www.ildemocratico.com, 10 marzo 2015
"Il carcere minorile va abolito. Bisogna creare delle comunità, con precise e severe regole comportamentali nelle quali, ovviamente, il ragazzo non sia libero di fare quello che vuole ma riesca a vivere la sua adolescenza, cosa che non ha fatto prima". A dirlo, intervistato a Voci del Mattino su Radio1, è don Ettore Cannavera, cappellano del carcere minorile di Quartucciu.
"Con i ragazzi bisogna praticare la rieducazione - spiega don Ettore Cannavera, come recita anche la nostra Costituzione, ma in carcere questo non è possibile perché manca la libertà", "in carcere si distrugge l' affettività, come è possibile che ragazzi dai 16 ai 19 anni non abbiano una esperienza affettiva? Devi metterli alla prova, sperimentare la loro personalità: farli cucinare, amministrare la comunità, gestire soldi.
Nella nostra comunità - continua il cappellano del carcere minorile - i ragazzi non prendono soldi dallo Stato, si mantengono con il proprio lavoro.
Abbiamo un vigneto e un oliveto, venderemo olio e vino in Vaticano, pensate che bel messaggio. In carcere, viceversa, i ragazzi sono mantenuti da noi, dallo Stato: è forse educativo tutto questo? La recidività per gli adulti, a livello nazionale, è del 70%, mentre nella mia comunità è del 4%. Su 75 ragazzi - conclude il sacerdote - entrati in comunità, di cui 12 per omicidio, solo 3 sono rientrati in carcere".
di Luciano Violante
Il Foglio, 10 marzo 2015
Nella società dominata dai mezzi di comunicazione la giustizia non ha ancora risolto il suo rapporto con l'informazione; ma neanche l'informazione ha risolto il suo rapporto con la giustizia. Ho spesso sostenuto, scherzando, ma non troppo, che la vera separazione delle carriere va fatta tra alcuni giornalisti e alcuni magistrati. L'interscambio tra notizie e pubblicità, con costruzione di facili eroismi, costituisce una patologia diffusa.
Peraltro in una magistratura costretta a lavorare con leggi malfatte e carenza di mezzi (in molti tribunali le udienze devono fermarsi alle 14 perché il governo non ha i soldi per pagare gli straordinari al personale ausiliario), è difficile per un p.m. respingere la prospettiva di ascendere all'empireo della notorietà, diventando un "magistrato famoso", consultato nei talk show e intervistato dai grandi quotidiani. Molti resistono; ma non tutti. In una società che ha bisogno di eroi per riscoprirsi come comunità che nutre fiducia in qualcuno, queste figure coprono un vuoto e animano una passione. Salvo poi, in qualche caso, a rivelarsi un po' diverse da come erano state presentate, o si erano presentate, dando luogo a disillusioni o a ulteriori sospetti.
E non mancano casi nei quali è stata l'informazione a servirsi di una determinata inchiesta penale, santificandone i protagonisti, per dare maggiore concretezza alle proprie campagne. Un secondo capitolo dei rapporti tra giustizia e mezzi di comunicazione riguarda la pubblicazione delle intercettazioni, specie quelle pruriginose o che fanno intravedere prurigini.
È un "giornalismo di riporto", che copre colonne o pagine di conversazioni, spesso prive di rilievo, ma che, per acquisire lettori e battere la concorrenza, sollecitano curiosità malate e infangano persone estranee al processo,. E che dire delle comunicazioni giudiziarie che da strumenti di tutela del cittadino si sono trasformate, grazie ad una informazione criminalizzante, in attestati di colpevolezza?
Questa informazione risponde a un giustizialismo di massa che vede nel discredito del potente, o presunto tale, un mezzo per confermare i sospetti anti casta; intrecciata al giornalismo di riporto crea i presupposti per un grave arretramento civile. Infine, non si può sfuggire alla sensazione che il codice penale sia diventato una sorta di codice morale di un mondo politico che ha rinunciato a elaborare una propria etica pubblica e si è consegnato alla informazione penalizzante e alle tecnicalità giudiziarie per decidere questioni, come quelle relative alle candidature, penso alla legge anticorruzione, che dovrebbero invece rientrare nelle responsabilità proprie ed esclusive della politica.
Prima di pensare a nuove leggi, sarebbe bene pensare a nuovi costumi, nuove abitudini, più rispettose del ruolo costituzionale e della dignità della magistratura e della informazione. A cominciare dalla scelta di non pubblicare la trascrizione di intercettazioni prive di rilevanza; per recuperare dignità, come ha scritto lei sul Foglio, anche a costo di perdere qualche lettore.
Ristretti Orizzonti, 10 marzo 2015
Il Garante dei detenuti della Regione Lazio, l'Ordine degli psicologi del Lazio e il Provveditorato regionale dell'Amministrazione penitenziaria del Lazio annunciano la firma di un Protocollo d'intesa per riconoscere e garantire il Diritto alla Salute alle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, nonché il loro diritto ad usufruire di una presa in carico di assistenza psicologica.
Gli obiettivi dell'accordo sono incentrati, in particolare, sulla salvaguardia del diritto del detenuto a poter fruire dell'intervento dello psicologo e sul riconoscimento dell'importanza di tale professionalità nella tutela della Salute negli istituti di pena della nostra regione.
Il Protocollo, che resterà in vigore sino al marzo 2018, ha dunque lo scopo di garantire ambiente idoneo allo svolgimento del lavoro di competenza del professionista psicologo, tale da assicurare la messa in opera di azioni di sostegno, attività trattamentali e interventi terapeutici; far collaborare i tre enti, nell'ambito delle rispettive competenze ed autonomie, al fine di riconoscere e garantire il Diritto alla salute alle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale; monitorare l'organizzazione del lavoro svolto dal professionista psicologo al fine di migliorare le condizioni di vita all'interno degli Istituti penitenziari.
"Siamo particolarmente soddisfatti del fatto che al Protocollo abbia aderito anche l'amministrazione penitenziaria: ci auguriamo che questo ci metta finalmente in condizioni di incidere sull'organizzazione dell'assistenza alla salute mentale nelle carceri del Lazio", dichiara Pietro Stampa, vicepresidente dell'Ordine Psicologi del Lazio.
"In più, per la prima volta viene affermato il diritto del detenuto alla continuità terapeutica: da adesso in avanti, chi prima del proprio ingresso in carcere seguiva una terapia psicologica, avrà diritto ad essere seguito dallo stesso professionista anche da detenuto. Ed è un risultato importante. Ci sono poi molti altri aspetti dell'accordo che verranno definiti nei mesi a venire, strada facendo: ci aspettiamo, in tal senso, di ricevere suggerimenti e proposte soprattutto da tutti i colleghi delle Asl, del ministero della giustizia, delle cooperative o di altri enti che già adesso, a vario titolo e funzione, lavorano nelle carceri".
"Quello alla salute è il diritto maggiormente leso in carcere - ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Negli Istituti della Regione, un quarto delle richieste di colloquio è legata alla tutela della salute. Il carcere è un luogo duro, in grado di piegare anche persone psicologicamente forti. È per questo che, in questi anni, ci siamo battuti contro i tagli e le riduzioni dell'assistenza psicologica in carcere ed abbiamo collaborato con Asl e Comunità terapeutiche su tutte le questioni più rilevanti inerenti tale ambito.
Dal 2012 siamo presenti nel "Gruppo regionale tecnico scientifico" per il Programma per la riduzione del rischio autolesivo e suicidario dei detenuti, degli internati e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale nella Regione Lazio e nel Tavolo tecnico regionale istituito per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg). Consideriamo la firma di questo Protocollo d'Intesa un vero e proprio spartiacque: l'assistenza psicologica ai detenuti assume la stessa rilevanza di ogni altra prestazione sanitaria erogata in carcere".
Tra i compiti che il Protocollo d'intesa assegna al Garante c'è innanzitutto la segnalazione di tutte quelle situazioni di disagio, sofferenza psicologica, chiusura difensiva e problematiche depressive al fine di promuovere mirate azioni di presa in carico che vadano oltre il mero intervento farmacologico.
L'Ordine degli psicologi del Lazio si impegna a rappresentare e a promuovere la professione dello psicologo all'interno degli Istituti penitenziari e degli Uffici di esecuzione penale esterna e ad assicurare il rispetto del principio della continuità terapeutica. Inoltre, l'Ordine professionale si impegna a monitorare e sostenere vari livelli operativi, quali l'assistenza mirata agli imputati in custodia cautelare, gli interventi trattamentali di carattere psicosociale, l'attività di valutazione diagnostica finalizzata alla messa a punto di programmi trattamentali mirati, nonché all'offerta di un contributo tecnico specialistico funzionale in termini di prevenzione del rischio auto ed etero-lesivo, oltre che suicidario, nonché interventi di riabilitazione, di prevenzione secondaria mirati ai casi di recidiva, attività progettuali orientate al sostegno del personale penitenziario.
Al Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria del Lazio spetta la promozione dell'operato del professionista psicologo e l'impegno a garantire adeguate condizioni di lavoro strutturali e operative. Secondo quanto affermato nel Protocollo firmato dai tre enti, il Provveditorato intende sostenere e monitorare percorsi di assistenza psicologica mirati all'utenza detenuta: dunque, in primis attività di osservazione e trattamento previste dall'Ordinamento penitenziario, nonché azioni di facilitazione dei processi di lavoro attivi nel sistema penitenziario, che il professionista psicologo può utilmente svolgere coadiuvando, in particolare, gli operatori deputati alla gestione delle attività trattamentali di carattere esperienziale. Tra gli impegni presi dall'amministrazione penitenziaria non manca, infine, anche il sostegno a interventi psicologici rivolti agli operatori penitenziari, nell'ottica di consolidare le capacità di problem solving del personale e potenziare le competenze di gestione dello stress connesso all'operatività di sistema.
www.cittadiariano.it, 10 marzo 2015
Tragedia in carcere ad Ariano, detenuto napoletano muore in cella colto da malore. Un infarto fulminante che non gli ha dato scampo. La magistratura come da prassi ha avviato un inchiesta.
Un detenuto di 46 anni è morto stroncato da un arresto cardiaco in carcere ad Ariano Irpino. A nulla è valso ogni tentativo di rianimazione da parte dei sanitari del 118. Sul posto il medico legale per i relativi accertamenti. A confermare la notizia il direttore Gianfranco Marcello.
Ristretti Orizzonti, 10 marzo 2015
"È stata imposta un'accelerata ai lavori di completamento del Padiglione del Villaggio Penitenziario di Sassari-Bancali destinato ad accogliere 92 cittadini privati della libertà sottoposti al 41bis, il regime detentivo di isolamento previsto per i reati di terrorismo, eversione, ndrangheta e mafia.
Il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria sembra infatti voler disporre della struttura prima dell'estate per iniziare a trasferire i detenuti". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme", sottolineando come "il progetto del Ministero della Giustizia continua il suo corso nonostante le polemiche sulla concentrazione di 184 detenuti al 41bis suddivisi tra Cagliari e Sassari".
"Aldilà di qualunque considerazione sulla opportunità di trasferire nell'isola poco meno di un terzo dei ristretti considerati più pericolosi in Italia, il regime duro applicato nelle due Case Circondariali di Sassari-Bancali e Cagliari-Uta - rileva Caligaris - potrebbe negativamente incidere sul clima generale della detenzione. Si profila insomma anche il rischio di limitare le iniziative finalizzate al recupero sociale e rieducativo dei reclusi".
"Anche la necessaria presenza dei Gom, gli Agenti del Gruppo Operativo Mobile, il reparto della Polizia penitenziaria istituito nel 1999 che opera alle dirette dipendenze del Capo del Dipartimento per i compiti relativi alla custodia della detenzione speciale, potrebbe - osserva la presidente di SDR - trasformare profondamente la realtà dei due luoghi di pena, da poco inaugurati e ancora in fase di rodaggio dove l'umanità degli Assistenti Penitenziari è un tratto caratteristico".
"È dunque opportuno che le Istituzioni regionali operino al più presto per ottenere chiarimenti dal Ministero in merito ai trasferimenti dei detenuti in 41bis in modo che si conoscano una volta per tutte tecniche, modi e tempi di realizzazione di un progetto non condiviso dalla comunità isolana e verso il quale si nutrono forti perplessità. Non basta infatti sostenere che la Sardegna per le sue condizioni sociali ed economiche non è terra che suscita grandi appetiti. Non vorremmo - conclude Caligaris - che le difficoltà della regione debbano permanere e perpetrarsi per attuare fini non riconducibili a scelte consapevoli".
www.chietitoday.it, 10 marzo 2015
A Villa Stanazzo circa 150 reclusi rifiutano il vitto da giorni perché, a loro parere, il magistrato di sorveglianza di Pescara respingerebbe tutte le istanze impedendo il ricorso a organi superiori. L'ex parlamentare chiede ai consiglieri abruzzesi di intervenire.
Protestano dall'inizio del mese circa 150 detenuti del carcere di Lanciano, battendo sulle sbarre, rifiutando il vitto ed evitando le spese per il sopravvitto. Secondo loro, i magistrati di altre città rispetterebbero i decreti legge in materia di liberazione anticipata speciale e risarcimento al 10%.
Al contrario, il magistrato di sorveglianza di Pescara, stando a quel che lamentano i detenuti, non applicherebbe mai nessun beneficio, dichiarando sempre inammissibili le richieste?. "Per non dire poi - scrivono in una letta - che le istanze vengono corrisposte a distanza di mesi e anche di anni. Nelle more di una decisione che il magistrato, se tempestivamente rispondesse, potrebbe dimagrire i termini del fine pena consentendo la scarcerazione, qui a Lanciano i detenuti scontano la pena fino all'ultimo giorno di detenzione".
"Quando, dopo lunghe attese, è ottenuta la decisione per il beneficio - proseguono - ovviamente negativa e sfavorevole, per ricorrere non si ha più tempo. Questa situazione ci umilia, così risultano inutili anni e anni di percorso tratta mentale e viene inficiato l'operato dell'amministrazione della Casa circondariale, le valutazioni e i pareri dell'area educativa e della direzione".
E ai detenuti di Villa Stanazzo arriva la solidarietà dell'ex parlamentare di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo. "Si tratta - dice - di una protesta nonviolenta volta a segnalare una disparità di trattamento che li priva della possibilità di usufruire di benefici previsti dall'ordinamento. Bisogna far chiarezza se davvero il Magistrato di Sorveglianza di Pescara ha un atteggiamento così diverso da quello di altri Uffici del territorio nazionale e se in tal modo non vengano rispettati gli ultimi decreti leggi promulgati in materia di liberazione anticipata speciale
"È probabile - prosegue - che la pronunzia d'inammissibilità sia un modo per consentire agli uffici di sorveglianza di risolvere la difficoltà a far fronte a un carico di lavoro insostenibile. Certo è che si tratta di una situazione che va affrontata. A noi di Rifondazione Comunista, al momento non presenti in Parlamento e in Consiglio Regionale, non p possibile né entrare nel carcere per ascoltare i detenuti né presentare interrogazioni".
"Invitiamo i parlamentari e i consiglieri abruzzesi, o comunque che si occupano della condizione carceraria, a intervenire celermente sul caso. La politica, sempre pronta a confezionare norme pseudo-garantiste salva-potenti, ha il dovere di occuparsi di carcere", conclude Acerbo.
di Francesco Romani
Gazzetta di Mantova, 10 marzo 2015
Si parte con tre residenze vigilate, poi si abbatteranno le palazzine per far spazio alle comunità. Garanzie per i dipendenti. Opg castiglionese promosso dalla Commissione Sanità del Senato che nella sua visita da un lato ha apprezzato la efficienza della struttura, dall'altro ha raccolto la preoccupazione degli operatori per le falle della legge che ne prevede il superamento dal prossimo mese.
Confermato il numero dei dipendenti attuali che transiteranno nelle nuove strutture, le pre-Rems, tre piccole comunità da venti pazienti che per ora nasceranno come restyling degli edifici attuali, ma alle quali se ne aggiungeranno altre tre nel momento in cui partirà la complessiva opera di riqualificazione delle strutture. La presidente della commissione, Emilia Grazia De Biasi (Pd), era accompagnata dalle colleghe Nerina Dirindin (Pd) e Paola Taverna (5Stelle).
Nella visita ha potuto constatare come l'ospedale psichiatrico giudiziario castiglionese, unico in Italia da sempre con caratteristiche sanitarie e non carcerarie, sia già pronto per il passaggio alla nuova fase. "L'Opg è inserito nel dipartimento salute mentale - ha spiegato il direttore del Poma, Luca Stucchi - e integrato con le strutture psichiatriche. Noi siamo pronti, ma è la legge che lascia molti punti interrogativi". La legge è la 81 del 2014 che per superare la piaga dei cosiddetti ergastoli bianchi da un lato prevede il superamento degli Opg, dall'altro stabilisce che si debba dimettere il paziente psichiatrico quando è rimasto in Opg il tempo corrispondente alla pena prevista per il reato che ha compiuto.
"Oggi il nostro Opg ha quattro reparti e l'unico femminile in Italia - ha detto il direttore Andrea Pinotti - nel corso del 2014 abbiamo dimesso circa cento pazienti in base alle nuove norme. E ormai, in prevalenza, chi è a Castiglione è una persona per la quale una prima perizia ha stabilito la incapacità, anche parziale, di intendere e volere. E queste persone si mescolano con altri, la cui pericolosità sociale e la tendenza alla ripetizione del reato è invece confermata". Uno dei problemi emersi è proprio quello delle perizie, non sempre all'altezza, che vengono usate come strumenti processuali. L'altro, più ampio, è l'obbligo di dimettere pazienti psichiatrici autori di reati, anche gravi. "Le strutture del territorio non sono adeguate - ha detto il direttore del dipartimento salute mentale, Antonio Magnani. Una volta messe fuori, non si riescono a gestire persone che non accettano di farsi curare e non riconoscono la propria malattia".
Inoltre, hanno ricordato i magistrati di sorveglianza di Mantova e Brescia Marina Azzini e Monica Lazzaroni, chi è stato dimesso e compie un reato, ritornerà in Opg creando un circolo vizioso. "E ancora - ha concluso Pinotti - c'è il rischio che pazienti autori di reato dimessi vengano identificati tout court con pazienti psichiatrici, definendoli pericolosi per la società, facendo fare un balzo indietro di decenni alla psichiatria". La presidente, ascoltate le indicazioni, si è detta disponibile a promuovere un decreto per superare i limiti della legge 81.
www.online-news.it, 10 marzo 2015
Cosa succederà in Lombardia l'1 aprile, quando l'ultima proroga concessa per la chiusura degli Opg (31 marzo) sarà scaduta? "Nulla. Siamo tutti consapevoli che dall'1 aprile sarebbe impossibile chiudere una struttura", l'Opg di Castiglione delle Stiviere nel Mantovano, "che ospita ad oggi 260 persone. I fondi statali" per le Rems (residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria), che dovranno sostituire la vecchia formula degli ospedali psichiatrici giudiziari, "non sono ancora arrivati e ci attendiamo che si dia corso alle assunzioni di responsabilità da parte del Governo", da cui Palazzo Lombardia aspetta 32 milioni di euro.
A fare il punto è il vice presidente e assessore alla Salute della Regione Lombardia Mario Mantovani, oggi a Milano al termine dell'audizione a porte chiuse che si è svolta in Prefettura davanti alla Commissione Sanità del Senato, dopo la visita alla struttura mantovana da parte della delegazione composta dalla presidente Emilia Grazia De Biasi e dai senatori Sante Zuffada, Nerina Dirindin e Paola Taverna.
Prima di tutto i numeri: "Oggi nell'Opg ci sono 260 persone. Quando l'ho visitato io l'anno scorso erano più di 300. Nel 2014 si è proceduto con 110 dimissioni, ma purtroppo ci sono anche le ammissioni - spiega Mantovani - Mediamente si verificano 9 dimissioni al mese e 5 nuovi ingressi". Non solo. "Delle 260 persone oggi presenti a Castiglione, 100 non sono in carico alla Regione Lombardia: 43 sono del Piemonte e delle altre 60 persone 50 sono donne, perché qui è la sede di tutto il reparto femminile a livello nazionale. Ho chiesto alla Commissione Sanità del Senato di farsi interprete di questi nostri evidenti ritardi, perché se ciascuna Regione non si fa carico dei propri pazienti, è chiaro che ci sono difficoltà. Per esempio oggi erano presenti rappresentanti del Piemonte.
Da questa Regione ci dicono che non hanno i fondi e non sono in grado al momento di fare le due Rems necessarie per 40 persone". La Lombardia, assicura Mantovani, "è pronta. Ed è pronta anche per una fase transitoria: dall'1 aprile vorremmo strutturare tutte le 8 Rems" pianificate "all'interno di Castiglione delle Stiviere, in attesa che arrivino i fondi e si possano realizzare quelle definitive", di cui due sono previste a Limbiate, dove si preventiva una spesa di 5 mln di euro.
"Noi prevediamo 8 Rems a diversa intensità, a seconda del livello di 'pericolosità', in modo tale da consentire un graduale passaggio in base anche alla situazione psicologica e psichica delle persone. È la magistratura che fa le valutazioni del caso". Sul fronte Rems, continua Mantovani, "abbiamo 5 proposte in campo per l'obiettivo definitivo che prevede l'assunzione di 180 persone tra psichiatri, psicologi, infermieri, animatori, personale di servizio Oss per la gestione delle 8 Rems. Di queste, 96 persone lavoreranno per l'inserimento territoriale, per accogliere i dimessi. Noi dunque siamo pronti con il progetto lombardo, se le altre Regioni prendono in carico i loro pazienti". Il punto è anche capire se succederà, visto il diverso stato di avanzamento dei progetti nella varie realtà regionali.
"Io mi auguro - sottolinea Mantovani - che il Governo lavori in questa direzione". Intanto, continua, "se ci mandano i fondi iniziamo a realizzare le strutture e gradualmente facciamo i trasferimenti. Noi intendiamo muoverci con il piano transitorio delle 8 Rems a Castiglione e lavoreremo per questo. Naturalmente favoriremo le dimissioni, compatibilmente con le possibilità. Quanto al problema delle 50 donne" dell'Opg mantovano, "se le Regioni di provenienza non le prendono in carico studieremo soluzioni alternative, non possiamo fare altrimenti. Siamo pronti a collaborare, visto che ci riconoscono competenza e professionalità". C'è poi la questione dei piani individualizzati per ciascun paziente.
"Noi come Regione Lombardia ci siamo mossi - assicura Mantovani - e abbiamo chiesto entro il 27 febbraio a tutti i Dsm (Dipartimenti di salute mentale) il piano per ciascuno. Sono stati già redatti e saranno analizzati con magistrati, psichiatri, psicologi e tutto il personale coinvolto. Insieme si strutturerà un lavoro su quelli che possono essere gli sviluppi legati a ciascun caso e le possibili destinazioni". E dalla Lombardia c'è anche la disponibilità per un progetto pilota. Obiettivo: capire che fine fanno le persone dimesse dall'Opg, visto che "degli oltre cento dimessi nel 2014, solo 10 sono tornati in famiglia - fa notare l'assessore.
Gli altri 90 vengono collocati in strutture territoriali e altre residenze. Abbiamo dunque accolto la proposta di formulare, in quanto Regione riconosciuta da tutti come quella che ad oggi affronta meglio il problema degli Opg, un progetto-obiettivo che prevede un'analisi epidemiologica sul destino dei dimessi nella nostra regione. Questo è stato ben accolto dai senatori, perché rappresenterebbe uno studio adeguato, pilota a livello nazionale".
www.rsvn.it, 10 marzo 2015
La segreteria regionale del Sappe, il sindacato autonomia di Polizia Penitenziaria, prende posizione sull'evasione del detenuto algerino dall'Ospedale San Paolo dove era ricoverato per sospetta tubercolosi. "Abbiamo denunciato più volta che il tallone d'Achille per le evasioni è proprio il ricovero ospedaliero o le visite specialistiche che, almeno in Liguria, avvengono senza sicurezza, con i detenuti lasciati anche per ore in luoghi comuni insieme ad altri pazienti", afferma il sindacato.
"È una condizione che praticamente azzera la sicurezza - dichiarano i rappresentanti sindacali - Abbiamo chiesto all'assessore regionale alla Sanità Claudio Montaldo di rivedere tale condizione, valutando la necessità di individuare per la scorta dei detenuti che si recano nei luoghi di cura un percorso o luogo che possa garantire un minimo di sicurezza: fino ad oggi abbiamo ottenuto solo promesse".
Corriere della Sera, 10 marzo 2015
"Quando la porta della felicità si chiude, un'altra si apre, ma tante volte guardiamo così a lungo quella chiusa che non vediamo quella che è stata aperta per noi". Siamo 8 adolescenti che, sicuramente, non possono rendersi conto al 100% della realtà del carcere e della quotidianità vissuta dentro quelle mura ma che considerano le poche righe citate in apertura come il motore di azione del volontariato di Carcere e Territorio.
Vogliamo allora utilizzare la metafora della porta: c'è la porta chiusa che rappresenta il passato, con tutti i suoi errori, con tutte le scelte sbagliate. È la porta che, orami chiusa, può essere solo guardata con la consapevolezza dell'immutabilità di ciò che ci sta dietro. C'è però anche la porta aperta, la porta del futuro, la porta della possibilità, del cambiamento, la porta che può essere oltrepassata e permette qualsiasi cosa.
L'idea vigente oggi, come nel passato, è quella di considerare certi errori come imperdonabili, riparabili solo attraverso una dura pena. Con uno sforzo di apertura mentale si può invece capire che molti di coloro che sono dietro le sbarre, considerano quegli episodi come facenti parte del passato, del mondo della porta chiusa, un mondo che è solo da seppellire.
È possibile che molti siano proiettati in una voglia di cambiamento che implichi una rinascita, una nuova vita ed è questo il fine ultimo della rieducazione, un nuovo modo di "pagare" il proprio conto, una giustizia che è riparativa e che da passiva si trasforma in attiva. Il concetto che secondo noi sta alla base di tutto è "il contemplare la possibilità, prevedere un'opportunità" senza critiche e pregiudizi, senza discriminazioni. Tutti devono avere ed hanno il diritto ad una seconda chance, nel momento in cui vi credono con ogni minima parte di sé e sono consapevoli del fatto che è possibile ricostruirsi una speranza, voltare pagina, riparare ciò che si è rotto: insomma, nel momento in cui si crede a quella porta aperta.
Marta, Anna, Maria, Laura, Federica M., Federica P., Vittoria, Gianluca
Per noi carcerati la porta chiusa può avere molte interpretazioni: la negazione della socialità o, ad esempio, la frustrazione di non essere riusciti nel fatto. Ma teniamo in considerazione qual è la felicità soggettiva di ognuno di noi o, quantomeno, la cosa giusta da fare. Certamente le istituzioni e le leggi indirizzano e purtroppo, spesso e volentieri, impongono uno stile di vita che , quasi sempre, chi predica razzola male. Le porte chiuse danno molto a pensare in quanto per una parte seppur minima di sé, chi vive un'esperienza di carcere, si convince che fuori da qua non avrà più niente a che fare con il delinquere.
Ma esiste una parte che invece, dietro quella porta, escogita il modo per non farsi beccare o cerca di capire dove ha sbagliato per essere ora tra queste mura. Piacerebbe anche a me essere più positivo, pensare che tutto quello che ho fatto e sto vivendo, quando esco, possa essere solo un passato e, magari, che mi si aprano strade nuove. Ma come troppo spesso succede, ci hanno cucito addosso un'etichetta da delinquente che non sarà facile togliersi, anche se molti di noi non lo sono in realtà. Resta il fatto che la speranza è l'ultima a morire e visto che un buon consiglio non si nega mai "fate i bravi ragazzi"
Cristian
- Treviso: detenuti pattuglieranno Parco naturalistico del Sile per scoraggiare atti vandalici
- Pescara: giustizia riparativa a Montesilvano Colle primo giorno di lavoro per un detenuto
- Spoleto (Pg): solidarietà in carcere, donati dieci computer ai detenuti
- Bologna: convegno "Oltre gli Opg, prospettive e sfide di un incerto futuro prossimo"
- Avellino: carcere S. Angelo dei Lombardi, anche Papa Francesco beve il vino "Galeotto"