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di Erika Pontini

La Nazione, 11 febbraio 2024

Viaggio nella Rems di Volterra, un ex manicomio che oggi ospita 30 persone. Inferriate di 5 metri e muri scrostati, il direttore Lazzerini: “I lavori sono fermi”. Dario faceva il dj, adesso per passare il tempo dietro le sbarre, in attesa di scontare la misura di sicurezza, disegna continuamente una grande sala con archi e colonne, come fosse un carcere antico, sempre lo stesso soggetto di cui è tappezzata la stanza. “Almeno mi tengo impegnato”.

Pochi metri quadrati, tre letti da ospedale, un vecchio armadietto arancione, nessun bagno vicino e i segni maledetti dell’umidità che hanno scrostato ovunque i muri, trasformando quello che dovrebbe essere un luogo di cura in un alloggio del tutto precario. E temporaneo da nove interminabili anni. Niente a che vedere con un ospedale moderno. E pensare che qui dentro si cura la mente oscura di assassini, piromani e violentatori. Condannati a curarsi perché seppur infermi o seminfermi di mente sono socialmente pericolosi.

Volterra, in provincia di Pisa, è un posto dove non si arriva per caso. Ci si arrampica per una strada tortuosa tra i boschi dove anche l’Anonima sequestri, negli anni bui, fece base per nascondere i rapiti e Hollywood la scelse per ambientare Twilight, il colossal sui vampiri. Ma è stata l’unica città della Toscana, delle nove candidature iniziali, a non essersi opposta alla Rems, una delle 31 residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive in Italia, volute dal legislatore nel 2014 quando si decise di abolire gli ospedali psichiatrici giudiziari. Sarà perché “Volterra era nota come la città dei matti, tanto che arrivò ad ospitare 5mila pazienti negli anni ‘60”, ricorda Ivano Fulceri, capo degli infermieri.

La Rems è sorta proprio nei vecchi padiglioni del manicomio. Tutto uguale, se non fosse per la seconda inferriata alta 5 metri, innalzata dopo che uno degli ospiti cercò di fuggire. Dentro la sensazione è che il tempo si sia fermato: ciò che è stato rinnovato è diventato vecchio e quello che era già vecchio è ormai logoro. Avviata nel 2015 con 30 posti per Umbria e Toscana: ora ospita 28 uomini e due donne insieme.

Doveva essere una struttura provvisoria in attesa del nuovo immobile da 40 posti. Per nove anni il silenzio ma l’anno scorso l’Asl, pochi giorni dopo il delitto della psichiatra Barbara Capovani per mano di un ex paziente, l’accelerazione con la pubblicazione bis della delibera dell’Asl. Insomma l’agenda della politica dettata dalla follia criminale.

“I lavori si sono fermati”, spiega il direttore Fabrizio Lazzerini. E i 10 milioni stanziati oggi non bastano più. Mentre la lista di attesa delle Rems si gonfia: “Settanta in attesa in Toscana? Molti di più”, chiosa il direttore. In Italia sono 700 in fila. Qualcuno in carcere senza titolo, altri liberi in attesa di internamento. Il turn over è difficile. “Le misure di sicurezza sono in aumento e le Rems non rappresentano più l’extrema ratio”, prosegue Lazzerini.

Da quando la Cassazione inquadrò come malattia psichiatrica anche la sfera dei disturbi della personalità e del comportamento, aprendo le porte a tossicodipendenti e alcolisti. Ma la fila resta inchiodata anche per la difficoltà dei servizi territoriali di gestire il reinserimento. E l’aumento di pazienti extracomunitari senza famiglie e legami fanno sì che la Rems sia l’unica possibilità. C’è chi vi rimane ben oltre il percorso di recupero, oltre i 700 giorni di media.

Poi ci sono gli internati a rischio ergastolo bianco. Sergio Cosimini, accusato di aver ucciso senza motivo prima Antonio Cordone, ex calciatore e allenatore fiorentino, poi due carabinieri a Siena, è dentro da trent’anni. Fu il primo trasferito dall’Opg di Montelupo. O Federico Bigotti che nel 2016 a 21 anni uccise la madre a coltellate a Città di Castello. C’era anche lui nella famigerata lista d’attesa: per più un anno rimase nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Perugia e alla fine è arrivato a Volterra.

“Sarebbero internati, per noi sono ospiti”, sottolinea Antonella Notaro, coordinatrice degli educatori. Perché la gestione di pazienti difficili si fonda anche sulla mediazione, oltre che su terapie farmacologiche e psicoterapiche: restituire alla società chi può anche aver ucciso in preda a una patologia mentale non è affare di poco conto. E con una struttura inadeguata, ancor più complicato. Le sbarre sono ovunque, anche sulle scale, le porte blindate si aprono solo quando gli altri settori sono chiusi, e un sistema di telecamere monitora gli spazi comuni, collegato con la sala operativa affidata alla vigilanza privata. Al piano intermedio è stata realizzata una scuolina per superare “le barriere linguistiche ed evitare incomprensioni”.

Basta una sigaretta negata a scaldare gli animi. “Qualcuno pensa di non avere niente da perdere” e forse è così. Lo studio spezza la monotonia, oltre alle partite di calcetto, lavoretti nell’ambito dei progetti di reinserimento. Nella Rems c’è un piccolo giardino ristrutturato dagli ospiti ma nessuna possibilità di praticare sport o relazioni affettive. Così il tempo diventa infinito. C’è una sala comune rabberciata con un vecchio divano, una tv, un biliardino. Un ospite appena vede il direttore si affretta a ricordargli la richiesta di un gazebo. “Sì, quando arriva la bella stagione”. In giardino si può fumare “e qui qualcuno si fa anche tre pacchetti al giorno”, confida Marco, il vigilantes. Si fuma per combattere la noia, per placare la tensione o anche solo per sentire l’aria sulla faccia.