di David Busato
www.i-siena.it, 26 febbraio 2015
Il problema annoso del sovraffollamento carcerario a Siena non esiste. Il dato era già venuto fuori durante la recente intervista audio di i Siena a Giulia Simi dopo la sua visita alla casa circondariale di Santo Spirito. Sergio La Montagna, 45 anni, è entrato nell'Amministrazione Penitenziaria nel settembre del 1997 e ha iniziato la mia carriera come vice-direttore nella Casa Circondariale di Novara, istituto di massima sicurezza che ospita tutt'oggi detenuti sottoposti al regime 41-bis e che all'epoca conteneva detenuti politici (i cd. irriducibili delle Br e gli anarchico insurrezionalisti). Successivamente ha ricoperto l'incarico di vice direttore prima e Direttore poi presso la Casa Circondariale di Ariano Irpino (Av), un istituto di media sicurezza con una sezione di detenuti alta sicurezza e una per collaboratori di giustizia. Da poco più di due anni è Direttore della Casa Circondariale di Siena.
1) Il Carcere Santo Spirito di Siena. Dati.
La Casa Circondariale di Siena ha una capienza massima di poco più di 80 detenuti. È un piccolo Istituto di media sicurezza destinato ad accogliere soggetti con fine pena non elevato. Vi operano poco meno di 40 unità di Polizia Penitenziaria (che risultano insufficienti rispetto alle esigenze di servizio), 4 unità di personale amministrativo (anch'esse insufficienti), medici, infermieri, uno psicologo e un cappellano che garantisce l'assistenza spirituale ai detenuti.
2) Situazione carceraria in Italia ed a Siena. Ci sono delle differenze?
In linea di massima, salvo rare eccezioni, gli istituti di pena risentono delle criticità che investono l'universo penitenziario e che si sono acuite con la crisi economica che affligge il nostro Paese da qualche anno. La Casa Circondariale di Siena presenta evidenti carenze strutturali, logistiche e, come già accennato, di organico. Nondimeno, grazie all'impegno e alla professionalità dei suoi operatori, si riescono a conseguire importanti risultati. Il contributo di decine di volontari consente, infatti, la realizzazione di numerose iniziative di carattere trattamentale e riabilitativo, in linea con i principi costituzionali che attribuiscono alla pena una finalità rieducativa.
Nello scorso anno, infatti, oltre alle attività del laboratorio teatrale, che hanno riscosso un notevole successo di pubblico e di critica, diverse progettualità hanno trovato attuazione. Tra queste, degna di menzione è sicuramente l'inaugurazione della nuova biblioteca che fa parte della Rete Documentaria Senese e attorno alla quale si sono sviluppate svariate iniziative culturali (incontri con scrittori, cineforum, dibattiti ecc.).
Particolarmente interessante è stata anche la mostra, tenuta nel centro storico di Siena, dei dipinti realizzati dai detenuti nel laboratorio di pittura.
È stato inoltre allestito, grazie alla collaborazione sviluppatasi con l'Istituto Agrario di Siena, uno spazio verde all'interno del carcere ove si svolgono, nei mesi estivi, i colloqui dei detenuti con i familiari e molteplici sono stati gli incontri tra gli stessi detenuti, studenti di istituti superiori e allievi universitari.
Sul finire del 2014 è nato anche il primo giornale dei detenuti della Casa Circondariale "Spirito in Libertà" prodotto dal comitato di redazione interno e frutto della collaborazione con i docenti del Ctp Pertini di Poggibonsi e soprattutto con i suoi colleghi de La Nazione, Tommaso Strambi e Cecilia Marzotti che ancora oggi tengono lezioni di giornalismo in carcere. Oltre a ciò si sono svolte diverse altre attività culturali (ne cito una per tutte: un corso di alfabetizzazione settoriale per i detenuti stranieri tenuto dall'Università per stranieri di Siena) e una serie di iniziative rieducative promosse dai gruppi di volontariato che operano in Istituto.
3) Un suo bilancio da Direttore.
Non è ancora tempo di bilanci e consuntivi. La mia agenda contiene diversi progetti che intendo realizzare. Diceva bene Henry Ford:" Sto cercando un sacco di uomini che hanno una capacità infinita di non sapere ciò che non può essere fatto".
4) Il reinserimento sociale a Siena.
Il lavoro è senza dubbio lo strumento principe della risocializzazione del detenuto. Ma affinché sia perseguibile il fine del reinserimento lavorativo del ristretto nel tessuto sociale, non è certo sufficiente l'offerta di una generica opportunità di lavoro. Considerate, infatti, le difficoltà occupazionali e la competitività che caratterizzano l'odierno mercato del lavoro, la spendibilità e l'appetibilità della forza lavoro offerta dai detenuti sono minime, se non supportate da una specifica preparazione professionale.
Nella consapevolezza di ciò, è stato predisposto un progetto molto ambizioso che punta alla creazione all'interno della Casa Circondariale di una pizzeria gestita da una cooperativa sociale che impiegherebbe come forza lavoro i detenuti. In tal modo soggetti privati dalla libertà personale avrebbero l'opportunità, grazie ad un'adeguata formazione, di diventare pizzaioli e di acquisire una professionalità facilmente spendibile sul mercato del lavoro, una volta scontata la loro pena.
5) Situazione terrorismo islamico. C'è il rischio che tra i carcerati ci possa essere qualche cellula?
Il livello di attenzione nei confronti dei detenuti e non solo islamici è molto elevato. Non si può escludere che cellule di gruppi terroristici possano annidarsi anche nelle carceri. Determinante in tal senso è lo scambio di informazioni con le forze di polizia presenti sul territorio per un'azione coordinata di monitoraggio e di prevenzione di eventuali azioni terroristiche.
6) I progetti futuri.
Preferisco non fornire anticipazioni sui progetti futuri della Casa Circondariale; mi limito a dire che alcuni di essi sono a forte impatto sociale e ben rispondono alla mission che è quella di creare un legame sempre più saldo tra carcere e territorio. Mi consenta in conclusione di spendere qualche parola sulla Polizia Penitenziaria che è finita in questi giorni nell'occhio del ciclone per le note vicende riportate da tutti gli organi di stampa.
Proprio in questo frangente avverto il dovere di evidenziare che il Corpo di Polizia Penitenziaria è composto, per la più gran parte, da uomini e donne veri, che svolgono il loro difficilissimo lavoro con estrema dignità e professionalità e che troppo spesso, a torto, non ottengono il dovuto riconoscimento da parte della società civile. Colgo l'occasione, in particolare, per ringraziare il Reparto di Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale per la generosa dedizione con la quale opera in condizioni di deficit organico e la cui attività, per questo motivo, sovente rasenta i limiti dell'inesigibile.
La Sicilia, 26 febbraio 2015
C'è una struttura costata all'epoca miliardi di lire che a Villalba ha funzionato solo 5 anni, per poi essere chiusa e dimenticata, malgrado vari appelli e progetti per un uso anche diverso da quello originario, come la trasformazione in casa di accoglienza o centro terapeutico. Ci riferiamo al carcere, che è dotato di una cucina per 250 pasti, lavanderia, mensa e spazi verdi per i detenuti, nonché padiglioni per gli uffici, la matricola e gli alloggi del personale. Tutto disponibile, ma tutto chiuso da vent'anni esatti.
Nei magazzini sotterranei si trovano riserve idriche per 350.000 litri e una bonza per il cherosene (è stato anche realizzato l'impianto per il collegamento al metano). La zona lavanderia è ancora funzionante, l'attrezzatura della sala cucina è stata invece smontata e rimontata nell'asilo nido.
Nel braccio dove sono ubicate le celle, sezione A e sezione B, si trovano 16 celle a due posti per ogni sezione, in totale quindi 32 celle, dotate di servizi igienici (bidet, gabinetto e armadietti), armadi e comodini a muro, letti a castello fissati al pavimento, impianto di riscaldamento e antenna tivù. Ogni cella misura circa 4 metri per 2.20 ed è chiusa da due porte ferrate: una a giorno e una per la notte, dotata di spioncino. Ogni sezione è dotata di docce. C'è anche una grande sala adibita a cappella. La zona per l'ora d'aria si compone di circa 600 mq di spazi aperti delimitati da alte mura.
Al piano superiore del carcere si trovano due appartamenti per il personale, ogni appartamento attrezzato di tutto punto misura circa 100 mq.
Ma è tutto chiuso e abbandonato e l'indignazione stringe il cuore nell'osservare uno spreco tanto sfacciato mentre altrove i detenuti sono ammassati in minuscole celle. Anche perché se il carcere venisse riutilizzato, rappresenterebbe un indotto economico non da poco nella stagnante economia locale. Finora però tutti gli appelli dei vari amministratori che si sono succeduti alla guida di Villalba sono risultati vani.
Quando la struttura funzionava tra il 1985 e il 1990, ospitava circa 70 detenuti. Dopo la chiusura lo stabile fu ceduto al Comune. Il decreto di chiusura fu trasmesso il 28 novembre 1995 e il personale di sorveglianza fu trasferito ad altre mansioni. Da allora l'ex carcere è preda soltanto di polvere ed oblio.
di Adelaide Pierucci
Il Messaggero, 26 febbraio 2015
Per la Procura il giovane detenuto "poteva essere salvato" i sanitari che lo dovevano curare "agirono con negligenza". In tre visite mediche non gli avevano mai misurato la febbre, né auscultato il torace o misurato la pressione.
È così, con una polmonite non diagnosticata, che Danilo Orlandi, un detenuto di 30 anni di Primavalle con piccoli precedenti per droga, era morto dietro le sbarre di Rebibbia. In pochi giorni, dal 27 maggio al primo giugno del 2013, si era spento senza che nessuno si accorgesse dell'urgenza. Lo curavano con una aspirina. La sua morte, ha concluso ora la procura di Roma, poteva essere evitata.
Il sostituto procuratore Mario Ardigò e il procuratore aggiunto Leonardo Frisani hanno iscritto nel registro degli indagati con l'accusa di omicidio colposo il medico di reparto del G11 che lo aveva in cura e il dirigente sanitario di Rebibbia, pronti a chiederne a breve il processo.
Il giovane, che ha lasciato la moglie e una bambina di 9 anni, in quei giorni era sottoposto ad una sanzione disciplinare, non poteva partecipare alle attività in comune. Ed è proprio per questo, forse, che sarebbe stato sottoposto per tre volte a visite frettolose. Una prassi, a quanto pare, per i detenuti in punizione. Orlandi infatti sarebbe stato visitato dal medico del suo braccio, una dottoressa, sia il 27, il 28 e il 29 maggio senza che gli venisse neanche palpato l'addome.
Il medico infatti si sarebbe limitato per tutti e tre i giorni a un colloquio con lui non riuscendo, appunto, secondo i magistrati, "per negligenza a rilevare i sintomi tipici specifici di una polmonite alveolare bilaterale batterica", una polmonite grave per cui invece si sarebbe dovuti intervenire subito con approfondimenti diagnostici e cure urgenti.
Nell'inchiesta è finito anche il dirigente sanitario della casa circondariale, in questo caso, perché non avrebbe vigilato sui medici, che per prassi, secondo i magistrati, quando "visitavano i detenuti sottoposti alla sanzione disciplinare dell'esclusione dell'attività in comune si limitavano a un colloquio anamnesico senza eseguire un esame obiettivo generale attraverso l'ispezione quanto meno del torace". Nel diario clinico del giovane, tra l'altro è stato rilevato un buco. Nessuno infatti lo avrebbe visitato il 31 maggio, il giorno prima della morte. Proprio il giorno in cui la madre del ragazzo, Maria Brito, aveva visitato il figlio trovandolo pallido, febbricitante e debilitato. Eppure tutti i bollettini medici degli ultimi giorni di vita di Danilo avevano concluso che non ci fosse "nessun fatto acuto da riferire".
Ad accertare le cause della morte del giovane era stata la perizia stilata dal professor Costantino Ciallella de La Sapienza. Un esame che aveva escluso l'ipotesi dell'infarto ventilato nell'ambiente carcerario. Nel diario clinico del detenuto la conferma: si parlava solo di prodotti anti-infiammatori o analgesici, al massimo un antibiotico. "Mio figlio è stato lasciato morire". Paolo Orlandi si era sfogato pure coi magistrati "ma combatterò". Il legale della famiglia, l'avvocato Stefano Maccioni, da parte sua, intanto è pronto a formalizzare la costituzione di parte civile.
Ristretti Orizzonti, 26 febbraio 2015
"La vicenda di un detenuto trasferito dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria da Viterbo, dove si trovava da alcuni anni, a Oristano-Massama, lo scorso 29 maggio, ricostruita in un'interrogazione del senatore Luigi Manconi al Ministro della Giustizia Andrea Orlando, ripropone la questione irrisolta della territorialità della pena facendo emergere le contraddizioni di un sistema che non rispetta la normativa vigente". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme", sottolineando "la necessità di dare risposte anche a quanti chiedono avendo i familiari nell'isola di poter tornare in Sardegna per scontare la detenzione".
"Il principio sancito dalla legge per cui il trattamento della persona privata della libertà deve tendere a favorire il rapporto con la famiglia - evidenzia Caligaris - non è mai stato rispettato nel caso di Mario Trudu, in carcere dal 1979. Da alcuni lustri il recluso chiede inutilmente di poter tornare in Sardegna. Il Dap gli ha concesso recentemente, dopo circa 3 anni, di poter effettuare alcuni colloqui con i familiari avendolo trasferito temporaneamente a Badu e Carros (Nuoro). Il tutto è avvenuto peraltro nell'arco di poco più di un mese dopo di che è tornato nella Penisola".
"Alla sua istanza di trasferimento da Spoleto a un Istituto isolano, il Dipartimento ha inviato Trudu a San Gimignano (Siena) laddove perfino il regolamento di esecuzione della pena, come ricorda anche il senatore Manconi nell'interrogazione, recita "Nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie". È evidente insomma - ricorda la presidente di Sdr - che la limitazione della libertà non può comportare pene aggiuntive peraltro non stabilite dalla sentenza.
Occorre quindi che il Dap faccia prevalere nella detenzione l'aspetto umano consentendo a chi lo richiede di poter scontare la pena vicino ai parenti. Lo Stato non può ignorare le condizioni individuali della persona e deve tenere conto degli anni trascorsi, dell'età, della salute e dei risultati del percorso di riabilitazione altrimenti diventa insignificante anche il sistema detentivo". "Il rispetto della territorialità della pena - conclude Caligaris - ha una funzione rieducativa e risocializzante che rende più efficace il trattamento e consente a chi ha commesso dei reati di ritornare, benché detenuto, nell'alveo della cittadinanza".
www.sassarinotizie.com, 26 febbraio 2015
Hanno lavorato sodo per circa un mese, raccogliendo le olive negli oliveti di proprietà del Comune di Sennori. Ora, i 165 litri di olio extravergine di oliva ottenuti dalla spremitura di quel raccolto sono un po' anche i loro. Sono un gruppo di detenuti che scontano la loro pena nel carcere di Bancali, e che sono stati inseriti dal Comune e dal Consorzio di cooperative Andalas de Amistade in un progetto di recupero e inclusione sociale benedetto dal Ministero della Giustizia, dall'Uepe e dalla direzione della stessa Casa circondariale di Sassari. I 135 litri di olio sopraffino sono andati per il 45 per cento al consorzio Andalas de Amistade, che lo donerà in beneficenza a soggetti bisognosi, e per il resto va a formare la riserva di "Olio del Comune", un piccolo tesoretto biologico del l'amministrazione comunale che sarà utilizzato anche in questo caso per scopi sociali e opere di solidarietà.
"Questo progetto su cui l'assessorato all'Ambiente ha voluto scommettere, oltre a creare opportunità di lavoro, vuole sottolineare che tutti, anche coloro i quali hanno commesso errori gravi, hanno diritto ad avere la possibilità di riscattarsi e rimediare ai passi falsi commessi. È un'opportunità che la nostra società non può e non deve negare a nessuno", commenta Vincenzo Leoni, assessore all'Ambiente del Comune di Sennori.
La riserva di olio extravergine di oliva nelle disponibilità del Comune per l'annata 2014/2015 consiste in 11 latte da 5 litri, 19 bottiglie da mezzo litro e 38 bottiglie da un quarto di litro. Tutte perfettamente etichettate con lo stemma del Comune e pronte a rendere onore al gruppo di lavoro che ha speso energie e tempo in un progetto dall'alto valore sociale.
Ansa, 26 febbraio 2015
Un detenuto ha tentato il suicidio ieri mattina nel carcere bolognese della Dozza: grazie all'intervento della polizia penitenziaria è stato soccorso e portato all'ospedale. Lo hanno reso noto Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, e Francesco Campobasso, segretario regionale del sindacato: "la Polizia penitenziaria tutela sempre e in ogni occasione l'incolumità dei detenuti, rappresentando un presidio importantissimo per la sicurezza e la legalità nelle carceri".
Il detenuto che ha tentato il suicidio, impiccandosi in una cella del carcere della Dozza a Bologna, aveva saputo da poco del parere favorevole arrivato dalla Corte d'appello all'estradizione in patria, in Moldavia. L'uomo era infatti in carcere in Italia in esecuzione di un mandato di arresto emesso nel Paese di origine.
Ansa, 26 febbraio 2015
Ha tentato di uccidersi in carcere Mario Ubaldo Caldaroni, uno dei componenti della banda di Marietto Rossi che sabato scorso ha ucciso Giovanni Lombardi che avrebbe dovuto consegnare della droga: la banda è stata bloccata dalla polizia mentre tentava di seppellire il corpo in un terreno a Levaggi nel comune di Borzonasca. Caldaroni ha tentato di impiccarsi con un lenzuolo alle sbarre della cella dove si trovava in isolamento.
È stata salvato dagli agenti penitenziari. A seguito di questo episodio il pm Alberto Lari, che coordina l'inchiesta, ha fatto un provvedimento di trasferimento per tutti gli arrestato in altre carceri. Intanto si è avvalso della facoltà di non rispondere Giacinto Pino, uno dei fermati, accusato di detenzione e cessione di due chili di cocaina che avrebbe consegnato a Lombardi. Il gip Annalisa Giacalone, che lo ha interrogato in carcere, ha disposto la misura cautelare in cella. Per il magistrato sussistono gravi indizi di colpevolezza.
Ansa, 26 febbraio 2015
Ancora episodi che denotano la tensione all'interno del carcere di Cremona, nei mesi scorsi al centro delle cronache per un tentativo di evasione sventato dalla Polizia Penitenziaria e per il rinvenimento di diversi telefoni cellulari. Prima due detenuti, coinquilini della cella, sono venuti alle mani per futili motivi, poi l'episodio più grave contro un poliziotto penitenziario.
"Un detenuto ha tirato del liquido bollente, il preparativo di una tisana, addosso a un Agente di Polizia Penitenziaria in forza alla Casa circondariale cremonese", denuncia Donato Capece, Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe.
"Un episodio gravissimo, che poteva avere più gravi conseguenze se il collega, al quale va la nostra vicinanza e solidarietà, non fosse stato scaltro a cercare di evitare di essere colpito. Questo grave episodio è sintomatico del costante livello di alta tensione che si vive in carcere, tanto più che le ragioni del grave gesto sono veramente futili.
Il detenuto, egiziano con fine pena 2016 per spaccio di stupefacenti, pretendeva di essere accompagnato subito in infermeria. L'agente di Polizia Penitenziaria, impegnato in altre attività di servizio nel Reparto, lo tranquillizzava che lo avrebbe fatto non appena concluse le altre operazioni ma il detenuto ha posto in atto il suo folle gesto. Assurdo! La Polizia Penitenziaria non è carne da macello e servono risposte disciplinari e penali esemplari per chi si rende responsabili di gesti così sconsiderati. E serve che il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, attraverso i vertici del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, disponga una ispezione ministeriale sul carcere di Cremona".
Il leader dei Baschi Azzurri, circa il pestaggio tra i due detenuti (uno dei quali è dovuto ricorrere alle cure dei sanitari con ricorso ad un collare sanitario), sottolinea che "forse il pretesto del furioso pestaggio è tra i più futili, ossia l'incapacità di convivere - seppur tra le sbarre - con persone diverse. O forse le ragioni sono da ricercare in screzi di vita penitenziaria o in sgarbi avvenuti fuori dal carcere. Fatto sta che i due detenuti se le sono date di santa ragione. E se non fosse stato per il tempestivo interno dei poliziotti penitenziari le conseguenze della rissa potevano essere peggiori".
Capece aggiunge che "nella Casa circondariale di Cremona la tensione è costante. Nei dodici mesi del 2014 si sono contati ben 17 tentati di suicidio sventati in tempo dai poliziotti penitenziari, il numero più alto di tutte le carceri lombarde (addirittura più di penitenziari più grossi come Milano San Vittore o Opera), 120 episodi di autolesionismo, 53 colluttazioni e 14 ferimenti. Mi sembra dunque opportuno che l'Amministrazione Penitenziaria regionale ponga tra le priorità di intervento il penitenziario di Cremona, dove lo scorso 31 gennaio erano detenute 376 persone, il 72% delle quali (271) straniere. Un numero spropositato: bisognerebbe espellerli. Fare scontare agli immigrati condannati da un tribunale italiano con una sentenza irrevocabile la pena nelle carceri dei Paesi d'origine può anche essere un forte deterrente nei confronti degli stranieri che delinquono in Italia".
"Il dato oggettivo è però un altro - conclude il leader del Sappe: le espulsioni di detenuti stranieri dall'Italia sono state fino ad oggi assai contenute: 896 nel 2011, 920 nel 2012 e 955 nel 2013, soprattutto in Albania, Marocco, Tunisia e Nigeria. Si deve superare il paradosso ipergarantista che oggi prevede il consenso dell'interessato a scontare la pena nelle carceri del Paese di provenienza. Oggi abbiamo in Italia 53.889 detenuti: ben 17.403 (quasi il 35 per cento del totale) sono stranieri, con una palese accentuazione delle criticità con cui quotidianamente devono confrontarsi le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria.
Si pensi, ad esempio, agli atti di autolesionismo in carcere, che hanno spesso la forma di gesti plateali, distinguibili dai tentativi di suicidio in quanto le modalità di esecuzione permettono ragionevolmente di escludere la reale determinazione di porre fine alla propria vita. O al grave episodio accaduto proprio a Cremona, con un poliziotto penitenziario che ha rischiato la vita per il gesto folle e sconsiderato di un detenuto straniero".
di Francesco Li Noce
www.sanremonews.it, 26 febbraio 2015
I fatti risalgono al 2011 quando all'interno del carcere di Imperia era stata ritrovata dell'eroina nascosta nel cappuccio dell'accappatoio del detenuto tossicodipendente, accappatoio portato dalla madre e dal genero che aveva accompagnato la donna in auto. Sono stati assolti, questa mattina dal giudice del Tribunale di Imperia Anna Bonsignorio, Battistina V e il genero Gianni C, imputati con l'accusa di aver portato della droga nascosta nell'accappatoio a un detenuto tossicodipendente, figlio di Battistina. I fatti risalgono al 2011 quando all'interno del carcere di Imperia era stata ritrovata dell'eroina nascosta nel cappuccio dell'accappatoio del detenuto tossicodipendente, accappatoio portato dalla madre e dal genero che aveva accompagnato la donna in auto.
I due sono stati giudicati però innocenti dal giudice Anna Bonsignorio che ha riconosciuto la tesi dell'avvocato difensore della donna, Elena Pezzetta, la quale ha sostenuto che a nascondere la droga, all'insaputa della donna e del genero, difeso dall'avvocato Rosanna Rebagliati, fosse stata un'amica del detenuto.
di Ambra Notari
Redattore Sociale, 26 febbraio 2015
Prima scriveva dal carcere di Piacenza, ora lo farà dalla Dozza di Bologna. Giusy ha 64 anni e moltissime amicizie alimentate dalla corrispondenza. Il direttore del mensile del carcere di Pavia: "Le fanno un sacco di regali, e lei ha parole di conforto per chi che ne ha bisogno".
"Quanti anni ha? A chi glielo chiede, risponde dai 42 ai 62, a seconda dell'interlocutore. In realtà lei di anni ne ha 64, portati con grande spirito". Lei è Giusy, detenuta emiliana del carcere di Piacenza, trasferita pochi giorni fa alla Dozza di Bologna dopo la sentenza definitiva. A raccontare la storia di questa donna, per tutte le compagne detenute finita in carcere per un enorme errore giudiziario, è Bruno Contigiani, direttore di Numero Zero, giornale dell'istituto penitenziario Torre del Gallo di Pavia.
"Giusy è stata una delle prime donne a partecipare ai nostri gruppi di lettura ad alta voce. Non è mai mancata una volta, era una delle nostre animatrici. Il suo passato non è semplice, ma sorride sempre, e non fa mai mancare una parola buona a chi ne ha bisogno". Giusy, racconta Contigiani, è buona, ingenua, genuina.
Si cura molto, è simpatica e partecipativa. E ha una particolarità: "Ama scrivere lettere: intrattiene una corrispondenza molto frequente con 21 detenuti di 12 carceri italiane. Lo fa con estremo affetto, si occupa degli altri mettendoci il massimo impegno". Così, ogni volta che arriva la posta, lei riceve sempre 2 o 3 lettere: "Sono di vario tipo: alcune affettuose e di conforto, altre con qualche particolare piccante. Ama soprattutto la corrispondenza con la casa circondariale di Napoli. Lì c'è anche un detenuto con cui sta programmando una vita una volta fuori. E quando deve ammettere l'età, la definisce variabile in base al destinatario della missiva".
Ma come conosce i nomi delle persone a cui scrivere? "Su Numero Zero, in fondo, mettiamo i nomi dei detenuti che hanno collaborato all'edizione, già quello è un primo spunto. Poi, c'è Cronaca Vera", rivista di culto per un pubblico popolare, il giornale più letto negli istituti penitenziari, che ospita la rubrica Lettere dalle Carceri. "Si trovano veri e propri annunci: lì i detenuti - italiani e stranieri - si descrivono apertamente in cerca di un'anima gemella. Senza timori si dichiarano etero, gay, trans. E tra loro si scambiano regali. Giusy ne riceve molti, e parecchi vuole tenerli segreti...", spiega Contigiani sorridendo.
In fondo, chi si scrive le lettere oggi? "I detenuti sono gli unici che ancora intrattengono rapporti epistolari. Quali altre categorie lo fanno? Forse le persone sofisticate, nessun altro". Il carteggio dalle carceri, insomma, si alimenta di scambi tra le mura: "Si scrive a persone libere solo se non hanno la possibilità di fare i colloqui, e oggi capita molto raramente". E proprio da questo spunto, Contigiani affronta un altro tema: quello delle difficoltà tra detenuti e detenuti e tra detenuti e familiari: "In nessuna casa circondariale italiana è permessa la cosiddetta ora d'amore. È una chimera. Così molte famiglie, molti fidanzamenti, falliscono".
Porta come esempio la storia di una coppia di ragazzi danesi, entrambi detenuti nel carcere di Piacenza; lei, 30 anni, deve scontare qualche anno, mentre il marito è condannato all'ergastolo: "Vorrebbero solo stare un po' insieme, non avere un vetro tra di loro. Ma non possono. E pensare che tenersi qualche minuto per mano potrebbe salvare tantissimi rapporti, messi in crisi dalla detenzione".
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