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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 18 novembre 2023

Nel corso della terza udienza preliminare svoltasi il 16 novembre presso il tribunale di Viterbo, la procura generale di Roma ha formulato richieste di condanna nei confronti di tre imputati legati alla tragica morte del detenuto egiziano Hassan Sharaf nel luglio del 2018. L’ex direttore del carcere, Pierpaolo D’Andria, è stato accusato di omicidio colposo e omissione di atti di ufficio, mentre il comandante della polizia penitenziaria Daniele Bologna e l’agente Luca Floris affrontano l’accusa di omissione di atti d’ufficio per il mancato trasferimento di Sharaf in un carcere minorile.

La richiesta di condanne avanzata dal sostituto procuratore generale Tonino Di Bona prevede 12 mesi di reclusione per D’Andria e otto mesi ciascuno per Bologna e Floris. È importante notare che tutti e tre gli imputati hanno scelto di essere giudicati col rito abbreviato, il quale, in caso di condanna, consente lo sconto di un terzo della pena. Il detenuto egiziano di 21 anni, Hassan Sharaf, si è impiccato nella sua cella di isolamento nel carcere di Viterbo, notizia che ha scosso l’opinione pubblica e sollevato domande sulla gestione penitenziaria.

La madre, la sorella e il cugino di Sharaf sono parti civili in questo processo. Durante l’udienza del 16 novembre, si è discusso sia della pubblica accusa che delle testimonianze delle parti civili. È emerso che Sharaf, nonostante il provvedimento disciplinare in isolamento, avrebbe dovuto trovarsi in un istituto penale minorile secondo la sentenza del tribunale dei minorenni di Roma. La procura ha sottolineato che la sua detenzione al “Mammagialla” era impropria e che le condizioni del detenuto richiedevano un monitoraggio attento, considerando il rischio di suicidio. In un precedente sviluppo del caso, il ministero della giustizia e la Asl sono stati citati come responsabili civili, e medici e poliziotti sono stati coinvolti nei procedimenti ordinari per omicidio colposo.

L’udienza successiva, fissata per il 7 dicembre, si concentrerà sulle arringhe dei difensori degli imputati, mentre il 22 febbraio è prevista la camera di consiglio per decidere sui riti abbreviati e un eventuale rinvio a giudizio per altri imputati. Sulla vicenda di Sharaf la procura di Viterbo aveva aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio che ha poi archiviato. La sua vita, nel luglio del 2018, si è tragicamente interrotta quando si è impiccato nella sua cella presso il carcere di Viterbo, noto come “Mammagialla”.

Gli avvocati della famiglia del giovane egiziano hanno ottenuto, però, la riapertura del caso e l’avocazione. La procura generale di Roma, infatti, ha tolto le indagini ai magistrati viterbesi e le ha portate avanti in autonomia svelando dettagli raccapriccianti sulla gestione penitenziaria e le circostanze che hanno portato alla morte di Sharaf. L’avviso di conclusione delle indagini, firmato dal sostituto procuratore generale Tonino Di Bona, ha notificato sei persone, quattro delle quali sono state indagate per omicidio colposo in concorso. Questi includevano il direttore del carcere, medici e membri del corpo della polizia penitenziaria.

La procura generale ha sottolineato che, in base alla sentenza del tribunale dei minorenni di Roma, Hassan Sharaf avrebbe dovuto scontare una pena di quattro mesi in un istituto penale minorile. Tuttavia, al momento dei fatti, si trovava “impropriamente detenuto” presso la casa circondariale di Viterbo. La ricostruzione dettagliata della procura ha rivelato che Sharaf non avrebbe dovuto essere nella cella d’isolamento il 23 luglio 2018, data in cui ha compiuto il gesto estremo. Una sanzione disciplinare, che escludeva l’attività in comune, era stata applicata il 9 aprile 2018 mentre il detenuto era ancora in espiazione di pena per un reato commesso quando era minorenne. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale dei minorenni di Roma aveva chiaramente specificato che Sharaf avrebbe dovuto essere trasferito in un istituto penale minorile. Nonostante le condizioni particolari di Hassan Sharaf, soggetto tossicodipendente e con problemi psichiatrici, il provvedimento disciplinare è stato eseguito.

Le tragiche circostanze hanno portato alla morte di Sharaf, che si è impiccato con una corda artigianale ricavata da un asciugamano legato alla terza sbarra della finestra a grate della sua cella. Subito dopo la sua morte, il garante dei detenuti del Lazio Steano Anastasìa ha presentato un esposto e aperto un fascicolo per istigazione al suicidio, sottolineando che Sharaf era stato maltrattato da due agenti prima di essere trasferito in isolamento. Nonostante la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura, la famiglia del giovane egiziano ha strenuamente opposto resistenza, cercando giustizia per la tragica fine del loro caro.