di Laura Cappon
La Repubblica, 12 marzo 2015
Il racconto di Baher Mohammed, uno dei giornalisti dell'emittente qatariota incarcerati per oltre un anno con l'accusa di spionaggio, ora in attesa di un nuovo processo. Per loro si è mobilitato tutto il mondo dei media internazionali. "È una battaglia più grande di noi, senza informazione non c'è democrazia".
"Non so perché ci abbiano condannato, nelle indagini e in aula non c'è stata nessuna prova o testimonianza contro di noi". Baher Mohammed ha il volto stanco e segnato dai 400 giorni passati in carcere. Assieme al reporter australiano Peter Greste e a Mohammed Fahmy fa parte dello staff di Al Jazeera English arrestato in Egitto nel dicembre del 2013 con l'accusa di "spionaggio e collaborazione con l'organizzazione terroristica dei Fratelli Musulmani".
Per la loro liberazione sono state raccolte centinaia di firme di giornalisti e forte è stata anche la pressione internazionale finché in gennaio la Corte di Cassazione ha annullato la pena tra i 7 e i 10 anni di carcere inflitta ai reporter in primo grado. Ora è libero su cauzione e sta affrontando un nuovo processo mentre Greste è stato estradato in Australia lo scorso primo Febbraio. Lo incontriamo al Cairo.
Le carceri egiziane sono tristemente famose per i numerosi casi di tortura denunciati da diverse organizzazioni per i diritti umani. Come siete stati trattati durante la vostra detenzione?
"Non sono stato torturato ma le condizioni nella prigione di Tora al Cairo erano orribili. In cella ero da solo, dormivo per terra non avevo l'ora d'aria e non avevo accesso all'acqua corrente. La cella era umida, a dicembre faceva molto freddo ed ero costretto a dormire per terra tra gli scarafaggi. Inoltre non mi era permesso di tenere con me libri, quaderni o penne.
Poi sono stato trasferito in un altro penitenziario, in una cella leggermente più grande assieme agli altri due colleghi di Al Jazeera. Qui potevamo uscire nel cortile un'ora al giorno e fare attività fisica ma in realtà l'unico vero privilegio era l'acqua calda. Fahmy credo che dopo tutto questo tempo non sarà più in grado di recuperare completamente l'uso del suo braccio, aveva dei problemi fisici prima di essere arrestato e non gli è stato concesso nemmeno un letto per dormire".
In primo grado l'iter processuale è stato molto lungo e travagliato, come risponde alle accuse che vi sono state attribuite?
"Durante il primo processo abbiamo visto le prove e sentito le testimonianze e non c'era nulla di concreto contro di noi. Eravamo consapevoli di essere stati presi per far sì che il governo ci usasse come esempio per intimidire gli altri giornalisti. Io, per esempio, ho preso 3 anni di pena in più degli altri perché in casa hanno trovato un proiettile portato dalla Libia quando lavoravo come giornalista freelance".
La vicinanza di Al Jazeera con i Fratelli Musulmani vi aveva reso un obiettivo per il governo già dopo la deposizione del presidente islamista Morsi nel luglio del 2013. Molti colleghi avevano lasciato il paese, voi avevate allestito una redazione dell'hotel Marriott per ragioni di sicurezza. Perché ha continuato a lavorare con Aje nonostante i rischi?
"Io ho iniziato a lavorare con Aje nell'aprile del 2013 e non ho mai pensato di lasciare anche dopo l'inizio della repressione contro gli ikhwan (nome in arabo dei Fratelli Musulmani, ndr). Per me era un'occasione. Per quanto riguarda il canale, AJE ha sempre rispettato tutti gli standard di obiettività e professionalità con dei colleghi di altissima caratura. Inoltre, quando lavori con dei rischi ottieni molte più informazioni. Quello che mi interessa veramente è il servizio che io do al pubblico non i rischi che corro. E poi l'Egitto è pericoloso per tutti i giornalisti".
Il vostro caso ha suscitato una campagna di sensibilizzazione senza precedenti che ha coinvolto giornalisti da tutto il mondo...
"Sono molto commosso nel vedere il supporto che è arrivato a me, Peter e Mohammed. Non me l'aspettavo e questa è una cosa che va oltre perché è diventata una causa più grande della nostra. Penso a Gandhi, a Mandela, ovviamente non sono come loro, ma noi in questo momento dobbiamo lottare per la libertà di stampa, per quello che crediamo. Tutto ciò è molto importante per noi. Perché senza i media non c'è la democrazia. Senza i professionisti dell'informazione, la gente non potrebbe sapere cosa succede nel mondo non potrebbero esercitare il voto in maniera consapevole".
Il presidente al Sisi ha dichiarato che potrebbe concedere la grazia dopo la fine del nuovo iter processuale. Confida in un intervento del capo di Stato egiziano?
"In prigione devi mettere da parte le aspettative. È normale averle ma in carcere non ci devi pensare perché se non accade quello in cui speravi rischi di rimanere ferito nel profondo. Quindi non mi aspetto nulla, l'unica cosa in cui confido - ma in maniera molto flebile - è il giudizio della Corte di Cassazione che già annullando la sentenza di primo grado sembra aver dimostrato interesse nel nostro caso".
Come vede il suo futuro?
"Noi ora abbiamo il compito di tenere alta l'attenzione sulla violenta repressione che il governo di al Sisi sta portando avanti contro i giornalisti e lottare affinché i giornalisti vengano protetti. In carcere ci sono almeno 9 reporter ma potrebbero essere di più. È il motivo per cui abbiamo deciso di parlare con la stampa nonostante il processo non sia finito. Uno dei progetti a cui tengo di più è un libro scritto a sei mani con Greste e Fahmy. Vogliamo che gli incontri e i dialoghi che abbiamo avuto in carcere con le altre vittime della repressione governativa, cioè i numerosi attivisti di Tahrir arrestati o i leader dei Fratelli Musulmani. L'obiettivo è raccontare da un'altra prospettiva il periodo di transizione seguito alla deposizione del presidente Morsi".
Nova, 12 marzo 2015
Sono stati scarcerati ieri dalle autorità marocchine dopo quasi un anno di carcere i nove disoccupati arrestati lo scorso anno per un blocco ferroviario vicino ad Asila, nel nord del Marocco. Secondo quanto riporta la stampa di Rabat, i sono registrati festeggiamenti tra gli attivisti del movimento "6 aprile" che porta il nome della data nella quale lo scorso anno la polizia ha arrestato nove disoccupati che avevano organizzato un blocco ferroviario con l'accusa di aver bloccato un servizio pubblico. I nove attivisti si trovavano nel carcere di Asila 1 e sono stati condannati dal tribunale locale a 6 mesi di carcere ai quali si erano aggiunti 6 mesi di custodia cautelare già scontati. Il movimento dei disoccupati aveva organizzato lo scorso anno una serie di proteste culminate con un sit-in davanti all'abitazione del premier Abdel Ilah Benkirane.
di Andrea Pugiotto (Ordinario di Diritto costituzionale nell'Università di Ferrara)
Il Manifesto, 11 marzo 2015
Chiudo l'ultimo numero de L'Espresso, dopo aver letto la chilometrica intervista al futuro Sindaco d'Italia ("Per il Governo io ho in testa il modello di una Giunta che funziona con un forte potere di indirizzo del Sindaco"). E riprendo in mano il romanzo che mi tiene compagnia in questi giorni. Eccone alcuni brani.
di Rinaldo Romanelli (Componente Giunta Unione Camere Penali)
Il Garantista, 11 marzo 2015
Sul "Foglio" di ieri Luciano Violante ha posto il tema dei rapporti tra giustizia ed informazione suggerendo in tono scherzoso "ma non troppo", che la vera separazione delle carriere andrebbe fatta tra giornalisti e magistrati, piuttosto che tra giudici e pubblici ministeri.
di Errico Novi
Il Garantista, 11 marzo 2015
Pene più alte anche per il peculato, oggi tocca a tangenti ai giudici, concussione e falso in bilancio. C'è mai stato un patto del Nazareno sulla giustizia? Forse no. È assai probabile però che, con l'addio all'intesa Renzi-Berlusconi sulle riforme istituzionali, arriveranno norme ancora più restrittive sul fronte corruzione. È cambiato il clima e il governo lo sa,. Lo sa pure il ministro della Giustizia Andrea Orlando.
di Daniel Rustici
Il Garantista, 11 marzo 2015
"Il problema non è la responsabilità civile, ma il Consiglio Superiore della Magistratura: dovrebbe intervenire più spesso per punire i giudici ma non lo fa".
Il Csm cominci a fare sul serio il suo lavoro che fino ad oggi ha svolto, per usare un eufemismo, in modo deficitario. Sono stati puniti solo i magistrati fuori dal coro, mai quelli che hanno sbagliato nell'esercizio della professione.
di Damiano Aliprandi
Il Garantista, 11 marzo 2015
Venerdì prossimo ci sarà l'udienza conclusiva sulla vicenda di Marcello Lonzi, un detenuto morto quando era in custodia cautelare. Ufficialmente sarebbe morto naturalmente, ma la realtà è un'altra e Maria Ciuffi - la madre di Marcello vuole andare fino in fondo.
Corriere della Sera, 11 marzo 2015
La sentenza, arrivata dopo circa 10 ore di camera di consiglio, conferma quella di assoluzione della Corte di appello di Milano del 18 luglio scorso.
Si chiude il processo Ruby. La sesta sezione penale della Corte di cassazione ha confermato l'assoluzione, che diventa definitiva, di Silvio Berlusconi nel processo Ruby. L'ex premier era imputato di concussione per induzione e prostituzione minorile. Condannato in primo grado a 7 anni, era stato assolto in appello. Tra circa un mese si conosceranno le motivazioni della decisione dei supremi giudici. "Tanta felicità" ha espresso Berlusconi da Arcore, dicendosi pronto a tornare in campo.
La Cassazione ha quindi rigettato il ricorso del procuratore generale di Milano Pietro De Petri e anche il ricorso presentato dal procuratore generale Eduardo Scardaccione. Martedì nel corso dell'udienza il pg della Cassazione aveva chiesto l'annullamento dell'assoluzione sostenendo che "l'episodio nel quale Silvio Berlusconi racconta che Ruby è la nipote di Mubarak è degno di un film di Mel Brooks e tutto il mondo ci ha riso dietro". Ma il difensore di Berlusconi, Franco Coppi, aveva replicato: "La sentenza di assoluzione ammette che ad Arcore si sono svolte cene e prostituzione a pagamento, cosa che la difesa non contesta, ma nella sentenza non si trova la prova di alcuna minaccia implicita o esplicita rivolta a Ostuni", il capo di gabinetto che Berlusconi chiamò per chiedere l'affidamento di Ruby alla consigliera regionale Nicole Minetti. La sentenza, arrivata dopo circa 10 ore di camera di consiglio, è stata pronunciata dal presidente del collegio Nicola Milo e costituisce il superamento di un ultimo scoglio per l'ex presidente del Consiglio verso la piena agibilità politica, anche se l'ex Cavaliere resta fra gli indagati dell'inchiesta "Ruby ter" in corso a Milano per presunta corruzione di testimoni.
Il Ruby ter
Superato indenne lo scoglio della Cassazione, è proprio dal Ruby ter che potrebbero venire i nuovi guai per Berlusconi: stanno infatti emergendo nelle ultime settimane elementi che incrinerebbero il fronte delle ragazze che, secondo l'accusa, sarebbero state retribuite per testimoniare il falso nei processi. I pm milanesi, dopo la missiva dell'ex showgirl dominicana Marysthell Polanco che si è fatta avanti per raccontare dettagli sul caso Ruby, hanno decisa di ascoltarla a verbale. Oltre a Polanco è possibile che anche la sua amica di sempre Aris Espinosa, anche lei presente a molte delle serate a Villa San Martino, possa avere l'intenzione di collaborare con i pm. Nel frattempo, gli investigatori stanno ricavando elementi utili dalle chat trovate sui telefoni sequestrati alle "olgettine", che per evitare il clamore mediatico hanno intanto lasciato il residence di via Olgettina per trasferirsi nella Torre Velasca, vista Duomo. Complessivamente, sono 45 gli indagati, a vario titolo, per corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza, tra cui almeno 21 ragazze.
I fatti al centro del processo
Nel luglio scorso l'Appello aveva ribaltato la sentenza di primo grado assolvendo Berlusconi dall'imputazione di concussione per costrizione "perché il fatto non sussiste" e da quella di prostituzione minorile "perché il fatto non costituisce reato". Nel giugno 2013 invece il tribunale lo aveva condannato a sette anni di reclusione e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici con l'accusa di aver fatto pressioni sulla questura di Milano la notte del 27 maggio 2010, quando era premier, nel tentativo di far rilasciare Karima el Mahroug, detta Ruby, e di occultare la sua presunta relazione con la ragazza, all'epoca minorenne. La Corte d'appello, nelle sue motivazioni, sancì invece che quelle sulla questura furono sì pressioni indebite ma che non avrebbero potuto essere qualificate come concussione e che non era stato dimostrato che Berlusconi fosse consapevole della minore età della ragazza.
Le reazioni
"È un'ottima notizia che risarcisce solo in minima parte tutto quello che ha subito Berlusconi e con lui tutti i moderati italiani in questi anni": così Giovanni Toti, consigliere politico di Forza Italia, commenta la sentenza. "Assolto. E ancora assolto. Ma chi lo risarcisce della sofferenza e dei danni politici di questi anni? #aspettandolacorteeuropea", scrive su Twitter la senatrice Anna Maria Bernini, vicepresidente vicario di Forza Italia a Palazzo Madama.
"La Cassazione ha confermato che il processo Ruby non stava in piedi da nessun punto di vista" dice Fabrizio Cicchitto di Ncd. "È una sentenza che chiude qualsiasi polemica" secondo Franco Coppi, avvocato di Silvio Berlusconi.
Mentre Stefania Prestigiacomo (Fi) parla di "processo farsa, il capogruppo di Fi Renato Brunetta parla di "gioia infinita per decisione Cassazione". E su Twitter scrive: "Berlusconi in campo più forte di prima, con un grande partito alle spalle. Oggi Italia è Paese migliore". "Felice" per l'assoluzione anche Nunzia De Girolamo (Ncd). E c'è chi, come Laura Ravetto, lo ricandida già a "leader di centrodestra moderato e riformista".
di Luigi Ferrarella
Corriere della Sera, 11 marzo 2015
Anni di fumettistica retorica sulla "pistola fumante" hanno (dis)educato alla bizzarra idea che le uniche prove spendibili nei processi, e "legittimate" a fondare una assoluzione o una condanna agli occhi dell'opinione pubblica, siano ormai soltanto o la foto dell'imputato dall'altra parte del mondo nell'istante esatto di un reato altrui, o la sua confessione dal notaio. E invece nei palazzi di giustizia tutti i giorni pesanti condanne o clamorose assoluzioni si basano su processi indiziari, nei quali cioè il ragionamento di una prova logica, che collega dati di fatto acquisiti in maniera certa, può finire per essere persino più difficile da smontare di una prova del Dna o più demolitoria di qualunque spettacolare contro alibi.
E dopo la sentenza a mezzanotte di ieri in Cassazione dopo quasi 9 ore di camera di consiglio, ci vorrebbe un Jannacci giudiziario per spiegarlo a "quelli che". "Quelli che" nel marzo 2013 c'era da invadere il Tribunale di Milano alla testa di 100 parlamentari pdl capeggiati dall'ex ministro della Giustizia (oggi dell'Interno). "Quelli che" nel febbraio 2011 c'era da far votare solennemente in Parlamento a 315 deputati che al presidente del Consiglio poteva legittimamente risultare che Ruby fosse la nipote di Mubarak.
"Quelli che" nel maggio 2013 c'era da invocare a gran voce il trasferimento del processo a Brescia per "legittimo sospetto" sulla non imparzialità dei giudici milanesi, pretesa ridicolizzata dalla Cassazione. "Quelli che" adesso i pm dovrebbero ripagare i milioni di euro delle intercettazioni, in realtà costate 26.000 euro, quando l'intera inchiesta ne è costata 65.000 (compresi noleggi e interpreti). Ma anche "quelli che", tra le fila di molti magistrati milanesi dopo l'assoluzione in Appello, nell'estate 2014 su alcuni giornali si erano riparati dietro l'anonimato di virgolette non smentite per accusare la giudice della sgradita sentenza di aver assaggiato il frutto avvelenato di uno scambio politico in salsa renziana/berlusconiana.
Da questo punto di vista l'udienza-fiume in Cassazione suona la campana per chi da un processo pretenderebbe la risposta più conforme alle aspettative politico-sociali, o più adesiva al livello di gradimento ritenuto socialmente accettabile per le decisioni giudiziarie di una certa stagione.
Ma suona anche per chi a lungo ha voluto contrabbandare per processo al peccato, per scrutinio di scelte sessuali, e per volontà di degradazione morale degli imputati quello che invece era il fisiologico meccanismo del dibattimento: procedura alla quale ora Berlusconi deve la sua assoluzione per motivi giuridici pur a fronte di fatti storici accertati dai tre gradi di giudizio (l'"abuso della propria qualifica per scopi personali" nella telefonata in Questura), e ieri ammessi persino dai difensori ("Nemmeno noi contestiamo che ad Arcore avvenissero fatti di prostituzione con compensi"; e se l'affido di Ruby in Questura "fu regolare, che poi i poliziotti fossero contenti di aver fatto un favore a Berlusconi, questo ve lo concediamo").
Proprio l'indugiare sugli indici di inconsapevolezza o meno della minore età di Ruby, sulle connotazioni sessuali delle serate o sulle sfumature giuridiche della telefonata notturna del premier alla Questura, non era dunque fissazione di pm e giudici "guardoni", ma accertamento istruttorio inevitabile, fondamentale proprio come discutere di balistica in un processo per omicidio. Dove, spesso, neppure la pistola è mai davvero fumante.
di Carmelo Lopapa
La Repubblica, 11 marzo 2015
"È finita come doveva, un processo che non doveva mai cominciare". Le lacrime bagnano i suoi occhi, c'è Ghedini dall'altro capo del telefono. Nel salotto di Villa San Martino capiscono subito. "Assolto, mi hanno assolto", dice quasi sottovoce e si commuove, Silvio Berlusconi, è quasi mezzanotte. Al suo fianco Francesca Pascale si lancia al collo, gli teneva la mano da ore. Poi Marina, Piersilvio. Ci sono anche i due figli maggiori, come sempre, nelle ore più delicate. E così Maria Rosaria Rossi, la fedelissima ombra.
"È la fine di un incubo, è la fine di un incubo" ripete l'ex Cavaliere come se non credesse alla notizia. "Ma quanto tempo perso per riconoscere la mia innocenza, tutta una montatura, la mia storia sarebbe andata diversamente". Rammarico per "il processo più dannoso: hanno tentato in tutti i modi di infangarmi". Ora dopo ora sembrava un tunnel sempre più buio. Quei giudici chiusi per cinque, sei, sette ore. I pensieri più cupi si impossessano del fortino di Arcore. Le telefonate si fanno sempre più rade.
"Vedrete, vogliono farmi pagare il ritorno alla vita politica attiva" sono le confessioni amare ai pochi fedelissimi sentiti in serata. Non si spiegherebbe diversamente tutto quel tempo chiusi per decidere su un'assoluzione. E invece lo sprazzo di luce nella notte. La telefonata dell'avvocato. Sarà solo la prima, nell'arco di un'ora ne riceve quasi un centinaio - racconta chi è a Villa San Martino - ai cellulari piovano foto di brindisi e festeggiamenti di dirigenti e simpatizzanti in giro per l'Italia. Giovanni Toti chiama da Bruxelles e quasi urla al telefono. "Evvai, ci siano, ci siamo.... Ora cambia tutto, Silvio!".
E ora sì, che il leader di Forza Italia può rimettere la testa su un partito allo sfascio, che proprio ieri mattina è andato ancora più alla deriva, documenti di dissenso, minacce di scissione, gruppi autonomi. "Da questo momento tenetevi pronti, sarà una nuova discesa in campo" dice a tutti al telefono il capo. La campagna per le regionali sarà a tamburo battente. Lì si gioca tutto. Ma resta ancora un macigno. La legge Severino che ne impedisce il ritorno in partita come vorrebbe lui, da candidato, da eleggibile. "Quella legge andrà cambiata, adesso appare ancora più assurda" è uno degli sfoghi nella notte. Ma per quella ci sarà tempo.
Tra i fedelissimi è un tripudio. Giovanni Toti recupera il self control dopo l'entusiasmo: "Ovviamente bene, non ci aspettavamo nulla di diverso visto che questo processo non doveva essere neppure iniziato, è proseguito a dispetto di ogni buon senso, è stato trascinato con dei tempi assolutamente inconsueti per la giustizia italiana fino in cassazione spendendo milioni di euro dei contribuenti per un'indagine priva di senso. Chi risarcirà la democrazia italiana?" Daniela Santanché esulta in diretta tv a Ballarò, "la notizia più bella, l'esito più giusto". E poi tutti Maria Stella Gelmini: "È una gran bella notizia, la vivo con sollievo questa è stata una giornata durissima in cui c'era questa spada di Damocle sulla testa. Provo un gran sollievo per il presidente dal punto di vista politico oggi Berlusconi ha dimostrato di avere il controllo dei gruppi parlamentari, anche se nel merito c'erano posizioni diverse, questa notizia straordinaria ci dà la possibilità di andare avanti con Berlusconi leader perché il presidente rappresenta un punto di riferimento per tutti noi".
Le cose non sono affatto rose e fiori, dentro il partito, ancora meno dentro i gruppi parlamentari. Ma non è questo il momento per la resa dei conti. "Sicuramente la legge Severino non ci ha mai convinti ma adesso è presto per fare una valutazione, la cosa importante è il sollievo e la rinnovata fiducia nella giustizia - continua la Gelmini - Per una volta questa sentenza ci dà fiducia nella giustizia e nel futuro...siamo sempre stati certi dell'innocenza, questo è un fatto importante anche per i rapporti tra politica e magistratura.
Mi auguro che da oggi ci sia un clima più sereno tra politica e giustizia". Il tema del risarcimento inizia a essere battente tra i parlamentari, sarà il refrain da oggi. "Assolto. E ancora assolto. Ma chi lo risarcisce della sofferenza e dei danni politici di questi anni? #aspettandolacorteeuropea" twitta Anna Maria Bernini nella notte. Il Ruby ter resta sullo sfondo, almeno per una notte. Ad Arcore e Roma c'è solo voglia di festeggiare dentro Forza Italia.
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