di Annalisa Cuzzocrea
La Stampa, 11 febbraio 2023
L’ex presidente della Consulta: “L’Italia è forcaiola con l’anarchico che arriva a suicidarsi pur di colpevolizzare il nostro sistema”. “Il carcere duro nella visione di qualcuno deve fare spavento, tanto più efficace quanto più crudele. Ma questa idea è quanto di più lontano ci sia dalla nostra Costituzione”. “Lo Stato può ritenersi innocente, nel caso un uomo sotto la sua custodia si lasci morire, solo a una condizione: quella di avere la coscienza a posto”.
Per capire il senso profondo di quel che Gustavo Zagrebelsky dice sul caso Cospito, l’anarchico condannato al 41 bis in sciopero della fame da oltre 100 giorni, bisogna tornare al 1949. E precisamente, al terzo numero di una rivista fiorentina fondata da Piero Calamandrei: Il ponte. L’articolo che dà il via a quel numero - con contributi dello stesso Calamandrei, Emilio Lussu, Leone Ginzburg, Adele Bei - si intitola: “Bisogna aver visto”. Perché per parlare di carcere, per capire il carcere - spiega Zagrebelsky - “è necessario conoscerlo come lo conoscevano molti dei nostri padri costituenti”.
In quel numero Calamandrei scrive: “Mai come ora è presente nella nostra vita parlamentare la cupa esperienza dolorante della prigionia vissuta. Se neanche questa volta si facesse qualcosa per cominciare a portare un po’ di luce di umanità nel buio delle carceri, non si potrebbe addurre la comoda scusa burocratica della mancanza di precise informazioni!”...
“Quella rivista parlava del carcere che proveniva dal fascismo, ma poneva un problema più generale: la condizione carceraria. Un problema che negli anni successivi è stato oggetto di sparuti interventi, interrogazioni, perfino di una legge - la Gozzini del 1986 - che prometteva di alleviare le condizioni dei carcerati ritenuti meritevoli con percorsi di riabilitazione fuori dal carcere. Ma il nucleo fondamentale, l’esistenza del carcere come istituzione, non è mai stato toccato”.
Lei ha partecipato, insieme tra gli altri a Stefano Anastasia, Gherardo Colombo, Luigi Manconi, alla stesura di un libro manifesto che si intitolava: “Abolire il carcere. Una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini”. Un controsenso, una provocazione?
“Un libro provocatorio che prende atto di una realtà: il carcere non è sempre esistito. Un tempo i criminali venivano uccisi, li si mandava in esilio, li si fustigava. La nascita delle prigioni è stata a suo modo un passaggio di civiltà. Lo Stato dice: invece di ammazzarti ti teniamo sotto controllo. L’idea del carcere però è questa: prendi degli esseri umani e li metti dietro le sbarre”.
Persone che hanno fatto del male ad altre persone che la società ha il dovere di proteggere. Non sarebbe ingiusto rinunciare a farlo?
“È possibile che nel corso della civilizzazione non si sia inventato qualcosa di diverso dalle sbarre? Qualcosa che non elimini la pena, ma la trasformi da costrizione fisica in qualcos’altro? Il carcere con le sbarre andrebbe limitato alle persone violente e pericolose. Per il resto, sarebbe necessario immaginare forme diverse”.
Il discorso pubblico ha sempre trattato la condizione carceraria come marginale, ininfluente?
“Non è elettoralmente gratificante. E l’opinione pubblica, se non viene sensibilizzata come occorrerebbe, su questi temi è forcaiola. E qui veniamo al caso Cospito”.
Di cui, secondo la suddetta opinione pubblica, ci stiamo occupando tutti fin troppo...
“Innanzi tutto noi in questa discussione ci stiamo occupando delle condizioni dei detenuti, ma dovremmo occuparci anche di quelle delle guardie carcerarie, che in presenza di un carcere fatto come uno zoo sono portate a considerarsi guardiane dello zoo. Una situazione pesantissima che spiega lo scoppio di violenze e i suicidi anche tra di loro. Ma veniamo alla questione del 41 bis”.
Una misura eccessiva, in questo caso?
“Questa misura, nata dopo le stragi di mafia degli anni 90, doveva essere temporanea, emergenziale. E per questa ragione era demandata alla decisione del ministro della Giustizia, che in caso di emergenza poteva e può sospendere le normali regole di trattamento dei detenuti. Cospito è sottoposto al 41 bis come i boss di mafia perché è considerato ugualmente pericoloso per l’ordine pubblico. La misura è la stessa, ma la premessa sociale è molto diversa: da una parte c’è la mafia, dall’altra oggi c’è l’anarchia, ma un domani potrebbe esserci qualsiasi altra cosa lo Stato decida di considerare una minaccia”.
Alcuni di coloro che protestano a favore di Cospito lo fanno a suon di minacce, intimidazioni, o mettendo bombe sotto le macchine di diplomatici italiani nel mondo come Susanna Schlein...
“Loro sì, ma questo anarchico offre il suo corpo, la sua vita biologica, il soma, in una prova di forza contro lo Stato sfidandolo sul suo stesso terreno, cioè la Costituzione. Il che, essendo un anarchico, è un paradosso. Come Antigone contro Creonte, lo sciopero della fame di Cospito - visto dal suo punto di vista e da quello di chi lo difende - è una forma di resistenza civile spostata al limite del sacrificio personale”.
Ma vista dal punto di vista del governo, della sua maggioranza e di molti cittadini comuni, è un ricatto allo Stato...
“Certo. Perché mentre Antigone è l’innocente, Cospito si è macchiato di crimini orribili: la gambizzazione di un manager dell’Ansaldo, una tentata strage che per come era stata congegnata ricorda gli attacchi jihadisti, con due bombe messe l’una a poca distanza dall’altra alla scuola carabinieri di Fossano per fare più male possibile. Ma il punto è che come al solito l’interpretazione delle istituzioni segue logiche partitiche ed elettorali che nulla dovrebbero entrare in questa vicenda”.
Quali logiche?
“Hegel diceva: “Lo Stato sa quel che vuole. E non può essere costretto a volere altrimenti”. La maggioranza dice: tu vuoi piegare lo Stato, offri il tuo corpo contro di me come se fosse una bomba e vuoi farmi passare per Stato assassino. Ma sono io il custode della legalità, non tu. Si parla del possibile suicidio del detenuto come di un ricatto, ma più che altro si tratta - come per molti suicidi - di un atto di colpevolizzazione. Dove il colpevolizzato può far finta di niente solo a una condizione: che abbia la coscienza a posto”.
Possiamo averla?
“Nel caso di uno Stato la coscienza è la Costituzione, quindi le istituzioni devono poter dire: abbiamo rispettato la Costituzione. Una cosa è certa: non si può parlare di Stato assassino perché lo Stato non costringe nessuno a suicidarsi, né può impedirlo. Il potere di togliersi la vita a differenza di un tempo, quando anche quella era proprietà del principe, sfugge alla regolamentazione giuridica. Quindi dire “Stato assassino” è completamente fuori luogo. Resta la questione della buona coscienza”.
Che implicherebbe analizzare il caso Cospito al di là dello sciopero della fame, al di là delle minacce anarchiche, guardando solo ai principi della nostra Carta e ai diritti che vi sono inscritti?
“Uno dei problemi di questo Paese è che si sono persi i confini. Se fossimo stati in un momento politico diverso si sarebbe aperto un dibattito sulle condizioni carcerarie. Il 41 bis nasce per evitare i contatti tra chi è dentro e chi è fuori, ma è possibile che questo tentativo debba trasformarsi nel sepolcro di Antigone? Che la prigione debba diventare, per il detenuto che vi è condannato, una tomba? Due ore d’aria al giorno, ma nessun contatto. Divieto di avere libri, pezzi di carta, una matita con cui tenere un diario. Possibile che con tutti i nuovi strumenti di controllo che lo Stato ha grazie alle nuove tecnologie sia assolutamente necessario questo vuoto assoluto?”.
Ormai anche solo parlarne sembra un cedimento...
“Io parlo di un’eventuale revisione dell’istituto del 41 bis, non della sua abolizione. Di cercare un nuovo equilibrio tra le esigenze della sicurezza e quelle dell’umanità di cui la Costituzione si fa carico. Nel caso specifico di quest’anarchico, credo poi che vada fatta almeno una piccola riflessione sul fatto che la pericolosità dei detenuti per mafia sia molto diversa da quella di un detenuto per anarchia, visto che per sua stessa definizione l’anarchia non ha struttura, capi o esecutori. Sono cani sciolti. Posso citare Dostoevsky?”.
Può sempre...
“Come nei Demoni, che erano dei cospiratori, c’erano i quintetti, l’anarchia ha una struttura reticolare che è molto diversa da quella mafiosa. Ci sarà pure una riflessione da fare sul tipo di pericolosità e sulla possibilità di contrastarla con gli strumenti di prevenzione e repressione ordinari”.
L’alta sorveglianza con censura, come consiglia la Procura nazionale antimafia?
“Tutto ciò che eccede ciò che sarebbe possibile controllare con la tecnologica, attraverso strumenti ordinari, è ingiustificato ed è l’idea del 41 bis come super-pena. Il “carcere duro”, che nella visione di qualcuno deve fare spavento, tanto più efficace quanto più crudele. Ma questa idea è quanto di più lontano ci sia dalla nostra Costituzione”.