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di Giuseppe Bonaccorsi

Il Dubbio, 30 agosto 2023

Gli organi inquirenti avrebbero dovuto dimostrare, e non l’hanno fatto, che esisteva un “patto”, in questo caso tra l’ex presidente della Regione Sicilia e Cosa Nostra. La Corte di Cassazione ha depositato tre giorni fa le motivazioni della sentenza di assoluzione di Raffaele Lombardo, ex governatore della Sicilia e per molti decenni uomo forte della politica a Catania. Lombardo, nato politicamente con la Democrazia cristiana, è stato assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa nel marzo di quest’anno, a conclusione di un lungo processo durato quasi 13 anni e caratterizzato da numerosi colpi di scena, due sentenze contrastanti, sino al rinvio della Cassazione e al nuovo giudizio d’appello.

L’ultimo atto di un iter giudiziario lunghissimo è arrivato a destinazione nell’inverno scorso quando Piazza Cavour ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale di Catania avverso la sentenza di assoluzione dell’appello “bis”, e quindi ha confermato l’assoluzione con formula definitiva per l’ex governatore della Sicilia.

Nelle motivazioni, i giudici della Suprema corte spiegano che l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa può reggere soltanto se si dimostra “non la mera vicinanza al detto gruppo o ad i suoi esponenti, anche di spicco e neppure la semplice accettazione del sostegno elettorale dell’organizzazione criminosa, ma la prova del patto in virtù del quale l’uomo politico, in cambio dell’appoggio elettorale, si impegni a sostenere le sorti della stessa organizzazione in un modo che, sin dall’inizio, sia idoneo a contribuire al suo rafforzamento o consolidamento: irrilevante”, invece, “la concreta esecuzione delle prestazioni promesse, spesso rilevanti solo ai fini di prova”.

In sintesi gli organi inquirenti avrebbero dovuto dimostrare, e non l’hanno fatto, che esisteva un “patto”, in questo caso tra l’ex presidente della Regione Sicilia e Cosa Nostra. Serviva almeno una prova che dimostrasse l’impegno assunto dal politico a favorire i boss: per i giudici della Suprema Corte è stato dunque “corretto il ragionamento svolto nella sentenza di appello bis” del gennaio 2022, che appunto aveva già assolto Lombardo. “L’analisi della Corte d’Appello”, prosegue la Cassazione, “è stata svolta altresì sulla scorta di un puntuale e completo esame di tutte le risultanze processuali, sicché alcuna carenza od omissione dell’esame dei dati processualmente rilevanti inficia la scansione del ragionamento probatorio”.

Le motivazioni della sentenza a carico dell’ex governatore Lombardo ricalcano, per certi versi, quelle della sentenza Mannino, che pure venne assolto dal concorso esterno. Anche per l’ex ministro, i giudici della Suprema Corte sentenziarono che il fatto non sussiste perché non era stato provato alcun patto tra il politico e Cosa Nostra. Mannino venne arrestato nel 1992 con l’accusa di concorso esterno con alcuni gruppi mafiosi dell’Agrigentino. Scontò 9 mesi di carcere e 13 di arresti domiciliari. Nel 2001 ci fu per lui la prima assoluzione perché il fatto non sussiste, decisione poi confermata nel 2010 dalla Cassazione. L’assoluzione Mannino è diventata un caso giudiziario che ha fatto giurisprudenza e ancora oggi viene citato nelle aule dei Tribunali. Tra l’altro Mannino, ai tempi della militanza di Lombardo nella Dc, era capocorrente di quest’ultimo.

Raffaele Lombardo venne indagato per l’accusa di concorso esterno quasi 14 anni fa, ma non è mai andato in carcere. La sua carriera politica costellata da grandi risultati in realtà finì quando venne raggiunto dall’avviso di garanzia della Procura di Catania: per lui sono stati 13 anni di processi e di colpi di scena.