di Rino Bucci
Il Tirreno, 23 febbraio 2015
Gli attori della Compagnia della Fortezza in televisione per leggere il primo libro di Marco. "Un'esperienza unica". Stavolta niente trucco né scenografie provocanti ma solo la Parola, quella del Vangelo. I detenuti del carcere di Volterra che da anni seguono Armando Punzo nelle sue rappresentazioni e nel sogno-provocazione di un teatro stabile nella Casa di reclusione continuano a stupire. Il 22 febbraio, si sono misurati con uno dei testi sinottici, il Vangelo di Marco. E lo hanno fatto in televisione, nella trasmissione domenicale di Canale 5 "Le frontiere dello spirito" in cui il cardinale Gianfranco Ravasi commenta i testi sacri.
Rosario, Edmond, Gaspare, Ivan, Anton e un altro degli attori simbolo dell'esperienza volterrana, Aniello Arena si sono cimentati in questa avventura. Storie diverse di vita, esperienze di redenzione in salita che continuano a sorprendere ad ogni appuntamento. E poi Armando Punzo, che all'inizio degli anni 80 ha scoperto Volterra e ha creduto in un sogno che è diventato qualcosa più del semplice teatro in carcere ma che ha annullato le sbarre e, per un certo verso, rappresentato un'esperienza terapeutica senza precedenti.
I carcerati hanno letto, dal primo libro di Marco, i versi 12-15. Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo".
Poche righe ma significative che si legano a doppio filo con la loro esperienza di tentazione-redenzione. "Quando sono entrato in carcere ho visto gli attori della Compagnia della Fortezza nelle prove - ha raccontato Rosario, un detenuto - non avrei mai creduto di potermi esibire in pubblico. Invece ce l'ho fatta e da quel giorno mi sono sentito meglio. La lettura del Vangelo è stata diversa perché si basava solo sulla parola. Per un certo verso mi sono sentito ancora meglio perché so che quella Parola è importante per moltissime persone".
di Renzo Guolo
La Repubblica, 23 febbraio 2015
Ancora un video dell'Is. L'orrore a puntate questa volta mette in scena, nella sua logica terribile seriale, ventuno peshmerga curdi. Portati in giro, chiusi in gabbie, per le strade di una località indicata come parte del Wilayat di Kirkuk, zona della provincia irachena sotto il controllo jihadista. Anche questa volta, come già nelle spiagge libiche, i prigionieri sono trascinati, per il collo o il bavero, dai loro carcerieri non tutti in nero e a volto coperto.
Poi sono fatti entrare nelle gabbie. Costruzioni metalliche, disposte a quadrato, che non svolgono solo la funzione di custodirli e renderli visibili, in una sorta di panopticon islamista, a uso di sorveglianti e folle plaudenti, o intimorite, e delle fotocamere dei mujahidin; ma che rinviano, come già le tute arancioni, a Guantánamo e alle stie per umani nelle quali venivano reclusi i prigionieri degli americani. Ma qui, dopo il tragico rogo del giordano Muadh al-Kasasbeh, la gabbia evoca immediatamente il fuoco. E, puntualmente il video mostra proprio quelle fiamme. Come a lasciare intendere un destino già segnato.
Poi i prigionieri sono intervistati, o meglio interrogati, sulla loro identità, provenienza, appartenenza politica, confessione religiosa, da un comandante militare con tanto di microfono che parla in curdo. E che si rivolge, in primo luogo, alla popolazione locale. Sono loro, curdi come gli ostaggi, i destinatari del messaggio dell'Is. È a loro che l'uomo, in abiti beige e turbante bianco, si rivolge quando dice: "La nostra guerra non è contro i musulmani curdi ma contro gli infedeli e i loro infidi agenti".
Indicando come nemico i governanti curdi che non solo condividono una concezione etnica e non religiosa della loro identità ma sono anche alleati delle potenze "crociate" e dei "governanti empi" della Mezzaluna. L'interrogatorio-intervista, con gli insistiti primi piani, ha la funzione di mostrare il prigioniero ma anche di renderlo riconoscibile, di individualizzarlo.
Prospettiva che rende più naturale l'empatia con quanti vedranno il video e sperano, e magari premono, per la sua salvezza. Oppure solleva, nelle polverose strade mesopotamiche e in quelle solo apparentemente asettiche della Rete, la muta di caccia dei fautori dell'odio vendicatore che inneggiano alla morte del "miscredente" che ha osato combattere quanti si battono per i " diritti di Dio".
Le gabbie e il loro degradato contenuto sono poi issate a bordo di pick up bianchi, vigilate da uomini in nero che sventolano vessilli nero-cerchiati, e fatte sfilare tra una folla maschile apparentemente esultante. Il clamore della folla, reale o meno, è coperto dalla solita colonna sonora retoricheggiante che accompagna le "gesta" dei seguaci del Califfo Nero. Infine, cambio di scena, fatti scendere dai furgoni i prigionieri sono fatti inginocchiare con i soliti boia mascherati alle spalle. Questa volta non in morbide, anche se fatali, sabbie ma in un duro selciato. A monito di quanto sta per accadere, scorrono intanto le scene dell'orrendo sgozzamento dei copti sulle rive libiche. Poi, ancora primi piani delle vittime designate, affiancati da didascalici cartelli che ne ricordano identità e le " colpe".
Vite che sembrano troncate da quel cartello nero che scende di colpo come una ghigliottina. E che evoca un'imminente decapitazione. Un video che appare più sofisticato di quello sull'esecuzione dei copti che secondo la Fox sarebbe stato manipolato attraverso il "rotoscoping": tecnica che permette di "catturare" l'immagine da un altro video e inserirla in uno nuovo. Tra gli indicatori di questa manipolazione l'anomala altezza degli uomini in nero, che avevamo già segnalato. Del resto, a proposito di anomalie, era apparsa quanto meno incauta una simile esibizione di forza in una località che si voleva a pochi chilometri da Tripoli.
Troppo rischiosa, in un contesto militarmente instabile e in cieli affollati da droni. Il rotoscoping aveva, probabilmente, lo scopo di rendere il video più simile a quelli della "casa madre". Per trasmettere il senso che, Libia o Iraq o Siria, si tratta sempre della medesima battaglia. Condotta dal medesimo esercito: quello dell'Is. Del resto, nella guerra psicologica e di propaganda non è rilevante ciò che è vero ma ciò che è verosimile. E come tale la rappresentazione del massacro è volutamente apparsa. Di autentico bastano le vittime, quelle sì drammaticamente reali.
www.ilsussidiario.net, 23 febbraio 2015
È crisi diplomatica tra Brasile e Indonesia dopo che Marco Archer Cardoso Moreira, un cittadino brasiliano condannato a morte per traffico di stupefacenti, è stato fucilato senza che gli venisse concesso di ricevere i sacramenti.
È quanto denuncia Padre Charles Burrows all'agenzia australiana Fairfax Media sostenendo che per motivi non chiariti non gli è stato permesso di raggiungere il carcere dove era rinchiuso l'uomo per dargli i sacramenti della confessione e della comunione come prevede la legge. Moreira è stato fucilato il 18 gennaio scorso, padre Brown sottolinea come l'uomo fosse in stato di depressione estrema, letteralmente trascinato a forza fuori della cella mentre piangeva e si disperava per essere fucilato.
Tutto questo senza che gli fosse permesso di incontrare il sacerdote per un momento almeno di consolazione e di penitenza. L'ambasciata brasiliana in Indonesia ha espresso il suo disappunto per l'episodio chiedendo spiegazioni in merito.
I due paesi sono in mezzo a un duro scontro diplomatico: la scorsa settimana il presidente Dilma Rousseff ha rifiutato di riconoscere il nuovo ambasciatore indonesiano in Brasile. Tutto questo, sembra, perché recentemente il paese asiatico aveva condannato e ucciso già un altro prigioniero brasiliano, Rodrigo Gularte, nel braccio della morte dal 2004 per contrabbando di cocaina. L'uomo, secondo la difesa, soffriva di schizofrenia paranoie e per tale motivo gli si sarebbe dovuta evitare la condanna a morte.
Askanews, 23 febbraio 2015
Altro caso conferma crescente pugno duro della giunta militare. Due anni e mezzo di carcere per aver offeso il re in una recita teatrale per studenti: sono due giovani di 23 e 26 anni le ultime vittime della campagna di censura che la giunta militare tailandese porta avanti con pugno duro dopo il colpo di stato del 2014. L'opera incriminata per cui uno studente, Patiwat Saraiyaem, e un attivista, Porntip Mankong, finiscono dietro le sbarre si intitola "La fidanzata del lupo" ed è andata in scena a ottobre 2013 nella prestigiosa università Thammasat di Bangkok, in occasione del 40esimo anniversario di una rivolta studentesca repressa nel sangue dall'esercito.
"La corte ritiene che le loro azioni nel quadro di un dramma recitato davanti a un vasto pubblico abbia recato grave pregiudizio alla monarchia", ha concluso il giudice, leggendo il verdetto in un'aula colma di giornalisti, a testimoniare come questo caso sia diventato nel Paese del Sud-Est asiatico simbolo della repressione della libertà di parola. I due sono stati condannati per calunnia nei confronti della famiglia reale.
Con i piedi nudi incatenati, il 23enne Patiwat Saraiyaem e la 26enne Porntip Mankong, sono rimasti impassibili davanti alla sentenza, che stabilisce in realtà cinque anni di carcere, ridotti a due e mezzo in virtù della "confessione" dei due imputati, definita "utile" dal giudice. "Accettano il verdetto, non ci sarà appello", ha dichiarato il loro avvocato, Pawinee Chumsri.
di Andrea Giambartolomei
Il Fatto Quotidiano, 22 febbraio 2015
Il potere accentrato nelle mani di una persona, con un parlamento indebolito e i cittadini senza rappresentanza. Sette giorni dopo la nottata di discussione sul Ddl sulle riforme costituzionali, Libertà e giustizia e Anpi lanciano un nuovo allarme per salvare i diritti degli elettori.
di Errico Novi
Il Garantista, 22 febbraio 2015
Pm che fanno anche da Gip, custodia cautelare illimitata, è il sogno dei forcaioli e, sulla Rocca, una realtà. Custodia cautelare infinita. Indagati sbattuti dentro senza neppure si debba spiegare loro perché. Fase preliminare del processo che si chiude solo in caso di aperta confessione. È il meraviglioso mondo con cui parte della magistratura italiana sogna di sostituire l'attuale codice. Ma è anche la concretissima riforma proposta da una Commissione insediata a Palazzo Chigi e guidata, per volontà di Matteo Renzi, da Nicola Gratteri.
di Alberto Cisterna (Magistrato)
Il Garantista, 22 febbraio 2015
Il reato di "falso in bilancio" trasforma come sempre una questione delicata, sotto il profilo giuridico e sociale, in una crociata ideologica poco propensa a guardare la sostanza dei problemi. In tipico italian style, ossia l'unica democrazia in cui si spacchettano ed impacchettano reati non per colpire o allentare la morsa su certe condotte, ma per far prevelare una bandiera e consumare qualche vendetta. Un po' di chiarezza, allora, non guasta. Di processi per falso in bilancio, mediamente, in Italia se ne celebrano pochi, molto pochi.
di Leonard Berberi e Fabrizio Caccia
Corriere della Sera, 22 febbraio 2015
"C'è un solo modo per non farsi rubare i soldi dai ladri - confessò un giorno "Er Secco", autentica autorità a Roma in materia di furti in abitazione, ai carabinieri che l'avevano appena colto in flagrante. Qual è il modo? Mangiarseli, i soldi. Rinunciando a cucirli dentro il materasso o a nasconderli nel cestello della lavatrice. Perché tanto noi ladri ci arriviamo...".
Ansa, 22 febbraio 2015
"C'è una grande attenzione a verificare questi fenomeni, a controllare in modo peculiare e puntuale questa situazione all'interno dei penitenziari. Luoghi che non vanno sottovalutati perché possono essere punti di incontro e contatto. La vigilanza è molto attenta". Così il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Maria Ferri, rispondendo a una domanda sulle misure antiterrorismo in corso nei penitenziari, a margine di un convegno a Firenze.
di Giuliana Ubbiali
Corriere della Sera, 22 febbraio 2015
Il carpentiere: Yara mai salita sul mio furgone. Nuova istanza di scarcerazione depositata dall'avvocato. Massimo Bossetti in carcere gioca a carte, guarda la tv, incontra la moglie Marita tutte le settimane, una volta al giovedì e una al sabato, e ogni ultimo sabato del mese vede i tre figli. Mamma Ester e la sorella Laura Letizia vanno da lui in altri giorni.
I familiari hanno sei colloqui a settimana. Nella sezione protetta dove si trova dal giorno del suo compleanno, il 28 ottobre, dopo quattro mesi in isolamento, il carpentiere accusato di aver ucciso Yara parla poco o nulla del suo caso giudiziario. Meno ancora dopo che alcuni detenuti si sono accorti di quelle lucine strane. Cimici. Tutti zitti tranne che per un diffuso onomatopeico "shhhh". Tolte. Non scandalizza che ci fossero, perché le intercettazioni ambientali sono uno strumento di indagine molto utilizzato anche nel mondo parallelo dietro le sbarre. Come per l'omicidio di Mario Gaspani, ucciso il 26 marzo del 2011 nella sua casa di Boltiere. Prima vennero arrestati i fratelli Salvatore e Bruno Antonio Luci, ritenuti gli esecutori materiali. Furono loro, intercettati in carcere, a fare il nome di Stefania Colombo, la moglie della vittima ritenuta la mandante, e all'allora amante di lei Salvatore Massaro Cenere.
Mentre è imminente la chiusura delle indagini, l'avvocato Claudio Salvagni ritenta di portare Bossetti fuori dal carcere. Istanza numero cinque. Due le strade. La prima: gip (respinta), appello a Brescia (respinta) e Cassazione (udienza mercoledì prossimo). La seconda: gip (respinta) e ora un nuovo appello. L'istanza è stata depositata ieri mattina, al fotofinish cinque minuti prima delle 13, perché nel frattempo l'avvocato era rimasto bloccato in autostrada dove un tir si era ribaltato. Ce l'avrebbe fatta comunque, perché si era già preparato all'imprevisto consegnando una copia degli atti a una collega di Brescia.
In 50 pagine il difensore contesta il nuovo no del gip Ezia Maccora. Tre i punti fondamentali. Il Dna. Salvagni aveva chiesto al giudice di scarcerare Bossetti sulla base della relazione in cui il consulente del pm, Carlo Previderè, indica l'anomalia del Dna. Ma il gip ha scritto che "c'è una piena compatibilità di caratteristiche genetiche" tra il profilo dell'indagato e quello di "Ignoto 1", e che non importano le "apparenti anomalie" rilevate nelle analisi del Dna mitocondriale. Nuovo attacco dell'avvocato: "Ho sottolineato la carenza di motivazioni, perché il gip accredita l'ipotesi del pm senza spiegare perché".
Le ricerche al computer di casa Bossetti con il termine "tredicenni" e altre parole hard. "Non c'è stata nessuna navigazione su quei siti. Uno li cerca e poi non ci entra? Quelle sono ricerche auto-generate dal computer tramite altri siti che non c'entrano con la pedopornografia". La testimone che ha detto di aver visto Bossetti con una ragazzina, fuori dalla palestra, il settembre precedente l'omicidio. "È inattendibile - chiosa Salvagni, a quattro anni dal delitto e a cinque mesi dal fermo".
Capitolo a parte, le fibre trovate sui leggings e sul giubbotto di Yara identiche anche per colore a quelle dei sedili del furgone del carpentiere. L'avvocato ha rivisto Bossetti ieri, dopo giorni. "Mi ha detto: "Yara non è mai salita sul mio furgone, glielo giuro" - dice Salvagni. È ancora determinato a provare la sua innocenza. Non molla. Una persona colpevole sarebbe crollata". Intanto si aggiungerebbe un altro indizio, rivelato dalla trasmissione Quarto Grado: piccolissimi frammenti metallici sui vestiti di Yara che sarebbero compatibili con le polveri trovare sui sedili del furgone.
Difesa: Yara uccisa da mancino non con coltello comune
La difesa scava nelle presunte lacune dell'inchiesta che ha portato in carcere oltre otto mesi fa Massimo Bossetti perché pensa siano state "indagini a senso unico", e nelle quali sono state "spacciate come verità assolute" risultati di accertamenti, invece, "tutti da interpretare". L'avvocato Claudio Salvagni schiera tutta l'artiglieria pesante di consulenti e, in una conferenza stampa nel suo studio di Como, fa spiegare loro le conclusioni, o meglio le ipotesi alternative a cui sono giunti.
L'arma del delitto non è un cutter o un semplice coltello, quindi non un attrezzo da lavoro da muratore o un coltello comune. Per il medico legale Dalila Ranalletta, stando alle lesioni trovate sul corpo, in particolare un taglio alla gola, si tratterebbe, invece, di un'arma importante (con lama spessa oltre due millimetri) che potrebbe essere simile a quella usata nel Kali filippino, una particolare tecnica di combattimento. Un'arma, inoltre, che potrebbe essere stata usata da un mancino, a giudicare dalla direzione in cui sono stati inferti i colpi, mentre Bossetti è destrimane. Tutti da interpretare anche i tagli che la ragazza aveva sui polsi.
Yara uccisa altrove? - Per la dottoressa Ranalletta, la posizione del corpo, non rannicchiata come doveva essere se la ragazza morì effettivamente per il freddo nel campo di Chignolo d'Isola, il fatto che i vestiti che indossava non fossero tagliati nonostante ferite sul corpo e la circostanza che la sua maglietta fosse intonsa nonostante la ferita alla gola, fanno pensare che Yara sia stata uccisa altrove e che l'assassino l'abbia spogliata e poi rivestita.
Le ricerche su tredicenni nel computer. La difesa contesta siano rilevanti le ricerche nel computer di Bossetti riguardo tredicenni (Bossetti ha ammesso che con la moglie guardava film porno) e il consulente informatico, Giuseppe Dezzani, spiega che una sola volta compare la parola tredicenne e che potrebbe essersi generata "automaticamente, non manualmente". Molte di queste ricerche non sono state datate e, ragiona Dazzani, mentre l'accusa sostiene che in un caso, il 29 maggio, una di queste ricerche è stata effettuata mentre Bossetti era in casa, in un altro, il 7 maggio, un'altra identica è stata effettuata mentre il muratore, ed è provato per tabulas, era al posto di lavoro in un cantiere.
Il rebus del Dna. L'avvocato Salvagni insiste sulla mancata corrispondenza tra il dna nucleare, attribuito a Bossetti, trovato sul corpo della ragazza e quello mitocondriale trovato sui reperti piliferi analizzati che non appartiene a Bossetti. "Circostanza insolita, a detta dei consulenti della Procura ma che si vuol far passare come solita". Anche questo è oggetto di un ricorso depositato ieri ai giudici del Riesame di Brescia.
I filamenti di tessuto dell'autocarro. Gli investigatori ritengono che sui leggins di Yara siano stati trovati dei filamenti compatibili con il tessuto dei sedili dell'Iveco Daily di Bossetti. Di 200mila veicoli che hanno sedili con quelle caratteristiche individuati dai carabinieri del Ros solo quello di Bossetti è transitato quel giorno a Brembate il 26 novembre del 2010, quando Yara scomparve. Per il criminologo Ezio Denti quel tessuto è invece usato "anche per treni e autobus". "Hanno verificato gli investigatori quale tessuto avevano i sedili del bus che usava Yara per andare a scuola?", chiede Denti. L'avvocato Salvagni, insomma, farà "tutto il possibile per dimostrare l'innocenza di Massimo Bossetti. "Un'innocenza - spiega - nella quale credo fermamente". Il legale ha anche ricordato la testimonianza di una donna che aveva parlato di un uomo dell'Est da lei conosciuto, e che le aveva raccontato di avere una relazione con una ragazzina 13enne che forse si chiamava Yara. "Perché non ritenerla attendibile - sottolinea - mentre sono sempre attendibili testi della Procura?".
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