www.abruzzo24ore.tv, 11 febbraio 2015
Per i detenuti del carcere di Pescara si annuncia la possibilità di svolgere lavori di pubblica utilità nei comuni della provincia, ad esempio lavori sul verde pubblico, con un piccolo compenso mensile. Il progetto, che sta per essere avviato dal Comune di Pescara e dal Comune di Montesilvano, potrebbe essere esteso anche alle altre amministrazioni civiche come annunciato stamani nel corso di un incontro promosso dalla Provincia di Pescara con il provveditore interregionale dell'amministrazione penitenziaria Claudia Di Paolo e con il direttore del carcere di Pescara Franco Pettinelli.
A promuovere la riunione è stato il presidente della Provincia, Antonio Di Marco, che ha chiamato a raccolta i sindaci dei 46 comuni (hanno aderito una trentina) proprio negli spazi dell'amministrazione penitenziaria, in via Talento, per poi effettuare una visita all'interno della casa circondariale dove vengono già promosse attività formative e lavorative per i detenuti ai fini del reinserimento sociale degli stessi.
Pettinelli ha spiegato che i detenuti da ammettere al progetto sarebbero quelli interessati "a pene definitive e che si avvicinano verso il fine pena" e lavorando avrebbero la possibilità di riparare il danno sociale a favore del Comune e nello stesso tempo si raggiungerebbe l'obiettivo della "giustizia riparativa per il recupero del soggetto". Di Marco ha spiegato che "la Provincia vuole essere sempre più un ente di prossimità, una Provincia vicina" e se si vuole lanciare "un segnale positivo" si deve "promuovere un percorso nuovo". Il presidente della Provincia ha anche annunciato che la prossima iniziativa che vedrà il coinvolgimento dei sindaci sarà a favore della Caritas per mettersi "a servizio" di questa realtà.
Soddisfazione è stata espressa da Di Paolo la quale ha fatto notare che i detenuti non devono stare "in ozio" ma devono svolgere "attività lavorativa fuori e dentro il carcere" e ha messo in evidenza "la grandissima responsabilità civica di questa iniziativa che coglie il vero senso della reintegrazione, intesa come questione di cui deve occuparsi l'intera società".
Adnkronos, 11 febbraio 2015
Il 19 febbraio scadenza presentazione domande per entrambi L'Amministrazione ha pubblicato i due avvisi per le candidature, rispettivamente, a Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza e Garante della persone private della libertà personale.
Gli avvisi, la modulistica e le modalità di presentazione delle domande - che dovranno arrivare al Comune entro giovedì 19 febbraio - sono disponibili sul sito del Comune www.comune.vercelli.it (in home page e alla voce concorsi) e all' Ufficio Relazioni con il Pubblico di Piazza del Municipio 5. Entrambe le funzioni sono a titolo gratuito.
Tra i compiti del Garante per l'Infanzia, quelli di: vigilare, con la collaborazione degli operatori preposti, sulla applicazione su tutto il territorio cittadino della Convenzione Onu del 20 novembre 1989 nonché alla Carta Europea di Strasburgo del 25 gennaio 1996; promuovere, in accordo con gli enti e le istituzioni che se ne occupano, iniziative per la diffusione di una cultura per l'infanzia e per l'adolescenza, finalizzata al riconoscimento delle fasce di età minorili come soggetti titolari di diritti; promuovere, in accordo con la Presidenza del Consiglio Comunale e con tutti gli altri soggetti competenti, iniziative per la celebrazione della giornata italiana per l'infanzia; promuovere e sostenere forme di ascolto e di partecipazione dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze alla vita della Comunità.
Tra i compiti del Garante per i Detenuti, quelli di: promuovere l'esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di utilizzo dei servizi comunali delle persone private della libertà personale ovvero limitate nella libertà di movimento domiciliate, residenti, dimoranti nel territorio del Comune di Vercelli, con particolare riferimento ai diritti fondamentali; promuovere iniziative di sensibilizzazione pubblica sul tema dei diritti umani delle persone private della libertà personale e della umanizzazione della pena detentiva; promuovere iniziative congiunte ovvero coordinate con altri soggetti pubblici competenti nel settore; promuovere con le Amministrazioni interessate protocolli di intesa utili a poter espletare le sue funzioni anche attraverso visite ai luoghi di detenzione in accordo con gli organi preposti alla vigilanza penitenziaria.
La Presse, 11 febbraio 2015
Il prossimo 14 febbraio i detenuti del carcere romano di Rebibbia che prendono parte al progetto "L'arte dentro" usciranno dall'istituto penale per visitare la mostra "L'età dell'angoscia", ospitata dai Musei Capitolini di Roma.
La visita nel più antico museo pubblico al mondo sarà possibile grazie all'articolo 21 dell'ordinamento penitenziario, che dà ai detenuti, in alcuni circostanze, la possibilità di svolgere attività al di fuori del carcere. In questo caso, i corsisti potranno finalmente visitare e interagire con i siti museali studiati e conosciuti fino a quel momento solo sulla carta.
"L'Arte dentro" è un progetto nato sette anni fa, promosso da Roma Capitale - Assessorato alla Cultura e turismo, sovrintendenza capitolina ai Beni culturali, in collaborazione con Zètema Progetto cultura. Ogni anno, ad ogni sessione di studio, cambia il tema del corso, frequentato dagli ospiti della Casa di reclusione due ore a settimana, in un percorso di studio affiancati da un'archeologa e un botanico. A volte, con il permesso della direzione, sono presenti in aula anche artisti, autori, docenti universitari, personaggi pubblici.
Il tema affrontato quest'anno, da ottobre 2014 a luglio 2015, è "L'archeologia e le origini della cosmesi": i detenuti stanno studiando i profumi di Afrodite, i segreti degli oli, le schiave cosmetae, le terme, gli orti medicali, le piante officinali, Galeno di Pergamo medico di corte di Marco Aurelio, tinture, lozioni, infusione e triturazione.
www.forlitoday.it, 11 febbraio 2015
Sabato 31 gennaio, con la collaborazione di Fara Editore e Davide e Guido Insieme Fc Trust Onlus è stato proposto ai detenuti il duo "La Minima Parte" formata da Massimiliano Bardotti (poeta/attore) e Giacomo Lazzeri (chitarrista) e cui si aggiunge la sensibilità di Sara Giomi (chitarrista).
Un lavoro incessante e che si prefigge un obiettivo in continuo divenire. "Incontri in Biblioteca" è infatti da diversi mesi attivo presso la Casa Circondariale di Forlì che, in collaborazione con alcune associazioni di volontariato del territorio, hanno cercato di trovare un motore in grado di generare riflessioni e pensieri nuovi, capaci di trasformare l'infertile, in fertile, ossia le azioni distruttive commesse da chi è ristretto, in azioni fruttuose per se e per gli altri cosa che l'arte è da sempre promotore. Sabato 31 gennaio, con la collaborazione di Fara Editore e Davide e Guido Insieme Fc Trust Onlus è stato proposto ai detenuti il duo "La Minima Parte" formata da Massimiliano Bardotti (poeta/attore) e Giacomo Lazzeri (chitarrista) e cui si aggiunge la sensibilità di Sara Giomi (chitarrista).
La scelta per l'occasione è caduta su una silloge ancora inedita che ha catturato l'attenzione dei detenuti e portato a uno scambio culturale reciproco di notevole caratura. Dopo l'evento "La Minima Parte" è stata intervistata e dalle parole dei 3 autori toscani si evince una grande emozione.
Bardotti afferma: "Sono felicissimo di tutto questo, è stata un'esperienza meravigliosa, una delle più ricche e toccanti della mia vita. Mi sembra di conoscere questi detenuti benissimo, tutti e tutte e ho avuto questa sensazione anche quando sono entrati nella biblioteca. Come se ci fossimo già incontrati. Io dico sempre che gli spettacoli si fanno insieme. Perché è un'energia che circola. Oggi abbiamo ricevuto tantissimo. Spero di aver lasciato in tutti i miei fratelli e le mie sorelle, un briciolo di pace e serenità, di speranza e di voglia di essere migliori, perché è questo che cerco di portare, perché è quello di cui anche io sono in cerca".
Lazzeri racconta: "Era la mia prima volta in un carcere ed è stato bellissimo rompere in un attimo tutti i pregiudizi che mi erano stati inculcati fin da piccolo. C'è tutto il mondo in quelle persone, volti stranamente familiari come se ci conoscessimo da chissà quanto tempo.
Sono stato investito da un'energia enorme, come se la primavera fosse tutta lì imbrigliata sotto terra prontissima a sbocciare a rompere a uscire con tutti i colori e la forza. E questo è stato il loro dono per me, io da parte mia ho provato ad essere il più puro e semplice possibile. Per questo io ho ricevuto un dono per la vita, e sono davvero grato a tutti per questo, non vedo l'ora di ripetere".
Giomi conclude: "Difficile parlare per ultima, c'è poco da aggiungere se non dire che c'era una bellissima energia. Leggera. Mi sono sentita accolta. L'ascolto e la partecipazione sono stati i doni più belli, forse proprio perché per niente scontati. Sento di aver ricevuto più di quanto non sia riuscita a dare. È stata un'esperienza meravigliosa". L'incontro è stato mediato da un operatrice dell'Area Pedagogica del carcere, come forma di amplificazione dei contenuti critici dell'evento.
di Riccardo Polidoro (Responsabile Osservatorio Carcere dell'Ucpi)
Il Garantista, 11 febbraio 2015
Quando nasce un giornale è sempre una buona notizia, ottima se avviene in un istituto di pena. Apprendiamo, dunque, con entusiasmo che a Rebibbia si è dato vita al periodico "Dietro il cancello", che, stampato in 3.000 copie, sarà distribuito in tutte le realtà del mondo carcerario. Il giornale, curato dai detenuti, darà loro la possibilità di comunicare con l'esterno e di apprendere il lavoro di giornalista.
Se non la vera libertà, almeno (ci auguriamo) quella di espressione. L'entusiasmo è aumentato quando leggiamo che a dirigerlo è Federico Vespa, figlio del famoso Bruno che, da circa 20 anni, conduce la trasmissione "Porta a Porta" su RaiUno.
Quel cognome darà una marcia in più al mensile e questo è un dettaglio importante, perché se la carta viene stampata, deve essere diffusa e letta e, pertanto, ben venga qualsiasi elemento che possa giovare alla causa. Il 6 febbraio, alla presentazione del mensile, nella struttura penitenziaria, sono intervenuti, tra gli altri, il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, il giudice Ferdinando Imposimato e lo stesso Bruno Vespa.
Le dichiarazioni rilasciate nell'occasione dal conduttore televisivo fanno raggiungere al nostro entusiasmo un picco stellare. È un vero e proprio mea culpa: "Noi giornalisti abbiamo una grave responsabilità. Il carcere si racconta sempre male. Sono sempre stato dell'idea che il 41 bis vada abolito, perché una cosa è la sicurezza e un'altra è il rispetto dei diritti umani. Stessa posizione la mia sull'ergastolo, che deve essere immediatamente cancellato dal codice penale".
Era davvero inimmaginabile che, nello stesso giorno in cui, nel corso dell'Inaugurazione dell'Anno Giudiziario, l'Osservatorio Carcere dell'Unione Camere penali lancia il progetto "Vale la pena, la pena vale", con lo scopo di promuovere una corretta informazione sull'esecuzione della pena, il presentatore della più seguita trasmissione televisiva di approfondimento politico e attualità rilasci dichiarazioni così vicine alle battaglie che l'Ucpi conduce da anni.
Inimmaginabile perché gli Avvocati sono in sintonia con quanto affermato da Ferdinando Imposimato, alla medesima presentazione del periodico: "Il processo televisivo è un danno enorme, perché si condanna una persona appena indagata, o appena all'atto della denuncia. E questa prassi non è propria di uno Stato civile".
Cosa avrà pensato Vespa nel sentire queste parole? Avrà temuto per i suoi plastici del luogo del delitto, per i suoi consueti ospiti - addetti ai lavori che si avventurano in giudizi affrettati di colpevolezza o d'innocenza - per la possibilità che non vi siano più conferenze stampa delle Procure che rendono pubblici gli atti delle indagini? Crediamo di no. Purtroppo la deriva nazional-popolare in cui sta sprofondando il nostro Paese non finirà, anzi in nome dell'audience e della vanità di molti, la nostra cultura giuridica scomparirà. Un appello allora va fatto a Vespa, che ha dimostrato sensibilità per la condizione carceraria: prima che chiudano i Tribunali e i processi vengano celebrati esclusivamente in tv, con canali a loro dedicati, con il giudizio di colpevolezza o d'innocenza espresso con il televoto da casa, ci auguriamo che vi sarà un "Porta a Porta" sulla tortura di Stato del 41 bis e sulla pena di morte dell'ergastolo ostativo.
di Piero Sansonetti
Il Garantista, 11 febbraio 2015
Ieri in Italia si è ricordato l'eccidio delle Foibe. Diecimila persone, Nella Venezia Giulia e in Dalmazia, tra il 1943 e il 1945, gettate dentro i crepacci, profondi venti o trenta metri, e lasciate morire. Oppure uccise in altri luoghi, o morte di stenti nei campi di concentramento, e poi buttate dentro questi inghiottitoi, per farle sparire. I responsabili di questo orrore sono stati i partigiani jugoslavi, che volevano vendicarsi delle atrocità subite dalla popolazione della Croazia e della Slovenia durante l'occupazione fascista.
Le vittime erano militari e civili, fascisti o non fascisti, militanti, operai, preti o gente del popolo. Diecimila persone - secondo le stime più attendibili - sterminate in modo atroce. E poi dimenticate. Perché dopo la guerra, in Italia - e anche all'estero - per ragioni di realpolitik, varie e diverse realpolitik incrociate tra loro - si preferì gettare un velo e non parlarne più. I comunisti non volevano che un sospetto di orrore sfiorasse la Resistenza, anche se i responsabili della foibe non erano i partigiani italiani.
I democristiani erano al governo, e non intendevano litigare con la Jugoslavia, che si era riunita ed era guidata da Joseph Tito, cioè proprio dal capo dei partigiani slavi autori dello sterminio. E anche i governi europei, e quello americano, avevano ottime ragioni per non tirare fango su Tito, che nel 1948 aveva avuto il coraggio di rompere con Stalin sfidandolo all'invasione militare (che però non avvenne). E così anche gli storici si adeguarono, e delle Foibe non si parlò per decenni. Sì, c'erano i fascisti che cercavano di rivendicare il loro sacrificio, ma in quegli anni i fascisti contavano davvero pochino, sia in politica sia nel campo dell'informazione, e nessuno gli dava retta.
Ci sono voluti molti decenni perché crollasse la congiura del silenzio, e si decidesse di stabilire questa giornata di commemorazione, tutti gli anni, il 10 febbraio. Nel 2007 il presidente della Repubblica, ex comunista, Giorgio Napolitano, stigmatizzò l'omertà della politica sulle foibe. E ieri il nuovo presidente della Repubblica, e insieme a lui la presidente della Camera, si sono impegnati in prima persona nelle celebrazioni.
È un bene. Perché la memoria storica ha un ruolo grandissimo nella crescita della civiltà e della comunità. E spesso questa memoria è sbiadita o è molto faziosa. Per tutte le vicende che riguardano la guerra, e anche la furiosa battaglia tra partigiani e fascisti che travolse il nostro paese nel biennio tra il 1943 e il 1945, e in parte proseguì per alcuni anni anche dopo la Liberazione, il ricordo è sempre stato un po' unilaterale, scritto dai vincitori. È ora di scavare meglio, di far venire a galla anche tante vicende sconosciute. Non perché serva un "ricordo condiviso" ma perché serve la verità. E se la verità racconta di bestialità, che noi vogliamo considerare sempre lontane da noi, dal nostro modo di pensare, dai nostri amici, bisogna che ne prendiamo atto. Noi europei in quegli anni compimmo atrocità di fronte alle quali l'Isis impallidisce.
E oggi... beh, scusate la brutalità del paragone, ma è solo un paragone logico. Gli storici del prossimo secolo scriveranno delle decine di migliaia di profughi affogati nel Mediterraneo a cavallo tra il ventesimo e il ventunesimo secolo. E racconteranno che i governi europei, e anche il governo italiano, decisero a tavolino che lasciare che quella gente affogasse era una buona misura per rallentare l'immigrazione e dunque per sostenere una politica conveniente per gli interessi europei.
Anche i partigiani jugoslavi pensavano che sterminare 10 mila persone fosse conveniente per gli interessi del loro paese del mitico socialismo. Il Mediterraneo è diventata una foiba. I giornali cattolici ieri lo hanno scritto: la strage dell'altro giorno - della quale si ignora il numero dei morti, probabilmente molte molte decine - era evitabile. Bastava che i gommoni fossero soccorsi prima e fossero soccorsi con mezzi adeguati. Invece recentemente l'Europa - e il governo Italiano - hanno deciso di sostituire la missione Mare Nostrum con la missione Triton. E cioè di sospendere i soccorsi in mare e di usare le navi solo per respingere i migranti. Le regole di ingaggio prevedono che sia possibile soccorrere solo in casi estremi, quando si tratta di raccogliere dei moribondi.
L'altro giorno è successo così: li hanno raccolti solo quando erano allo stremo, e li hanno issati su navi che non erano attrezzate. E lì, 29 persone sono morte di freddo. Uccise dalla normativa europea. E altre centinaia sono morte affogate. Anche loro uccise. Sono delitti di Stato. Delitti. Che avvengono con il consenso generale. Non solo della Lega.
Ansa, 11 febbraio 2015
"Al Cie di Torino non ci sono jihadisti, ma il centro è uno spreco di soldi e va chiuso": è quanto afferma l'assessore di Diritti e all'Immigrazione del Piemonte, Monica Cerutti, che ha visitato il Centro di Identificazione ed Espulsione di Torino oggi, insieme al garante regionale dei detenuti, Bruno Mellano.
"Sono sempre più convinta - dice Cerutti - dell'inutilità di quella struttura e dello spreco di risorse pubbliche che rappresenta. I soldi che verranno spesi da parte del Ministero per la ristrutturazione del centro potrebbero essere utilizzati per vere politiche di integrazione". "Il Consiglio regionale del Piemonte - aggiunge - mi ha dato mandato di operare per la chiusura del Cie e per questo lavorerò, ma è anche mio interesse verificare che le condizioni degli ospiti siano il più dignitose possibili. Ho potuto riscontrare una continuità tra la gestione della Cri e la nuova gestione privata di Gepsa-Acuarinto, un dato che ci rassicura".
Attualmente gli ospiti della struttura sono 21, di cui circa il 50% è richiedente asilo, e tutti hanno precedenti penali. La capienza attuale è di 21 posti, ma sono quasi finiti i lavori di ristrutturazione che la faranno salire a 70. Però la capienza massima potenziale è di 180 posti, ed è su questi numeri che è stata lanciata la gara d'appalto.
La nuova gestione potrà quindi chiedere al Ministero di pagare lo stesso il servizio offerto fino a 90 posti. "La Croce Rossa non ha mai chiesto il pagamento di questa differenza - rimarca Cerutti - ma siamo consapevoli che è nell'interesse di un privato farlo. Il Ministero si trova davanti a due vie, o pagare la differenza, aumentare la capienza e riempire la struttura, oppure chiudere. E io sono convinta che si debba chiudere".
La Presse, 11 febbraio 2015
I diritti umani di oltre un migliaio di detenuti nelle carceri britanniche sono stati violati dal governo che ha impedito loro di votare nelle consultazioni elettorali. È quanto ha stabilito la Corte europea dei Diritti umani affermando che il divieto di fare esercitare il diritto di voto ai detenuti viola la Convenzione europea dei diritti umani che garantisce ai cittadini dell'Unione europea di partecipare alle elezioni.
La Corte di Strasburgo ha però respinto le richieste di risarcimento dei danni e delle spese legali avanzate dai 1.015 detenuti che si erano rivolti alla Corte perché non era stato loro consentito di votare in varie consultazioni svoltesi tra il 2009 e il 2011. Come ricorda la stampa britannica, quella odierna è la quarta sentenza di condanna della Corte di Strasburgo su questo argomento nei confronti di Londra.
Sia il precedente governo laburista che l'attuale governo di coalizione tra conservatori e liberal democratici non hanno prodotto provvedimenti legislativi in linea con le richieste della Corte europea. Un portavoce del ministero della Giustizia britannico ha ribadito che la questione è di competenza del governo britannico, esprimendo però soddisfazione per la decisione della Corte di respingere le richieste di risarcimento avanzate dai detenuti.
www.globalist.it, 11 febbraio 2015
È successo in Ohio, la ragazzina avrebbe picchiato a morte una bimba di due mesi, figlia di amici di famiglia. È la storia di una ragazzina dell'Ohio colpevole di aver picchiato a morte una bimba di due mesi. La tragedia si è consumata alla periferia di Cleveland.
La bambina, la cui identità non è stata rivelata, era in casa con la madre che stava facendo da babysitter alla figlia di un'amica. Sia madre che figlia erano sul divano nel soggiorno. Ad un certo punto la donna si è addormentata nel cuore della notte per poi essere svegliata dalla figlia che teneva in braccio la piccola ferita. Dopo poco si è accorta che la bimba sanguinava e aveva la testa gonfia. Immediatamente ha chiamato soccorsi ma la neonata è morta poco dopo in ospedale. La polizia del posto si è trovata ad avere a che fare con un caso del genere, vista la giovane età della sospettata.
Secondo il tribunale dello stato l'età minima per essere detenuti in un riformatorio è di 13 anni. Tuttavia pare che episodi del genere non sono una cosa del tutto inconsueta negli Stati Uniti. Secondo i dati dell'Fbi, infatti, nel 2012 ci sono stati 20 casi di bambini al di sotto dei 12 anni ad essere accusati di omicidio. La ragazzina al momento non può essere neanche processata come un adulto perché secondo la legge dell'Ohio bisogna avere 14 anni. Pare inoltre che non si sia resa conto della gravità di ciò che ha fatto, perché secondo gli agenti non mostra alcun segno di rimorso.
www.tgitalia.com, 11 febbraio 2015
Certo, la proposta sembra un po' cruenta, ma sicuramente l'esperienza può essere unica, e se si decide di trascorrere una notte in carcere, non ci sarà bisogno di colpi di testa o bravate. Infatti, sembrano essere sempre più numerosi nel mondo, secondo Repubblica, gli istituti detentivi trasformati per accogliere turisti ed amanti dei romanzi del crimine.
Si può così partecipare a speciali tour alla scoperta di celle leggendarie, come quelle dell'Eastern State Penitentiary di Philadelphia o di Alcatraz, dove per esempio trascorse numerosi anni Al Capone, della Prigione Pawiac di Varsavia o del Gedenkstätte Berlin-Hohenshönhausen di Berlino, dove la polizia segreta soleva sottoporre ad estenuanti interrogatori i detenuti. Restando nei confini nazionali, invece, si può visitare il carcere Le Nuove di Torino, dove è possibile scoprire le storie dei prigionieri politici e visitare le celle e il tenebroso bunker sotterraneo. Ma chi ha voglia di una vacanza alternativa può optare, addirittura, di trascorrere alcuni giorni "tra le sbarre". È il caso per esempio del Carcere della Corona di Stoccolma, trasformato in albergo di lusso nel 1975, prendendo il nome di Hotel Langolmen, dove si può scegliere di soggiornare in celle singole o doppie, oltre ad avere la possibilità di visitare il museo. Altri casi analoghi si hanno anche in Svizzera con il Jailhotel Löwengraben, o nel Regno Unito, dove la struttura di detenzione di Oxford è stata trasformata nel lussuoso Malmaison.
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