal Fisco al dettato normativo sopra richiamato. Il (pre) requisito cardine ai fini dell’esenzione dal versamento dell’Imu è che il contribuente sia possessore dell’immobile principale in cui abita. Solo questo aspetto basterebbe per comprendere come un soggetto detenuto non possa dirsi in alcun caso possessore o titolare di altro diritto reale sull’Istituto di pena o sulla cella in cui “vive”. Questo semplice dato di fatto, a parere di chi scrive, è più che sufficiente per ritenere che - seppur astrattamene il soggetto recluso risieda e dimori abitualmente altrove (in carcere) il mutamento dello status libertatis (da libero a detenuto) non comporti certamente il mutamento dell’animus possidendi: il soggetto continua a essere proprietario e possessore di un solo e unico immobile, sebbene non vi risieda e dimori più abitualmente.

I precedenti, come si diceva, sono scarsissimi, eppure - a livello sistematico - qualche ulteriore considerazione è possibile svolgerla. Anzitutto, valga osservare come la norma sia stata oggetto a più riprese di interventi “correttivi” da parte della Corte Costituzionale per situazioni che - pur diverse da quella qui in esame - erano accomunate dalla medesima disparità e irragionevolezza. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 209 depositata il 13 ottobre 2022, si è espressa - ad esempio - sulla vexata quaestio relativa al riconoscimento dell’esenzione dall’Imu ai coniugi che risiedono anagraficamente o dimorano abitualmente in immobili diversi. La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quarto periodo, D. L. n. 201 del 6 dicembre 2011, poiché, il citato articolo, disponendo che per poter accedere all’esenzione dall’Imu occorre il duplice requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale e non considerando sufficiente la sola residenza anagrafica, si pone espressamente in contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 3, 31 e 53 Cost.

Non solo, merita poi menzionare un’ipotesi di esenzione dal pagamento dell’Imu assai simile a quella che caratterizza i soggetti detenuti, ossia quella dei pensionati stabilmente ricoverati in strutture sanitarie e di riposo che mantengono la residenza nella prima casa. L’articolo sopra citato, infatti, prevede che “I comuni possono considerare direttamente adibita ad abitazione principale l’unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata”.

In definitiva, per il principio di ragionevolezza (trattare parimenti situazioni simili e diversamente situazioni dissimili) di cui all’art. 3 Cost. sembrerebbe proprio che il Legislatore, con un intervento ad hoc, ovvero la Consulta, nei limiti e nel rispetto della sua cognizione, dovrebbero porre fine a questa triste disuguaglianza sociale. Anche in questo caso, l’italo fisco non manca di dispiegare tutte le sue carenze alle quali solo il Legislatore può porre definitivamente un punto fermo.