di Riccardo Chiari
Il Manifesto, 9 gennaio 2015
Violenza di Stato. Udienza preliminare aperta e subito rinviata al 3 febbraio, per esaminare nuovi documenti di accusa e difesa nell'ipotesi di morte da "excited delirium syndrome". La famiglia attacca: "C'è voglia di non fare giustizia". E un testimone oculare ricorda: "Lo hanno preso a calci, anche in faccia, e schiacciato con il loro peso sul selciato".
Riccardo Magherini morì la notte tra il 2 e 3 marzo scorsi in Borgo San Frediano, dove si aggirava in stato confusionale, nel corso del suo arresto da parte di quattro carabinieri, ora accusati di omicidio colposo. Uno dei militari è accusato anche di percosse: in alcuni video lo si vede colpire Magherini con alcuni calci mentre il quarantenne fiorentino, già ammanettato, era stato trascinato a terra. Subito prima di essere schiacciato dai militari dell'Arma, con il loro peso, sul selciato gelido. Per lunghi, interminabili minuti. Fino a quando tre volontari della Croce rossa, accorsi sul posto con l'ambulanza e anch'essi indagati, cercarono di soccorrere quell'uomo steso a terra a torso nudo. Già morto per arresto cardiaco, come riscontrato anche dall'autopsia.
Nel giorno dell'udienza preliminare, quasi subito rinviata al 3 febbraio prossimo dal gup Fabio Frangini, è da Andrea Magherini che è arrivata la dichiarazione più rasserenante, nel tragico contesto di un processo per un omicidio che poteva e doveva essere evitato: "L'importante era partire - ha osservato il fratello della vittima - e la cosa più bella di oggi è stato vedere questo seguito, questo amore per Riccardo". In quel momento, davanti all'aula d'udienza, c'erano una cinquantina fra amici e familiari della vittima. Fra loro Ilaria Cucchi: "L'affetto che circonda la famiglia Magherini darà loro la forza di andare avanti, perché lo Stato li lascia soli".
Il rinvio deciso dal Gup è stato motivato dall'acquisizione agli atti del processo di nuovi documenti medico-legali, sia da parte del pm Luigi Bocciolini sia da quello del legale dei carabinieri, l'avvocato Francesco Maresca. Fra i temi in discussione, su imput della difesa, c'è anche l'ipotesi che Magherini sia morto per una "excited delirium syndrome". Una patologia connessa, ha sottolineato Maresca, dall'assunzione di cocaina da parte della vittima, riscontrata dagli esami tossicologici. Anche il pm Bocciolini ha depositato un documento: la memoria di un agente di polizia statunitense che avrebbe eseguito alcuni arresti di persone con la "excited delirium syndrome".
Su questo ipotetico aspetto della tragedia, lo scetticismo della famiglia Magherini ("c'è voglia di non fare giustizia - dichiara il padre Guido - la procura ha lavorato solo sugli aspetti tossicologici") trova conferma nelle parole di un testimone diretto. "Io in Borgo San Frediano c'ero - ricorda Matteo Torsetti - stavo andando da alcuni amici in un locale della strada. All'altezza del cinema Eolo c'erano dei carabinieri che cercavano di fermare una persona. Quando sono arrivato era in piedi, qualche minuto dopo in ginocchio. L'hanno ammanettata, e progressivamente spinta al suolo. Poi ho contato almeno cinque calci, alla testa, al busto, alla pancia, e un paio al volto. Quando ho visto i calci, ho urlato: 'no, i calci no'".
L'avvocato Massimiliano Manzo, che difende i tre volontari della Croce rossa - anche per loro c'era un presidio dei colleghi - anticipa la sua difesa. Semplice: "Quando sono intervenuti i volontari, Magherini era già morto. I carabinieri lo pressavano da dieci minuti. I miei assistiti hanno rispettato il protocollo, cercando di rianimarlo. Ci sottrarremo alla guerra medico-legale fra tossicologi, porteremo un nostro consulente anestesista". Mentre Fabio Anselmo, legale della famiglia Magherini, tira le somme: "Ci dovrebbe essere lo Stato a fare questa battaglia, invece ci sentiamo soli. E siamo certi che se Riccardo non avesse incontrato i quattro carabinieri, oggi non saremmo qui".
Adnkronos, 9 gennaio 2015
Pubblicato l'avviso per la concessione dei contributi in favore delle associazioni e cooperative per azioni finalizzate a sostenere la presa in carico delle persone soggette a provvedimenti penali (detenuti, ex detenuti e soggetti a misure alternative) attraverso l'attuazione di percorsi riabilitativi e di interventi alternativi alla detenzione.
Le associazioni e le cooperative sociali o loro consorzi dovranno essere regolarmente iscritte al registro generale del volontariato o all'albo regionale delle cooperative sociali, istituiti presso la Regione, avere sede operativa in Sardegna e operare nell'ambito dell'accoglienza e dell'inclusione sociale e socio lavorativa di persone sottoposte a misure restrittive e in favore di minori entrati nel circuito penale con prescrizioni a carico.
In particolare, questi i destinatari delle azioni: soggetti adulti che si trovano in esecuzione penale interna con possibilità di ammissione al lavoro all'esterno o alle misure alternative alla detenzione, in esecuzione penale esterna o sottoposti a misura di sicurezza non detentiva e soggetti che hanno concluso l'esperienza di esecuzione penale sia detentiva che non o una misura di sicurezza non detentiva, da non più di cinque anni; minori sottoposti a provvedimenti penali e a misure di sicurezza non detentiva nonché i fuoriusciti dal circuito penale da non più di due anni.
I progetti dovranno essere presentati entro il 13 febbraio 2015, tramite raccomandata con ricevuta di ritorno o agenzia di recapito autorizzata al seguente indirizzo: Assessorato regionale dell'Igiene e sanità e dell'assistenza sociale Direzione generale delle politiche sociali Servizio programmazione ed integrazione sociale Via Roma - 253, 09123 Cagliari. La domanda e la relativa documentazione, firmate digitalmente, potranno pervenire alternativamente tramite posta elettronica certificata all'indirizzo:
di Giovanni Parlato
Il Tirreno, 9 gennaio 2015
Lavori in corso alla sezione femminile e al centro clinico. Il direttore: "Entro il mese saliranno a 250". All'interno del carcere Don Bosco i detenuti sono circa 200. "Ma entro la fine del mese dovremmo tornare ai nostri 250", afferma il direttore Fabio Prestopino. Il numero sotto la soglia dei 200 si spiega col fatto che sono chiusi sia la sezione femminile che il Centro clinico dove sono in corso dei lavori di ristrutturazione.
"Il reparto femminile è chiuso da novembre, mentre il Centro clinico da dicembre. In ambedue erano necessari i lavori di rifacimento dell'impianto idrico. Poi, si sono sommati ulteriori lavori che, comunque, dovrebbero terminare entro gennaio", afferma il direttore Prestopino. Ma l'impianto idrico non era - certamente - l'unico problema da risolvere all'interno della casa circondariale che, tempo fa, avevamo visitato.
Il problema delle crepe nei muri che avevamo visto, è stato risolto? "Le crepe ci sono tuttora - risponde il direttore del Don Bosco - vengono monitorate costantemente". Quelle crepe sono il segno del tempo, segni di una struttura progettata tra il 1928 ed il 1933 e costruita tra il 1934 ed il 1935 e che iniziò a funzionare nel 1944. Allora, ogni porta, ogni accesso veniva aperto e chiuso a chiave da un agente penitenziario. Un agente ad ogni passaggio. E la situazione è così tuttora. "In effetti, manca un'automatizzazione dei cancelli, è assurdo che ancora si aprano manualmente", afferma il direttore.
Il carcere, che si trova a due passi dal centro storico, avrebbe bisogno di diversi interventi sia per alleviare la vita dei detenuti che rendere il lavoro degli agenti penitenziari meno stressante. "Non sappiamo quali saranno le risorse per il 2015" dice un po' sconsolato il direttore sapendo che la situazione economica del ministero non permette grandi spese. A Pisa, come altrove.
Tuttavia, all'interno della casa circondariale ci sono spazi che sono importanti punti di riferimento come il polo universitario che ospita sia studenti-detenuti universitari che studenti della scuola media superiore. Le attività universitarie vengono realizzate in collaborazione con l'Università di Pisa, la quale, se pur in forme ridotte, sostiene anche gli studi dei detenuti universitari presenti negli Istituti di Massa e di Volterra.
"Attualmente - spiega il direttore - sono cinque i detenuti del Don Bosco iscritti all'università di Pisa". Detenuti-studenti che vengono seguiti da personale specifico dell'ateneo così come da tutor e volontari. Vicino al polo universitario, si trova anche la biblioteca gestita sempre da detenuti.
Un altro punto importante di riferimento tornerà ad essere il Centro clinico una volta che sarà terminata la ristrutturazione dell'impianto idrico. All'interno del Centro clinico (il quale è stato un punto di riferimento per altri carceri dell'Italia e tornerà ad esserlo), si trova una sala operatoria dove vengono eseguiti interventi chirurgici non complicati. L'assistenza sanitaria è garantita da medici dell'Asl.
Adnkronos, 9 gennaio 2015
È stato notificato ai 4 poliziotti indagati l'avviso di conclusioni delle indagini avviate a seguito del suicidio della cittadina ucraina Alina Diachuck, avvenuto il 16 aprile del 2012, mentre si trovava nel Commissariato di Villa Opicina, una frazione di Trieste, in attesa di espulsione, dopo essere stata scarcerata 2 giorni prima dal carcere cittadino. La Procura della Repubblica di Trieste contesta agli indagati le modalità e la tempistica del trattenimento degli stranieri da sottoporre a espulsione in quanto irregolari sul territorio nazionale.
La donna si era suicidata impiccandosi con il cordino di una felpa alla maniglia della porta della stanza dove era rinchiusa. Al dirigente dell'Ufficio immigrazione che operava allora, viene contestato il reato di sequestro di persona aggravato.
Gli altri indagati erano addetti alla vigilanza. La Procura contesta inoltre a dirigente e vice dirigente dell'Ufficio immigrazione, e ad altri 4 poliziotti appartenenti allo stesso Ufficio, numerosissimi capi di imputazione relativi al sequestro di persona aggravato, singolarmente o in concorso, per aver trattenuto altri stranieri "privati della libertà personale per un significativo intervallo di tempo".
di Marina Pignatelli
www.fasanolive.com, 9 gennaio 2015
Siglato l'accordo fra il Comune di Fasano e il Tribunale di Brindisi per consentire ai detenuti condannati per reati lievi di svolgere lavori socialmente utili.
Permettere ai detenuti condannati di impegnarsi in lavori socialmente utili per scontare la propria pena: è quanto stabilisce la convenzione sottoscritta dal Comune di Fasano con il ministero della Giustizia. A firmare l'accordo, nella sede del Palazzo di giustizia di Brindisi, sono stati l'assessore Vito Martucci (in rappresentanza dell'Amministrazione comunale) ed il presidente del Tribunale di Brindisi facente funzioni Cosimo Almiento (per conto del dicastero della Giustizia).
"Abbiamo manifestato la disponibilità ad utilizzare quei condannati per piccoli reati, che non creano particolare allarme sociale, in lavori in favore della collettività - afferma l'assessore Martucci; naturalmente, sarà il giudice ad emettere una sentenza di questo tipo, ossia a prevedere in alternativa alla detenzione la possibilità che il condannato lavori per il nostro Comune: due ore lavorative corrisponderanno ad un giorno di pena, quindi quattro ore al giorno di lavoro corrisponderanno a due giorni di pena. La nostra iniziativa ha una grande valenza sociale - sottolinea Martucci - poiché consente a persone che hanno sbagliato di risarcire la società con dei lavori di pubblica utilità che, ovviamente, non sono retribuiti.
Questi condannati inviati a Fasano per la prestazione lavorativa non percepiranno alcuno stipendio per il lavoro che svolgeranno. Ma l'iniziativa mira a ricreare le condizioni di reinserimento sociale e lavorativo per i condannati. La nostra decisione di sottoscrivere questa convenzione - spiega Martucci - è in perfetta linea con i provvedimenti adottati dalle precedenti Amministrazioni comunali di centrodestra.
Fasano, infatti, dal 2002, come uno dei pochi e dei primissimi Comuni italiani, ha promosso e sostenuto la nascita, affidandone lavori di pubblica utilità, di coop. di ex detenuti e sorvegliati speciali di pubblica sicurezza: un'interessantissima esperienza che ha dato a Fasano una visibilità nazionale e che ancora oggi dà i suoi frutti sul reinserimento socio-lavorativo di un nutrito gruppo di cittadini che hanno avuto problemi con la giustizia".
I detenuti condannati per reati lievi potranno quindi svolgere delle mansioni nei settori di custodia e manutenzione del patrimonio ambientale e comunale, del verde pubblico, degli uffici comunali, delle aree cimiteriali; del riordino degli archivi e dell'attività tecnica ed amministrativa; inoltre, potranno essere impiegate come supporto ed assistenza a disabili, a famiglie e ad anziani in situazione di forte difficoltà. Potranno essere impiegati un massimo di dieci detenuti contemporaneamente nei giorni dal lunedì al venerdì, dalle 8.30 alle 12.30.
"Noi siamo già pronti ad impiegare in lavori di pubblica utilità i primi condannati cui il giudice sentenzierà questa possibilità al posto della detenzione - afferma l'assessore Martucci: toccherebbe al segretario generale del Comune ed a tutti i dirigenti comunali decidere le mansioni specifiche e ad impartire istruzioni a quei condannati che saranno inviati al Comune".
www.sanremonews.it, 9 gennaio 2015
Il Partito Democratico di Imperia presenterà in Consiglio Comunale una mozione riguardante il lavoro di pubblica utilità. Nel dettaglio, sono due i punti contenuti nella mozione. Il primo riprende una convenzione stipulata dal Comune di Imperia nel 2002 con il Tribunale, oggi scaduta. Secondo la convenzione, i cittadini autori di reati lievi, come la guida in stato di ebbrezza, possono richiedere di rivolgersi al comune e eseguire dei lavori di pubblica utilità per ottenere una sentenza di estinzione del reato.
"Questa convenzione - commenta a Sanremo News il promotore, il Consigliere Comunale Pd Oliviero Olivieri - era limitativa, perché comprendeva una ventina di posti disponibili e veniva interpretata dagli uffici in modo molto restrittivo. Chi veniva destinato a lavori di pubblica utilità, infatti, veniva mandato a fare lavori di fatica, generalmente veniva destinato ai servizi cimiteriali". Il Partito Democratico ha così chiesto il rinnovo della convenzione con le modifiche sul numero di persone che vorranno fare richiesta.
"Una possibilità - continua Olivieri - per i cittadini di redimersi e per l'ente di utilizzare della forza lavoro per vari interventi di manutenzione. Nella mozione chiediamo anche di poter utilizzare questo personale in altri campi, come per esempio i servizi sociali. Il controllo sarà comunque fatto dal giudice che dovrà stabilire se la persona sia o meno adatta a svolgere lavori di pubblica utilità". Il secondo punto riguarda il lavoro svolto dai detenuti del carcere di Imperia attraverso una convenzione con la casa circondariale. "È entrata in vigore nei mesi scorsi una legge - continua Olivieri - che permette ai detenuti che abbiano condanne per reati minimi, di poter svolgere dei lavori socialmente utili. Noi non abbiamo una convenzione di questo tipo, per cui chiediamo di attivarla".
La mozione verrà presentata, probabilmente, nel corso del Consiglio Comunale del 28 gennaio.
Libertà, 9 gennaio 2015
"Esprimo la mia solidarietà ai Sindacati di Polizia penitenziaria che stanno manifestando non solo per il mancato inserimento in busta paga degli accrediti dei servizi dei mesi precedenti, ma per le problematiche condizioni in cui, giornalmente, prestano il loro servizio".
Così l'on. Sofia Amoddio deputato nazionale del Partito Democratico relativamente al sottodimensionamento dell'organico nel carcere di Siracusa, argomento di una interrogazione parlamentare presentata il mese scorso al Ministro della Giustizia.
"Tra pensionamenti e trasferimenti, il personale degli agenti di polizia penitenziaria in pianta organica si è abbassata di troppe unità. L'entrata in vigore della "sorveglianza dinamica" che dispone l'apertura delle celle dalla mattina al pomeriggio, permettendo ai detenuti di potersi muovere liberamente negli spazi comuni, ha in parte ovviato alle gravi carenze di organico del personale di polizia penitenziaria perché permette un controllo esterno ma, in caso di emergenza, l'intervento degli agenti diventa più complicato.
"La sorveglianza dinamica - dice l'on. Amoddio - come avviene nelle carceri del nord Italia, dovrebbe essere supportata da un rete di telecamere di sorveglianza che a Cavadonna risulta obsoleta ed insufficiente. Nel carcere di Siracusa il rapporto è di due agenti per centoventi detenuti, numeri impietosi che giustificano le lamentele dei sindacati".
Come si ricorderà nelle settimane scorse proprio nel carcere di contrada Cavadonna si era registrato un episodio particolarmente preoccupante. Quasi un centinaio di detenuti, durante il periodo di cosiddetta vigilanza dinamica, sono venuti a contatto, scatenando una maxi rissa sedata a fatica dagli agenti di polizia penitenziaria, che ha provocato il ferimento di alcuni detenuti e l'arrivo degli ispettori nella casa circondariale siracusana, per comprendere fino in fondo che cosa sia realmente accaduto. Il sindacato attribuisce la responsabilità proprio alla vigilanza dinamica, che non è possibile applicare in assenza di supporti tecnologici.
"Quello della polizia penitenziaria - conclude Sofia Amoddio - è un lavoro molto difficile, delicato ed usurante. Per questo continuerò a seguire questa battaglia nelle sedi istituzionali perché sono fermamente convinta che la protesta dei sindacati sia giusta e che lo Stato debba intervenire per garantire un congruo numero di agenti e standard di sicurezza".
di Paola Pioppi
Il Giorno, 9 gennaio 2015
"Il Bassone è un carcere con diversi punti critici". Valerio Federico, Tesoriere nazionale di radicali Italiani, assieme a Roberto Sartori di Fondazione Exodus, sono i rappresentanti della delegazione che ha visitato la casa circondariale comasca, unica in Lombardia scelta nell'ambito del "Satyagraha di Natale con Marco Pannella".
"Il Bassone è un carcere con diversi punti critici". Valerio Federico, Tesoriere nazionale di radicali Italiani, assieme a Roberto Sartori di Fondazione Exodus, sono i rappresentanti della delegazione che ieri mattina ha visitato la casa circondariale comasca, unica in Lombardia scelta nell'ambito del "Satyagraha di Natale con Marco Pannella".
"Il regolamento penitenziario è considerato carta straccia - ha detto Federico, mentre ne strappava pubblicamente una copia - perché non viene rispettato. Lo spazio nelle celle deve esser almeno di tre metri quadrati calpestabili, fino ai sette previsti dal Comitato Europeo per la prevenzione della tortura, ma questo a Como non avviene. Inoltre è previsto un detenuto per ogni cella, e qui sono in due o tre".
Un situazione, quella del sovraffollamento nella casa circondariale comasca, che è notevolmente migliorata nell'ultimo anno, portando a 367 le presenze di detenuti, a fronte di una media di cinque o seicento mantenuta per anni. "Inoltre - ha proseguito Federico - le celle non hanno docce annesse: sono presenti tre docce ogni 50 o 60 detenuti, in spazi separati". Un problema strutturale legato alla progettazione originaria del Bassone, a cui si aggiunge un altro aspetto critico sottolineato dal portavoce di Radicali Italiani: "L'ordinamento dice che deve essere garantito il lavoro, ma qui a Como solo un cinquantina di detenuti su 367 sono impiegati nel lavoro interno, e 3 in occupazioni esterne: non è stata creata una rete di contatti con il territorio, che potesse garantire lo scambio tra società e carcere. La rieducazione senza lavoro e in condizioni di vita come quelle che abbiamo visto, è impossibile". Federico ha aggiunto ulteriori numeri per evidenziare le difficoltà emerse durante la visita al Bassone.
"Sono in servizio 5 educatori e 3 psicologi: richieste di visite, di farmaci o di colloqui rimangono quasi sempre inevase, perché il personale è insufficiente a far fronte alle domande della popolazione penitenziaria". Secondo il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura, "la combinazione tra sovraffollamento, un regime povero di attività e un inadeguato accesso ai servizi igienici, costituisce un insieme nocivo per i detenuti".
Per Roberto Sartori, "la situazione del Bassone non è molto diversa da quella degli altri istituti penitenziari italiani, ma mi ha sorpreso il fatto di non trovare nessun educatore in servizio in un giorno festivo". Inoltre, da Federico, è giunto un moto di indignazione per l'aula bunker realizzata a ridosso del Bassone: "Era costata cinque miliardi - ha detto - ed è stata usata per un solo processo vent'anni fa, mai recuperata".
Infine la delegazione ha sottolineato gli aspetti positivi del carcere visitato ieri mattina: "Abbiamo trovato una grande disponibilità da parte della polizia penitenziaria e della direttrice, una situazione di sovraffollamento meno drammatica rispetto ad alcuni anni fa, e l'adozione della sorveglianza dinamica, grazie alla quale cinque sezioni su sette rimangono aperte per dieci ore al giorno, consentendo ai detenuti di muoversi liberamente all'interno della sezione".
www.ilmamilio.it, 9 gennaio 2015
"Nel penitenziario di Velletri ieri nel pomeriggio, verso le ore 16:30 in una delle sezioni detentive che ospitano 52 detenuti scoppia una rissa fra detenuti italiani e albanesi, ad avere la peggio è stato un detenuto albanese, solo grazie al intervento tempestivo dell'unico agente di Polizia penitenziaria addetto al controllo della sezione che gli ha evitato il peggio riuscendo a limitargli i danni, se le cavata con un taglio profondo lungo 10 cm sul volto ed ematomi in varie parti del corpo. Nei giorni scorsi nel penitenziario di Velletri, grazie sempre alla elevata capacità professionale dell'agente e del medico di turno che ha praticato un lungo massaggio cardiaco è stata salvata la vita a un detenuto Italiano in arresto cardiorespiratorio, subito dopo trasportato in eliambulanza presso l'Ospedale di Latina per le cure del caso.
L' Istituto penitenziario di Velletri ospita dai 600 ai 650 detenuti ed è al primo posto di avere un coefficiente molto alto riguardo alla mancanza di agenti di Polizia penitenziaria con un coefficiente di uno 0,26 rispetto a quello stabilito dello 0,48 ad un livello nazionale.
Nonostante ciò il Dap aveva emanato un provvedimento di rientro in sede dei 15 agenti distaccati da altri Istituti per l'apertura del nuovo Padiglione, grazie alle proteste e alle insistenze del Sippe il provvedimento è stato revocato fino al 10 febbraio 2015 in attesa di trovare una soluzione definitiva. Noi del Sippe chiediamo alle autorità competenti di sanare i 15 Agenti distaccati e di inviare con tempestività almeno 40 unità di Polizia penitenziaria, perché il personale è esausto, anziano e non c'è la fa più.
Ansa, 9 gennaio 2015
"Purtroppo dobbiamo segnalare il primo caso nella regione Lazio di un aggressione avvenuta a danno del personale di Polizia Penitenziaria. Apprendiamo che l'aggressione è avvenuta da un detenuto italiano, di circa 30 anni, il quale ha provocato all'agente scelto di Polizia Penitenziaria, P.M . un trauma su occhio e dente rotto, e vari giorni di prognosi. Attualmente il detenuto è stato messo in reparto di isolamento in attesa di provvedimenti del caso.
Purtroppo dobbiamo evidenziare che essendo in detto istituto, cosi altri nel Lazio, applicata la sorveglianza dinamica ciò provoca tali eventi che non possono essere impediti e tantomeno tollerati del personale. Per la Fns Cisl Lazio, quindi, occorre intervenire, al fine di evitare episodi del genere aumentando sia il numero degli agenti, considerata la grave carenza di personale, ma allo stesso tempo inasprire le pene detentive per detenuti resosi responsabili di fatti del genere. La Fns Cisl Lazio esprime solidarietà nei confronti del personale coinvolto". Lo rende noto, in un comunicato, il segretario regionale Fns Cisl Lazio, Massimo Costantino.
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