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di Mattia Ugolini

viterbotoday.it, 2 agosto 2023

Nessuno vuole andare a fare il medico al carcere di Mammagialla. A denunciare la situazione è il Garante delle persone detenute della Regione Lazio, Stefano Anastasìa, ascoltato in audizione dalla settima commissione del consiglio regionale lo scorso 25 luglio.

Il focus era sullo stato dell’assistenza sanitaria negli istituti penitenziari laziali e, nel corso dei lavori, sono stati ascoltati anche i dirigenti delle Asl interessate dalle strutture sanitarie a servizio della popolazione detenuta. Anastasìa ha puntato il dito sulle tre criticità fondamentali, aggravate dal sovraffollamento che interessa la maggior parte degli istituti penitenziari del Lazio: l’inadeguatezza del nucleo traduzioni della polizia penitenziaria, preposto ad accompagnare i detenuti alle visite specialistiche all’esterno; la carenza di personale medico e paramedico all’interno degli istituti penitenziari; le gravi carenze nell’assistenza psichiatrica e la scarsità di percorsi alternativi al carcere sul territorio.

Da qui è emerso lo stato in cui versa Mammagialla, da cui i medici sono letteralmente in fuga. L’analisi del Garante dei detenuti, infatti, è stata in qualche modo confermata da Simona Di Giovanni, direttore amministrativo della Asl di Viterbo, la quale ha riferito che gli avvisi per l’assunzione di nuovo personale sono andati deserti e che la teleradiologia e la telecardiologia sono già attive nel carcere viterbese, ma non è possibile implementare altri ambiti per problemi legati alla fibra ottica. In poche parole, nessun dottore pare disposto a prestare servizio nella casa circondariale, su cui già grava la crisi del personale di polizia penitenziaria. La situazione a Mammagialla è critica anche per quel che riguarda le violenze ai danni degli agenti, ormai all’ordine del giorno, ed il sovraffollamento delle celle, come riportato dai sindacati.

Tuttavia, gli stessi problemi di Viterbo sembrano tediare anche altre Asl laziali come, ad esempio, quelle di Civitavecchia, Velletri e Rieti: “Non si trovano medici penitenziari, preferiscono andare a fare la guardia medica”, ha detto Livio Bernardini, dirigente medico del carcere reatino. “Occorre una riflessione - ha concluso il Garante dei detenuti - per capire come si possa incentivare la presenza di personale, riconoscendo che la prestazione di servizio sanitario all’interno di un istituto di pena è obiettivamente la prestazione di un servizio in una sede disagiata e che quindi bisognerà trovare degli incentivi. Molti giovani medici o esercenti professioni sanitarie se possono scegliere se fare il medico o l’infermiere dentro un carcere o farlo sul territorio ovviamente scelgono di farlo sul territorio. Noi dobbiamo sapere che la scelta di lavorare in carcere, come alcuni dei presenti fanno da tantissimi anni, può diventare una vocazione ma in qualche modo deve essere incentivata”.