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di Patrizia Maciocchi

Il Sole 24 Ore, 4 gennaio 2023

Anche se la vittima va nella casa protetta per l’indagato resta la custodia in carcere. Il collocamento presso un centro antiviolenza non giustifica la sostituzione della misura con il divieto di avvicinamento. Per la Cassazione alla minore libertà della vittima non può corrispondere una maggiore libertà per il presunto aggressore.

Il collocamento della vittima di violenza domestica, e dei suoi figli, presso una casa protetta, non giustifica la revoca della custodia cautelare in carcere per il presunto colpevole. La Cassazione, respinge il ricorso dell’uomo, che chiedeva di sostituire la misura più restrittiva, con il divieto di avvicinamento. A suo dire, infatti, la circostanza che la moglie, dalla quale era separato, e figli fossero stati accolti in un centro antiviolenza, un luogo da lui non raggiungibile, sgombrava il campo dal rischio di nuovi “incontri”.

Per il difensore, considerata l’incensuratezza dell’indagato, sarebbe stato ragionevole adottare una misura meno afflittiva del carcere, come il divieto di avvicinamento, congiunto all’obbligo di allontanamento dalla casa familiare. La Suprema corte fa invece altre valutazioni. Sul no dei giudici pesa il quadro indiziario a carico del ricorrente, basato sulle dichiarazioni della persona offesa, la sua incapacità a contenere l’aggressività, dovuta sia all’uso di alcol sia ad un senso di rivalsa verso l’ex, anche dopo l’accoglienza della famiglia nella casa rifugio.

L’incapacità di controllare l’aggressività - Agli atti c’era anche il suo tentativo di scoprire il luogo nel quale si trovava la sua ex con i minori, grazie a informazioni che aveva cercato di avere presso la scuola frequentata dai figli. Per i giudici di legittimità la scelta della custodia in carcere è sopportata da una motivazione adeguata, che ha tenuto conto della estrema gravità dei fatti. Aggressioni con lesioni ripetute nel tempo, accompagnate da minacce di morte. Mentre dell’elemento novità dell’accoglienza della vittima nella casa rifugio viene data una lettura del tutto inappropriata. La collocazione di una persona in un centro antiviolenza non può, infatti, essere considerata, come chiesto dal ricorrente, un buon motivo per allentare le misure cautelari imposte all’imputato a tutela della persona offesa. La circostanza è, al contrario, la prova della pericolosità dell’aggressore. Né è logico pensare che ai condizionamenti della libertà della vittima, possa corrispondere una maggiore libertà d’azione per l’autore delle violenze.