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di Corrado Zunino

La Repubblica, 28 gennaio 2024

“Vorrei tornare a lavorare con le bestie, ma il carcere mi ha fatto ammalare”. L’uomo in una conferenza stampa convocata dai radicali il giorno dopo la sua assoluzione in corte d’Appello: “Neppure oggi ho capito perché lo hanno fatto. Sono libero, ma devo pensare alla salute e a riposare la mente”. C’è la grande foto a muro con Marco Pannella che abbraccia il Dalai Lama e, sotto, seduto, Beniamino Zuncheddu, gli occhiali tenuti in punta sul naso adunco. Sussurra: “In questi 33 anni mi è mancato tutto, il mondo è andato avanti per conto suo, senza di me. Non riesco a spiegare, adesso, che cosa è stata questa prigionia a cui mi hanno costretto senza che avessi fatto nulla. Ho bisogno di riposo, riposo mentale, per capire. Lo troverò a casa di mia sorella Augusta”.

L’errore giudiziario più lungo d’Italia - Il giorno dopo la liberazione dell’uomo vittima dell’errore giudiziario più lungo d’Italia - 33 anni di carcere, una condanna all’ergastolo -, il servo pastore accusato di aver ucciso l’8 gennaio del 1991 tre persone rissose e vicine al mondo dell’Anonima sequestri, accusato contro ogni verità, ha lo sguardo perplesso, il sorriso che a tratti si fa dolore. Dice: “Sono stato un uccellino in gabbia, non potevo fare attività fisica, a volte non potevo neppure muovermi. Mi dicevano continuamente: ravvediti, confessa, ed esci, ma io non mi dovevo ravvedere di nulla, non avevo fatto nulla. Sì, vorrei salutare tutti gli altri uccellini, i miei amici detenuti, vorrei andare a trovarli, ma rivedere il carcere di Uta, quegli spazi senza luce, oggi è troppo duro per me”.

Una vita spezzata - Gli ha lasciato problemi fisici, la prigione di massima sicurezza venticinque chilometri a nord di Cagliari. L’ultimo rientro in cella, dopo la lunga licenza Covid, ha aggiunto un dramma al calvario: un’ischemia, che ha causato una paresi della parte destra del corpo, visibile nell’occhio senza mobilità. “Avevo perso la speranza, quel rientro è stato un lutto”.

La sua vita era entrata nel buio a 27 anni: “L’arresto è stato un colpo in testa. Anno dopo anno, sentenza dopo sentenza, mi hanno ogni cosa”, dice ora, che ne ha 59. “Non ho avuto la possibilità di farmi una famiglia, di lavorare. Non so nulla di possibili risarcimenti nel futuro, ormai quello che mi potevano rubare me l’hanno rubato”.

Il castello di menzogne - Venerdì sera, le nove e un quarto, la Corte d’Assise d’Appello ha sancito - definitivamente - che il filone investigativo che lo aveva portato in carcere, prima al Bad ‘e Carros di Nuoro e poi al Buon Cammino di Cagliari, era un castello di menzogne. Più che un errore giudiziario reiterato da diversi giudici, quell’arresto e quella detenzione erano stati un complotto per proteggere lo Stato e i suoi informatori, quando negli Anni ‘90 l’Anonima sarda viveva dei riscatti delle ricche persone sequestrate: Fabrizio De Andrè e Dori Ghezzi, il piccolo Farouk Kassam, l’imprenditrice Silvia Melis. “Abbiamo ricostruito la scena del delitto con le fotografie dai droni”, spiega adesso il comandante Mario Matteucci, ex carabiniere, consulente della difesa: “Tutto era incompatibile con la presenza di Zuncheddu quella sera all’ovile Cuili is Coccus”.

“Un estraneo dentro una strage” - “Beniamino non è stato un innocente coinvolto in un delitto, è stato un estraneo prelevato da casa e messo dentro una vicenda che non conosceva”, dice Maurizio Turco, segretario del Partito radicale che ospita la conferenza. Quella sera il servo pastore stava andando a trovare, come spesso gli accadeva, un amico invalido: gli hanno attribuito un agguato da commando paramilitare realizzato in tempi non umani. In 75 minuti il servo pastore avrebbe dovuto lasciare il domicilio di Burcei, lontano dall’ovile dei Fadda, ammazzare e tornare a casa. “Non reggeva nulla in quella ricostruzione, eppure è durata trentatré anni”, ora parla l’avvocato Mauro Trogu.

Si indaga, adesso, nei confronti del poliziotto Mario Uda, collaboratore stretto del procuratore Luigi Lombardini, il supermagistrato dei sequestri a cui si sono consegnati trentasette latitanti sardi nella lunga stagione dei rapimenti e che nell’agosto del 1998, indagato per estorsione nell’ambito del sequestro di Silvia Melis, si tolse la vita. L’investigatore Uda, fino a quella stagione nell’Interpol, andò in pensione dopo la morte di Lombardini, scrisse quindi libri autobiografici senza far cenno alle strategie di Stato e oggi esercita il mestiere di investigatore privato a Cagliari. Gli ultimi giudici hanno riconosciuto che è stato lui a mostrare al sopravvissuto della strage dell’ovile, Luigi Pinna, la foto di Beniamino Zuncheddu alla vigilia del riconoscimento tra sedici sospettati. Il poliziotto suggerì l’assassino mostrando un volto: “E’ stato lui”. Dopo settimane di dubbi e falsi riconoscimenti, il testimone chiave avrebbe confermato: “Sì, è stato Zuncheddu a sparare, l’ho visto”.

“Sto male, non so che farò” - Ora, sotto Pannella e il Dalai Lama, Beniamino Zuncheddu dice che non ha odio per nessuno, che anche Pinna è stato vittima di un sistema più grande di tutti. In quei giorni, esattamente tre dopo il triplice omicidio, nell’area venne liberato l’imprenditore Gianni Murgia, dopo che la famiglia aveva pagato un riscatto di 600 milioni di lire. I Fadda - Gesuino e Giuseppe, padre e figlio, proprietari dell’ovile tra le montagne di Sinnai e Burcei, e il loro dipendente Ignazio Pusceddu - conoscevano i rapitori e i custodi di Murgia. Uno dei sequestratori dell’imprenditore, confidente del pm Lombardini, aveva preso possesso dell’ovile di Cuili is Coccus subito dopo gli omicidi.

Beniamino Zuncheddu saluta la conferenza e chiede pazienza: “Ora voglio andare a casa, so che nella mia Burcei, ieri sera, hanno suonato le campane a festa. Voglio abbracciare tutti, ringraziare tutti e vedere se esiste una vita anche per me. Non riesco a immaginarla. Ero giovane, e sono vecchio. Ogni licenza concessa dal carcere, salivo in montagna e raggiungevo le bestie. Sto bene con loro. Avrei potuto lavorare nell’azienda zootecnica di mio genero e di mia figlia, ma adesso sto male. Non so se potrò farlo più. Sì, mi hanno liberato, ma oggi sono poco più di un cadavere. In carcere non ho mai fatto progetti, non volevo illudermi e adesso, uomo libero, potrei non essere più in condizioni di progettare”.