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di Raffaella De Santis

La Repubblica, 9 settembre 2023

Il fumettista e il sociologo attivista per i diritti umani insieme nell’incontro al Festival di Mantova. “Abolire gli istituti penitenziari non è un’utopia. Ma una questione di giustizia”. Pienone da concerto in Piazza Castello, eppure Zerocalcare e Luigi Manconi al Festivaletteratura di Mantova parlano di carceri. Un segno che si può. Si può affrontare un tema sociale prima di cena e avere applausi e attenzione. Un’ora e mezza serrata, moderati da Luca Misculin, durante la quale il sociologo e il fumettista cult hanno denunciato la disumanità degli istituti penitenziari: “Sono dannosi, abolirli non è un’utopia ma una questione di giustizia”, ha sintetizzato Manconi tra gli applausi del pubblico che per entrare aveva fatto una lunga fila. “Le carceri sono il nostro rimosso”. Entrambi d’accordo su questo, sul tentativo di relegare il male dietro le sbarre, che è poi un modo semplice per non vederlo, per far finta che non ci riguardi. “Se le carceri avessero pareti di vetro forse potremmo vedere che succede dentro”.

Zerocalcare non è la prima volta che denuncia. Per Internazionale aveva disegnato una storia sulle carceri italiane durante la pandemia, da Rebibbia a Santa Maria Capua Vetere.

Manconi fornisce dati che inchiodano la realtà alla disumanità: “In appena il 40% delle celle in cui sono rinchiuse detenute non c’è il bidet. Questo disprezzo nei confronti del corpo femminile è un’offesa alla dignità”. Il sovraffollamento (“l’odore del carcere è quello dei corpi ammassati”) è l’altro grande problema insieme a quella che Manconi ha definito efficacemente “l’infantilizzazione del detenuto, la sua riduzione a una condizione di minorità”. Il linguaggio diventa allora una spia: i moduli che i detenuti devono compilare per qualsiasi richiesta vengono chiamati dentro l’ambiente carcerario “domandina”, il detenuto addetto alle pulizie “scopino”, quello addetto alla spesa esterna “spesino”.

 Zerocalcare ha portato sul palco la sua Rebibbia: “Chi abita a Rebibbia è abituato al carcere: si vedono persone che aspettano le visite nel pratone, secondini che vivono in zona, padri con figli che aspettano l’apertura per le visite. Al tempo stesso però nel quartiere il carcere è un posto nascosto. Nessuno se ne accorge a meno che non si alza il fumo nero delle rivolte e senti rumore elicotteri”.

L’incontro con Salvatore Ricciardi, un detenuto condannato a 30 anni di carcere diventa allora per Zerocalcare il superamento di una linea, il momento in cui capisce in concreto che cosa significa essere rinchiuso e rivede anche alcune sue idee: “Salvatore Ricciardi veniva a lavorare alla radio dove tenevo una trasmissione, poi tornava a dormire in carcere. Quel signore mite e generoso ha cambiato l’immagine che avevo del carcere. L’ha cambiata molto più del carcere vero, Rebibbia, di cui vedevo solo le mura perché abitavo a 100 metri”.

Eppure preferiamo non vedere. Manconi insiste: “Da decenni si parla a Roma di spostare Regina Coeli e a Milano di spostare San Vittore. Di nuovo una rimozione, stavolta anche fisica, spaziale: cancellare al proprio sguardo il male ha una sua concreta attuazione attraverso le politiche urbanistiche, portando le carceri lontani dal centro storico”. A questo punto entra nel discorso la responsabilità politica.

Per Zerocalcare “il motivo per cui non parliamo di carcere è perché in questo momento il consenso politico si ottiene nel modo opposto”. Dunque meglio nascondere ciò che non porta voti? Altri dati, sempre Manconi: La frequenza suicidi donne è doppia rispetto uomini, all’interno della popolazione detenuta la frequenza dei suicidi è 16-18 volte superiori a quelli che avvengono fuori dal carcere, il 30% dei detenuti è costituito da tossicodipendenti e al momento nelle carceri italiane ci sono 19 bambini dai zero ai tre anni, reclusi con le loro madri. Sembrano pochi? “Io li chiamo gli ‘innocenti assoluti’. Per i quali il nostro sgangherato welfare non è stato in grado di realizzare case famiglia. È un dato che proprio per il numero esiguo di persone coinvolte è ancora più struggente”.

Infine la conclusione: “I dati dimostrano che le misure alternative al carcere sono più efficaci per abolire il rischio di recidiva: la recidiva da parte di coloro che hanno espiato in una cella chiusa è del 70%. La percentuale scende al 20% per chi è stato in detenzione domiciliare. Dunque quando diciamo di abolire carcere non parliamo di un’utopia ma di una misura più efficace. il carcere l’estrema ratio a cui ricorrere quando tutto gli strumenti si sono rivelati inutili”.