di Rosa Maria Di Natale
wisesociety.it, 11 marzo 2015
Le siciliane "L'Arcolaio" e "Sprigioniamo Sapori" che vantano bilanci in attivo, creano occupazione vendendo prodotti della tradizione culinaria locale.
Resistono alla crisi e sopravvivono ai tagli dei finanziamenti pubblici. Sono siciliane doc e una volta tanto sono da esempio per l'impresa del Nord: sono le coop "L'Arcolaio" di Siracusa e "Sprigioniamo sapori" di Ragusa, le uniche cooperative sociali siciliane che impiegano anche detenuti e che, per molto tempo, si sono occupate con successo del servizio mense nelle carceri grazie all'aiuto della Cassa delle ammende. Tanto da diventare, nel corso di pochi anni, imprese autonome a tutti gli effetti con dipendenti e collaboratori.
I loro prodotti sono sugli scaffali di botteghe biologiche o raffinati negozi di specialità regionali. L'Arcolaio produce con il marchio "Dolci evasioni" nato nel 2005, le paste di mandorla con la celebre "pizzuta" di Avola, i panetti per la mandorlata, i biscottini aromatizzati con agrumi veri. "Sprigioniamo sapori", invece, è divenuto un marchio nel 2013 ed è figlio del consorzio "La Città solidale", produce torroni artigianali al miele degli iblei e pistacchi. Delizie di nicchia, vendute molto anche fuori dalla Sicilia.
E ora che il fondo non potrà più sostenere i servizi di mensa in gestione a cooperative di detenuti (delle mense carcerarie italiane, già da gennaio, è tornata ad occuparsi l'amministrazione penitenziaria), le due coop continuano senza sofferenza il loro lavoro.
I numeri delle loro imprese parlano chiaro. Per "Dolci evasioni" lavorano sei detenuti e sette civili, per un fatturato di oltre 500 mila euro. La ricetta? Essere coerenti sino in fondo con la mission sociale e credere a quell' "economia del dono" che ancora molti fanno fatica a comprendere.
Giovanni Romano, presidente de "L'Arcolaio", fa riferimento a tre passaggi indispensabili: "In primo luogo, cercare di trovare nel proprio lavoro delle "coerenze di valori". Per esempio abbiamo scelto di lavorare con Banca Etica, i nostri imballaggi e il packaging sono fabbricati da un'altra coop sociale siciliana - racconta a wisesociety.it - le materie prime arrivano dal biologico della nostra terra o dal commercio equo e solidale, come ad esempio lo zucchero. E questo ci ripaga. Abbiamo anche scelto di ridurre a zero l'impatto ambientale chiedendo di poter usufruire dei forni a pellet e del fotovoltaico: risparmieremo molto e saremo, appunto, coerenti con tutto il resto".
Romano aggiunge che la costruzione di reti reali ha i suoi vantaggi: "È il secondo motivo del nostro successo. Col tempo abbiamo avviato una rete di relazioni attorno a noi, sviluppando una specie di asse di economia di relazione e del dono. Così partecipiamo a molte manifestazioni e i nostri prodotti ricevono simpatia e consenso. Ecco, questi non sono rapporti a fondo perduto, il brand circola a livello nazionale e molto bene". E il terzo punto? "Curare il rapporto con il territorio, anche se per il 90% vendiamo fuori dalla Sicilia. Ma è importante che il carcere venga vissuto come facente parte del territorio. Offriamo la nostra cucina, il nostro cous cous e gli arancini, e poi lavoriamo con Libera, l'associazione contro le mafie. I detenuti cucinano e servono i piatti. Si sentono e sono nuovamente accettati. E lavorano meglio".
"Sprigioniamo sapori" di Ragusa ha invece attivato un progetto di polo alimentare con due detenuti in bassa stagione, e che in alta stagione diventano cinque, più due pasticceri e due cuochi esterni. Con un progetto di giardinaggio, inoltre, formeranno 8 detenuti per 8 mesi, per poi avviare subito dopo una nuova coop. Fatturato: 80 mila euro per il catering, ed altre 80 mila per attività collaterali.
"La nostra economia punta sulla redistribuzione del reddito e del lavoro. La caratteristica delle coop sociali è quella di ridurre al minimo, se non quasi a zero, il profitto personale dell'imprenditore. Nella coop non esistono imprenditori ma soci lavoratori che si distribuiscono il reddito", commenta Aurelio Guccione, presidente del Consorzio ragusano. Che aggiunge: "È il modello della cooperazione sociale in sé che produce buoni risultati. Non è un caso se non abbiamo licenziato quando molte aziende hanno fatto ricorso ad ammortizzatori. Si lavora, si producono beni e servizi traendone un ricavo, un benessere per soci lavoratori". E anche Guccione crede alla rete. "Vuole un esempio concreto? Nel 2014 abbiamo fornito noi i pasti alla Caritas e dunque due mondi dello svantaggio, carcerati e senzatetto, producevano benessere comune. Le imprese del profit dovrebbero comprendere questo. E so che molte si stanno attrezzando".
Agenparl, 11 marzo 2015
Dati e situazione nelle carceri del Friuli Venezia Giulia sono stati presentati in IIIª Commissione - presidente Franco Rotelli (Pd) - nell'audizione del Garante regionale dei diritti della persona, con funzioni di garanzia delle persone private della libertà personale, Pino Roveredo, sulla scorta delle visite, compiute una o due volte al mese dal momento della sua nomina, nei vari istituti di pena.
Sopralluoghi di cui ha riferito a partire dal carcere di massima sicurezza di Tolmezzo, dove dei circa 200 detenuti il 30% sconta l'ergastolo ostativo nella certezza di una pena senza fine e dove sono presenti persone trasferite anche da oltre 800 chilometri di distanza con evidenti problemi per le visite dei congiunti.
Per tutti si pone il problema di poter svolgere una attività lavorativa che - è dimostrato dai dati registrati in altre esperienze - riduce i numeri di chi torna a delinquere. Un forno per la lavorazione del pane era attivo nel carcere di Trieste, 180 detenuti, compresa l'unica sezione femminile del Friuli Venezia Giulia; poi venne chiuso per una protesta del Consorzio dei panettieri che temevano la concorrenza; i macchinari sono nuovi e inutilizzati.
A Udine i detenuti sono 200, mentre pochissimi sono gli ospiti del carcere di Gorizia perché in fase di ristrutturazione; nell'insieme situazioni di vivibilità abbastanza simili in questi capoluoghi, mentre "la nostra vergogna - ha detto Roveredo - è il carcere di Pordenone, che continuerà a esistere perché il progetto del carcere di San Vito è bloccato".
A Pordenone c'è il reparto protetti (autori di atti di violenze sessuali e altri reati): queste persone, prive di sostegno psicologico (a operare c'è una sola psicologa) escono così come sono entrate; questa è una delle mancanze, oltre alla invivibilità dell'edificio che ospita un centinaio di detenuti: qui - ha sottolineato il Garante - il sovraffollamento costa più che altrove per gli spazi davvero ristretti e la carenza delle strutture. Ci eravamo posti l'obiettivo di occuparci anche delle vittime di reato, che soffrono il trauma sul piano sia fisico che psicologico - ha spiegato Roveredo raccontando di essere riuscito, su una decina di casi affrontati, a far incontrare cinque vittime con gli autori del reato.
Altre informazioni fornite alla Commissione riguardano i casi che hanno ottenuto lo stato alternativo alla detenzione, la situazione sanitaria, l'incompatibilità al carcere che riguarda molte persone e che andrebbe affrontata diversamente. Per il Garante è ottimo il rapporto sviluppatosi con i magistrati di sorveglianza, non manca la disponibilità alla creazione di lavori utili per consentire ai detenuti di essere collocati nel mercato del lavoro una volta usciti: ci sono contatti con Confartigianato in tal senso - ha detto annunciando un convegno il 14 aprile prossimo a Trieste con i Garanti e al quale si auspica la presenza del ministro di Grazia e Giustizia. Da parte dei consiglieri diverse domande di approfondimento: Rotelli in merito alle misure alternative e alle possibilità di lavoro al termine della pena; Bagatin (Pd) sul carcere di Pordenone e sulle possibilità di promuovere lavori utili come cucinare per gli stessi detenuti; Codega (Pd) sul carcere di Tolmezzo, sulla vicenda della panetteria interna a Trieste e sull'importanza di un sostegno da parte delle istituzioni, perché al di là di produrre e vendere, l'importante è far imparare un mestiere.
Per Novelli (Fi) alla figura del Garante per le persone private della libertà si dovrebbe affiancare anche quella del Garante delle vittime di reati, perché spesso senza risarcimenti e abbandonate a se stesse; chiarimenti chiesti anche in merito ai tempi di detenzione e come sono suddivisi i detenuti all'interno delle carceri. E infine, anche da Pustetto (Sel) la questione del sovraffollamento, delle condizioni obsolete delle carceri, del lavoro che riduce le possibilità di delinquere nuovamente, la possibilità di affrontare le problematiche con una programmazione diversa da quella statale.
Comunicato Sappe, 11 marzo 2015
"Nella tarda serata di ieri, 10 marzo, un internato prosciolto dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto si è tolto la vita impiccandosi nel bagno. Nonostante l'immediato intervento del personale di Polizia Penitenziaria, contestualmente a quello sanitario, non è stato possibile salvarlo e all'arrivo del 118, pochi minuti dopo, i medici altro non hanno potuto fare che constatarne il decesso. Si tratta di internato italiano, della provincia di Catania, che con molta probabilità sarebbe stato inserito in una delle case di cura battezzate come Rems".
Ne da notizia Donato Capece, segretario generale Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria. Sul tema della chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, il Sappe rileva come sia "assurdo che si sia perso così tanto tempo e vi siano ancora tante incertezze sul dove e come saranno successivamente custoditi i malati di mente che sono oggi detenuti nelle varie strutture.
E l'Amministrazione Penitenziaria è colpevolmente silente su questo tema e si guarda bene dall'informare i Sindacati anche sul futuro lavorativo dei poliziotti impegnati negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Lo avevamo previsto: troppo semplice dire chiudiamo gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. E poi? Quel che serve sono strutture di reclusione con una progettualità tale da garantire l'assistenza ai malati e la sicurezza degli operatori. Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari hanno risentito nel tempo dei molti tagli ai loro bilanci.
Ma colpevole è anche una diffusa e radicata indifferenza della politica verso questa grave specificità penitenziaria, confermata dall'incapacità di superare davvero gli Opg. Se i politici, a tutti i livelli, invece delle solite passerelle a cui si accompagnavano puntualmente anatemi e demagogie quanto estemporanee soluzioni, si fossero fatti carico del loro ruolo istituzionale, avrebbero per tempo messo le strutture psichiatriche nelle condizioni di poter svolgere al meglio il loro lavoro, poiché le condizioni in cui versano gli Opg sono il frutto di una voluta indifferenza della società civile, dei politici, ma soprattutto dei vertici dell'Amministrazione penitenziaria".
Il leader del Sappe evidenzia infine "la professionalità, la competenza e l'umanità che ogni giorno contraddistingue l'operato delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria con tutti gli internati e i detenuti per garantire una carcerazione umana ed attenta pur in presenza ormai da anni di oggettive difficoltà operative, le gravi carenze di organico di poliziotti, le strutture spesso inadeguate. Attenti e sensibili, noi poliziotti penitenziari, alle difficoltà di tutti i detenuti, indipendentemente dalle condizioni sociali o dalla gravità del reato commesso".
www.ottopagine.it, 11 marzo 2015
"La probabile causa è un arresto cardiaco, ma bisogna in ogni caso capire meglio, prima di potere esprimere una valutazione complessiva." È quanto afferma il medico legale Oto Macchione, che per il momento ha effettuato solo un esame esterno, sul corpo del detenuto napoletano di 45 anni morto in cella nel carcere arianese a causa di un malore nella serata di lunedì. L'uomo si stava recando in bagno, quando improvvisamente si è accasciato al suolo, senza più rialzarsi. A nulla è valso ogni tentativo di soccorso, da parte dei suoi compagni, degli agenti e dei sanitari del 118 subito accorsi sul posto.
Alto Adige, 11 marzo 2015
Con la ricerca "Lavoro dentro per essere libero fuori", le indicazioni della Caritas per la vecchia e la futura struttura. La Caritas si impegna a rendere il carcere bolzanino più vivibile. E lo fa con la ricerca "Lavoro dentro per essere liberi fuori" che mette in luce il ruolo fondamentale del lavoro: strumento di integrazione sociale ma anche mezzo per tenere gli ex detenuti fuori da guai. L'iniziativa presentata a Bolzano è finanziata dal Fondo Sociale Europeo e coordinata dalla Caritas Alto Adige e vuole essere una guida per la realizzazione della nuova struttura penitenziaria.
La ricerca evidenzia i diritti dei detenuti e punta a trovare delle soluzioni architettoniche capaci di soddisfare i bisogni dell'individuo e a collegare la struttura penitenziaria con la comunità. Come primo passo è stata chiesta la disponibilità per un'eventuale collaborazione con il carcere a varie aziende altoatesine. Su 465 aziende intervistate, 200 hanno risposto positivamente.
Dopo la chiusura del bando di appalto, Caritas auspica che nella fase di realizzazione e gestione del nuovo penitenziario vengano prese in considerazioni le indicazioni della ricerca. "La dignità umana non può mai essere compressa o diminuita, un carcere che la rispetti e che sia davvero un luogo di educazione (non solo per chi vi è rinchiuso), rappresenta una garanzia per la sicurezza e soprattutto un'occasione di crescita civile per tutta la città" sottolineano i due direttori della Caritas Paolo Valente e Heiner Schweigkofler.
Caritas: 200 aziende pronte a collaborare con nuovo carcere
Dare un contributo affinché il nuovo carcere di Bolzano possa non solo adempiere i suoi compiti istituzionali nel migliore dei modi ma rispondere anche ai bisogni della comunità di cui diverrà parte integrante: con questo scopo è stato presentato a Bolzano il progetto "Lavoro dentro per essere liberi fuori", finanziato dal Fse e coordinato dalla Caritas Alto Adige.
La ricerca individua i diritti dei detenuti prospettando soluzioni architettoniche che possano porre al centro della progettazione carceraria l'individuo, i suoi bisogni e il collegamento organico della struttura penitenziaria con il tessuto urbano circostante.
Essendo il lavoro uno degli strumenti principali per la reintegrazione sociale e l'abbattimento della recidiva, sono state sondate le aziende altoatesine circa un'eventuale disponibilità a collaborare con il carcere. Su 465 aziende intervistate, ben 200 hanno mostrato interesse.
"La dignità umana non può mai essere compressa o diminuita, un carcere che la rispetti e che sia davvero un luogo di educazione (non solo per chi vi è rinchiuso), rappresenta una garanzia per la sicurezza e soprattutto un'occasione di crescita civile per tutta la città", hanno commentato i direttori della Caritas, Heiner Schweigkofler e Paolo Valente.
Corriere di Verona, 11 marzo 2015
Firmato il protocollo: cinque carcerati impiegati (e non retribuiti) in servizi di pubblica utilità. Impegnati a risistemare i sanpietrini del centro città. Dalle prossime settimane, cinque detenuti del carcere di Montorio, avranno l'opportunità di uscire dalla loro cella per svolgere un lavoro (non retribuito) a servizio della collettività.
È questo l'obiettivo del protocollo firmato ieri mattina dal Comune di Verona insieme alla direzione della casa circondariale, al Tribunale di Sorveglianza, al Coordinamento Progetto Esodo e al Garante dei Diritti delle persone private della libertà personale. "Un ulteriore passo avanti finalizzato a garantire, a quanti hanno trasgredito alle regole della convivenza sociale, la possibilità di un concreto reintegro - ha commentato l'assessore al Decentramento, Antonio Lella. Era da mesi che ne discutevo con il Garante, perché i cittadini veronesi sono assolutamente favorevoli a iniziative di questo genere".
Entro fine mese il progetto prenderà ufficialmente il via. 1 cinque detenuti, selezionati dalla direzione del carcere sulla base di percorsi formativi svolti nel periodo di detenzione e del loro curriculum lavorativo, saranno impegnati nelle vie del centro città con la supervisione e il controllo della struttura o del servizio comunale che beneficerà dell'intervento. "Svolgeranno i turni dei nostri dipendenti e saranno seguili dai nostri tecnici" ha puntualizzato l'assessore. "E con l'arrivo della bella stagione, stiamo già ipotizzando nuovi impieghi", ha spiegato il Garante, Margherita Forestan. Si ipotizza di impiegare i detenuti anche per la pulizia dei cartelli stradali o per la sistemazione dell'arredo urbano e delle aree verdi. Gli operatori del Progetto Esodo li seguiranno passo dopo passo nel loro percorso di reinserimento. "Sicuramente questo progetto offre loro la possibilità di reinserirsi un po' più rapidamente rispetto al solito - ha proseguito la Forestan. E di ripagare la collettività degli errori commessi".
Usciranno dal carcere la mattina e vi faranno ritorno nel primo pomeriggio, in base a quanto stabilito dal Tribunale di Sorveglianza e dalla direzione della casa circondariale. "In questo modo il Comune prosegue e amplia l'attività a favore del mondo del carcere - ha concluso il Garante. Una risposta delle istituzioni veronesi ai richiami del Presidente della Repubblica e del Papa sulle condizioni dei detenuti in Italia".
di Marco Rarità
Metropolis, 11 marzo 2015
I consiglieri comunali non possono "entrare" in carcere, il direttore della casa circondariale di Fuorni risponde alla proposta di Luciano Provenza: "Niente visite nelle celle, il regolamento non lo permette". È arrivata nella mattinata di ieri la risposta del direttore del carcere di Salerno, Stefano Martone, alla proposta partita dal presidente della sesta commissione consiliare del comune di Salerno riguardante le Politiche Sociali. Partì dal consigliere Luciano Provenza, infatti, la richiesta al direttore Martone di poter conoscere le condizioni dei detenuti del carcere di Fuorni. Tutti i componenti della commissione aderirono alla proposta chiedendo di effettuare una visita all'interno della casa circondariale al fine di individuare le migliori strategie per migliorare le condizioni di vita degli stessi detenuti.
"Dopo un'ampia ed approfondita discussione - dichiarò Provenza in una lettera indirizzata a Stefano Martone - dove sono state affrontate le varie tematiche inerenti le condizioni di vita dei detenuti, dall'assistenza sanitaria alla vivibilità delle loro stanze, dalla carenza organica degli agenti di polizia penitenziaria, ormai inadeguata al fabbisogno reale degli stessi, ai tanti altri problemi che affliggono la popolazione carceraria, i componenti tutti della commissione, all'unanimità, hanno proposto di effettuare una visita all'interno del carcere".
Provenza chiese al direttore di fissare, al più presto, un incontro ma proprio ieri mattina la stessa commissione consiliare Politiche Sociali ha preso atto della risposta di Stefano Martone. Il direttore della casa circondariale si è detto soddisfatto dell'interesse espresso dai consiglieri del Comune di Salerno e componenti della commissione ma ha ricordato che il regolamento dell'istituto penitenziario non consente la visita dei detenuti nelle celle del carcere, una visita consentita solo ai parlamentari.
www.genovapost.com, 11 marzo 2015
"Ennesima tragedia sfiorata nell'istituto di Marassi, Un detenuto rumeno adoperando le lenzuola in dotazione, ha tentato il suicidio mediante impiccagione. Forse alla base del folle gesto dei problemi di natura psichiatrica. E questo è il secondo caso in una settimana": lo comunica il Sappe tramite una nota.
"La Polizia Penitenziaria è sempre più sola a fronteggiare gli eventi critici che in Liguria sono in netto aumento oltre ad essere il primo e forse l'unico avamposto per arginare episodi che sono dei veri drammi umani, episodi ai quali gli agenti cercano di intervenire prontamente affinché venga salvaguardata la sicurezza e l'incolumità dei detenuti. Il carcere - commenta il Sappe - deve essere un luogo di detenzione e di redenzione, i soggetti non compatibili con la detenzione devono essere affidati a strutture convenzionate".
"Ma non si può chiedere troppo alla Polizia Penitenziaria senza attuare una seria politica di attenzione per il sistema sicurezza - continua il segretario Lorenzo - oggi si vedono compressi i diritti del poliziotto e basta poco per essere sottoposti a procedimenti disciplinari. In Liguria non vengono più effettuati i corsi di formazione su materie tecniche ed attinenti alla sicurezza ed incolumità del sistema penitenziario, ma soprattutto del poliziotto che opera 24 ore al giorno e per 365 giorni all'anno in continua emergenza. Ora il detenuto al quale gli si è salvata la vita è ricoverato, sotto osservazione, nella struttura interna di Marassi".
www.targatocn.it, 11 marzo 2015
Calci e sputi contro gli agenti che cercavano di calmarlo. Non voleva che lo trasferissero dal carcere di Cuneo a quello di Fossano, perciò quel giorno aveva perso la testa e aveva ferito lievemente due agenti della polizia penitenziaria. A.A., detenuto nordafricano è stato condannato dal tribunale a quattro mesi e 15 giorni di carcere per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. Hanno spiegato gli agenti: "Aveva tirato fuori varie scuse per ritardare il trasferimento, prima mancavano le scarpe, poi non trovava dei documenti. Era piuttosto agitato, ci è venuto addosso e ha iniziato a sputare. Sferrava calci per cercare di colpire me e colleghi, lo abbiamo bloccato, poi lo abbiamo portato in infermeria perché lo visitassero".
A.A. era un soggetto "un po' problematico: molto spesso quando si cercava di coinvolgerlo nel lavoro, andava in crisi. A volte diceva di voler commettere gesti insani, una volta si era procurato dei graffi. Non voleva saperne di andare nell'altro carcere, diceva che così non avrebbe potuto ricevere un assegno che stava aspettando". La difesa: "Il detenuto non ce l'aveva con gli agenti, ma non comprendendo il motivo del trasferimento ha pensato che l'unico modo per bloccarlo fosse dare in escandescenze".
Giornale di Napoli, 11 marzo 2015
Il 26 marzo la seconda edizione della manifestazione Iniziati i corsi preparatori di portamento e "bon ton". Venti detenute in passerella con abiti firmati da stilisti d'eccezione. Dopo la positiva esperienza dello scorso anno, si ripete la sfilata di moda nella casa circondariale femminile di Pozzuoli, con una seconda edizione che si annuncia ancora più spettacolare ed emozionante.
L'evento, organizzato dalla P&P Academy, in collaborazione con l'assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Pozzuoli, si terrà nella struttura carceraria di via Pergolesi giovedì 26 alle ore 15. Le detenute, che si alterneranno in passerella con otto modelle dell'Accademia della Moda di Anna Paparone, sfileranno con gli abiti della collezione 2015 dello stilista campano di rilievo internazionale Gianni Molare Spazio anche allo stilista emergente Manuel Artist, che farà indossare alle detenute abiti realizzati in materiale Tnt (tessuto non tessuto), e alle allieve dell'istituto Ipia-Marconi di Giugliano presenti con un flash moda.
Le detenute modelle, che si stanno preparando all'evento attraverso un corso di portamento e di "bon ton" all'interno dello stesso carcere, saranno truccate da professionisti del make-up e del parrucco. Ospiti della serata il cantante Felice Romano e lo showman Diego Sanchez. Saranno presenti, tra gli altri, la direttrice della casa circondariale Stella Scialpi, il sindaco Vincenzo Figliolia, l'assessora alle Politiche Sociali del Comune di Pozzuoli Teresa Stellato. La sfilata, che ha esclusivamente finalità sociali, si propone da un lato di offrire alle detenute un momento di svago e di aggregazione, e dall'altro di avvicinarle al mondo della moda. E dopo il primo del 26 marzo, le detenute sfileranno nuovamente il 4 giugno e infine il 28 giugno in occasione dell'evento "È moda" che si si svolgerà sul golfo di Pozzuoli.
"Si può cambiare, di questo ne eravamo convinti ieri ed oggi ancora di più -ha commentato Teresa Stellato -pensiamo ad includere chi ha sbagliato lungo il proprio percorso. Per questo insieme a tanti altri progetti presenti all'interno del carcere abbiamo pensato a questo nuovo spiraglio, innovativo, come la moda che può creare tanti sbocchi, dal diventare indossatrice all'impegnarsi in lavori più artigianali come la sartoria". Il carcere femminile di Pozzuoli, infatti, è davvero un esempio per le tante iniziative che vengono messe in campo per favorire il recupero e il reintegro nella società delle donne attraverso corsi e laboratori, dalla cucina alla scrittura, al teatro per finire alla moda.
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