di Giovanni Negri
Il Sole 24 Ore, 5 gennaio 2015
Non è mai un bel vedere quando alla crisi si guarda (anche) attraverso il cannocchiale del diritto. Perché il rischio è quello di scambiare la causa (economica) con le cause (civili). E tuttavia, sempre più, l'efficacia di una riforma giuridica deve misurarsi con le conseguenze provocate nel tessuto sociale. Allora la ricerca del Sole 24 Ore del Lunedì mette in evidenza come le difficoltà del Paese si specchino anche negli istituti giuridici.
di Francesco Di Frischia
Corriere della Sera, 5 gennaio 2015
Salta la norma "salva Berlusconi": il decreto fiscale che la conteneva, che stava per essere trasmesso in Parlamento per i necessari pareri, torna in Consiglio dei ministri su richiesta dello stesso premier Renzi. Infuriano, però, le polemiche dentro e fuori la maggioranza.
Il governo quindi fa marcia indietro, ma il 24 dicembre era stato proprio l'esecutivo ad approvare in prima lettura, tra le norme della delega fiscale, anche l'articolo 19 bis: la norma prevede una soglia del 3% dell'evasione rispetto all'imponibile, al di sotto della quale il reato non sarebbe più punibile penalmente. Tale codicillo, secondo alcune interpretazioni, permetterebbe a Berlusconi di vedersi derubricato ad una semplice sanzione amministrativa il tipo di pena, la frode fiscale, alla quale è stato condannato nell'agosto del 2013 in via definitiva. Sempre in base a alcune interpretazioni, decadrebbe la condanna che gli impone i servizi sociali e, soprattutto, quella che gli interdice la candidabiltà.
Luigi Di Maio(M5S) attacca a testa bassa: "O Renzi non sa che cosa firma o fa regalini al Cavaliere: in entrambi i casi è un inizio di anno che non lascia presagire nulla di buono". E Matteo Salvini (Lega Nord) taglia corto: "Il decreto inciucio sul fisco è l'ennesima renzata. Un giorno promette una cosa e il giorno dopo la smonta. Fa così da un anno". Critiche piovono pure da Pippo Civati (minoranza Pd) che usa l'ironia: "Se il premier non ne sapeva nulla, se il ministero dell'Economia dice non averlo visto, e se il ministro della Giustizia aveva espresso perplessità, chi ha portato quel testo nel Consiglio dei ministri? Va a finire che il decreto si è scritto da solo. Che possa riguardare Berlusconi è solo un caso, ovviamente".
E la civatiana Lucrezia Ricchiuti (Pd) rincara la dose: "In pratica la legge del Nazareno dice che più sei ricco e più puoi evadere: l'articolo 19 bis supera la fantasia". Per questi motivi Alfredo D'Attorre (minoranza Pd) chiede: "Renzi e Padoan hanno il dovere di chiarire di chi sia la responsabilità e di prendere l'impegno formale che questa norma non sarà riproposta". Replica su Twitter Andrea Marcucci (Pd): "Nessun favore a Berlusconi, chi fa dietrologia ha preso un'altra cantonata". E il numero due del Pd, Lorenzo Guerini, chiede di mettere un freno alla "continua ossessione del Cavaliere e dei suoi processi".
Sul caso interviene il Sottosegretario all'Economia, Enrico Zanetti: "Forse bastata e avanzava garantire sin d'ora che nella norma contestata del 3% sarebbe stata inserita la precisazione che si applicava solo a reati diversi dalle frodi". Poi il sottosegretario rivela che comunque su quel provvedimento lui non era d'accordo e "con i colleghi di Scelta Civica - ricorda - avevamo proposto questa modifica per ragionamenti di principio, prima che scoppiasse la solita patetica querelle su Berlusconi". A difesa del Cavaliere si muove Daniela Santanché (FI): "Pur di sabotare il patto del Nazareno, gli esclusi dalle decisioni importanti sono disponibili ad inventarsi qualsiasi cosa". Laconico Giovanni Toti (Fi): "Se si ritira un provvedimento per il sospetto che aiuti Berlusconi anche se aiuta i cittadini, allora l'Italia è un Paese destinato a non cambiare mai".
di Laura Coci
Il Cittadino, 5 gennaio 2015
"La voce di un filosofo è troppo debole contro i tumulti e le grida di tanti che son guidati dalla cieca consuetudine, ma i pochi saggi che sono sparsi sulla faccia della terra mi faranno eco nell'intimo de loro cuori". Così, duecentocinquanta anni or sono, Cesare Beccaria. Scrivere di giustizia e carcere è ora - se possibile - ancora più impopolare di quanto lo fosse nel 1764, anno nel quale Dei delitti e delle pene fu dato alle stampe a Livorno, anonimo, per sfuggire ai rigori della censura, già ostile al pensiero dell'Illuminismo, allo spirito di libertà e uguaglianza che animava filosofi e riformatori. Neppure due anni dopo la pubblicazione, l'opera fu posta all'Indice dei libri proibiti; ma nel 1786 il granduca di Toscana Pietro Leopoldo, monarca attento alla voce della ragione, abolì la pena di morte nel proprio stato, ove il testo di Beccaria aveva visto la luce per la prima volta.
Il 2014 sarebbe stato dunque un buon anno per onorare nei fatti concreti, e non soltanto nelle occasioni accademiche, Cesare Beccaria e il suo trattato. Un trattato che a duecentocinquanta anni di distanza non ha perso in attualità, a disonore del tempo presente. Un tempo nel quale vediamo riproporsi mali antichi: "la pena di morte non è scomparsa, la tortura ha addirittura conosciuto un'orribile rinascita, il disordine legislativo ci avvolge, i giudizi sono eterni - scrive Stefano Rodotà . L'arbitrio, di nuovo l'arbitrio di poteri prepotenti e incontrollati, sembra avere il sopravvento". Di qui, l'appello al diritto di Beccaria e dei suoi compagni milanesi dell'Accademia dei Pugni, che lo coadiuvarono nella stesura dell'opera: tra questi Pietro Verri, autore delle modernissime Osservazioni sulla tortura, e Alessandro Verri, che nel 1763 era "protettore de carcerati" di Milano, quasi un garante dei diritti dei detenuti, e che grazie al suo ufficio conosceva assai bene le criticità della giustizia penale e le condizioni inumane dei reclusi.
In effetti il 2014 era iniziato sotto buoni auspici: in pochi mesi erano stati approvati due decreti, poi convertiti in legge, cosiddetti "svuota carceri" (Legge 9.08.2013 n. 94 e Legge 21.02.2014 n. 10) e un disegno di legge, pure convertito in norma (Legge 28.04.2014 n. 67), che prevede tra l'altro l'ampio ricorso alla detenzione domiciliare e la depenalizzazione dei reati di lieve entità. Poi - dopo la promozione "con debito" dell'Italia da parte del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, ovvero la concessione al nostro Paese della proroga di un anno per portare a compimento il percorso di riduzione del sovraffollamento penitenziario - la "questione carceraria" è nuovamente ripiombata nell'indifferenza e nel silenzio. Questione impopolare, ora come duecentocinquanta anni fa.
Per questo, ma non solo, giova leggere e rileggere Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria. Una lettura illuminante. Due le parole chiave che immediatamente colpiscono nel compulsare l'opera: "uguaglianza" (sociale) e "felicità" (pubblica). Senza la prima, non si dà la seconda. Il (buon) "diritto", al quale il filosofo e riformatore milanese costantemente fa appello, promuove uguaglianza, e se non rimuove le cause della diseguaglianza, della "disperata necessità" che troppo spesso è all'origine dei delitti, tuttavia garantisce pene che abbiano per fine non la vendetta nei confronti del reo, ma la convivenza sociale, la felicità del più alto numero di persone possibile, senza danno irreparabile per i singoli.
Se i cittadini - che a questo fine cedono allo Stato parte della propria libertà - hanno diritto a essere difesi dalle aggressioni, hanno altresì diritto a essere considerati innocenti fino a che il delitto loro imputato non sia dimostrato con assoluta certezza; hanno diritto a una carcerazione preventiva che, "essendo essenzialmente penosa, deve durare il minor tempo possibile e dev'essere meno dura che si possa"; hanno diritto a un processo equilibrato e a un giudizio sereno; se riconosciuti colpevoli, hanno diritto a una pena che non risulti lesiva della dignità, che sia "pronta" ma anche "equa" e "proporzionata" al reato commesso, perché "ogni pena che non derivi dall'assoluta necessità è tirannica". Hanno diritto, soprattutto, all'uguaglianza, a non essere vittime dell'arbitrio del potere, che è nemico della ragione e degli esseri umani. Letti d'un fiato i quarantasette capitoli del trattato, brevi e incisivi, non possiamo non riconoscere in Beccaria e nei suoi compagni milanesi la voce della ragione, la voce che vorremmo ascoltata dai "monarchi" del tempo presente.
Ma la "questione carceraria" è questione impopolare, ora come duecentocinquanta anni fa. Ancora più impopolare a seguito della conversione in legge (Legge 11.08.2014 n. 117) del decreto "recante disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori a favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali [...]": rimedi risarcitori quantificati in otto euro per ogni giorno di pena "inumana e degradante". Un'infamia, perché umilia a materia di contrattazione la dignità di una persona, persona nonostante la reclusione: "non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l'uomo cessi di esser persona e diventi cosa" - ammonisce Beccaria, e ancora - "il fine delle pene non è di tormentare e affliggere un essere sensibile". Una beffa, perché al 27 novembre scorso su 18.104 istanze di rimborso presentate da persone detenute vittime del sovraffollamento ne erano state esaminate 7.351 e di queste giudicate ammissibili soltanto 87! Ben 6.395 sono state infatti le istanze rigettate per mancanza di documentazione, in quanto le procedure per ottenere il risarcimento non sono state definite in modo univoco, lasciando spazio alla discrezionalità e all'arbitrio esecrati in Dei delitti e delle pene (fonte: Ministero della Giustizia).
L'inchiesta "Mafia capitale" dimostra del resto come la cura degli ultimi (detenuti, disabili, rifugiati) sia divenuta un affare lucroso per la criminalità organizzata, che nel tempo presente ha assunto una forte dimensione pubblica, sia per dominanza sia per debolezza del pubblico in sé. È infatti il pubblico che offre maggiore possibilità di carriera, e questa è troppo spesso correlata alla prospettiva di arricchimento personale; e d'altra parte è ancora il pubblico che, demandandola a terzi, abdica alla propria missione: "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale" (così la Costituzione repubblicana) per ristabilire "uguaglianza" e "felicità" (così Cesare Beccaria). È l'amministrazione pubblica che per mancanza di capacità o di risorse delega la gestione di pezzi di stato sociale ad altri soggetti (il cosiddetto "privato sociale"): un meccanismo che comporta costi maggiori e minori controlli, ma che garantisce consenso e supporto elettorale.
La scrittura di Dei delitti e delle pene testimonia l'esigenza di profondo impegno morale e di attenzione ai problemi più urgenti della vita civile, ora come duecentocinquanta anni fa. Ma non solo: "se sostenendo i diritti degli uomini e dell'invincibile verità contribuissi a strappare dagli spasimi e dalle angosce della morte qualche vittima sfortunata della tirannia o dell'ignoranza, ugualmente fatale, le benedizioni e le lagrime anche d'un solo innocente nei trasporti della gioia mi consolerebbero dal disprezzo degli uomini". Dunque, non solo la ricchezza non deve essere uno strumento per acquisire potere, ma anche il lavoro intellettuale non può esser un mezzo per conquistare consenso e benevolenza. Il che, nel tempo presente, è di grande conforto a chi scrive di giustizia e carcere.
Giornale di Sicilia, 5 gennaio 2015
Riscaldamento spento e acqua fredda, la denuncia ai radicali in visita nel carcere del capoluogo. Poco cibo e freddo all'Ucciardone, un centro medico che andrebbe potenziato al Pagliarelli. È questa la situazione nei due penitenziari palermitani, dove i livelli di sovraffollamento sarebbero tutto sommato ridotti. Il quadro è emerso il 31 dicembre, durante la visita compiuta dal Partito radicale all'interno delle due strutture. Donatella Corleo, storica attivista del movimento di Marco Pannella, ha ribadito nuovamente che l'Ucciardone, per i suoi problemi strutturali, andrebbe chiuso come carcere e preservato invece come monumento.
Nella vecchia struttura borbonica, infatti, anche se sono stati apportati dei piccoli miglioramenti - come la prenotazione delle visite ai detenuti per mail o la possibilità per chi sta scontando la pena di stare fuori dalla cella tra le 8 e le 17 - resta priva di riscaldamento e di acqua calda. Alcuni detenuti avrebbero detto chiaramente durante la visita dei Radicali di "fare la fame". La direttrice della struttura penitenziaria (che da mercoledì non è più casa circondariale ma semplice istituto di reclusione e può dunque ospitare solo condannati in via definitiva a pene superiori ai cinque anni), Rita Barbera, ha però chiarito che la quantità di cibo è quella stabilita dal ministero.
A pesare, secondo Barbera, sarebbe invece la crisi che colpisce i famigliari dei detenuti, che non riescono a portar loro alimenti in più dall'esterno. I riscaldamenti, poi, potrebbero essere attivati in una sezione, ma per evitare disparità tra i reclusi, si preferisce lasciarli spenti. Molto più tranquilla la situazione al Pagliarelli, dove, secondo i Radicali, andrebbe potenziato il centro medico, visto che deve servire per più di mille detenuti.
di Elia Sanna
La Nuova Sardegna, 5 gennaio 2015
All'ospedale verranno allestite stanze con misure di sicurezza speciali per chi sconta la pena nel carcere di Massama. L'ospedale San Martino avrà uno spazio speciale per i detenuti. Oltre al potenziamento dei servizi all'interno del carcere di Massama, la Asl ha previsto infatti anche la realizzazione di alcune stanze dotate di speciali misure di sicurezza nell'ospedale oristanese. Sono queste alcune delle novità annunciate dal nuovo Commissario straordinario della Asl 5 Maria Giovanna Porcu.
Il manager visiterà la struttura carceraria nei prossimi giorni, per rendersi conto della situazione del presidio sanitario allestito all'interno della Casa circondariale. È evidente che la presenza di un alto numero di detenuti, la maggior parte in regime di alta sorveglianza, ha necessità di una struttura e di servizi sanitari adeguati alle nuove esigenze. Dopo una partenza decisamente lenta la struttura sanitaria di Massama era stata potenziata anche di recente con l'attivazione di alcuni servizi specialistici.
Nel corso di una delle recenti proteste promosse dai carcerati erano state messe in evidenza proprio alcune carenze. I detenuti stessi, in più occasioni, venivano trasferiti al San Martino anche per patologie semplici, il che ha comportato enormi sforzi organizzativi da parte della polizia penitenziaria, già penalizzata da gravi carenze di organico. Problemi che oggi si sono accentuati in virtù della presenza di pericolosi personaggi della criminalità organizzata campana e calabrese.
"La Asl 5, in collaborazione con l'amministrazione carceraria, si era già attivata per garantire e implementare la sanità penitenziaria - ha spiegato il commissario Maria Giovanna Porcu. Per quanto riguarda la specialistica ambulatoriale all'interno del carcere sono attivi da tempo i servizi di odontoiatria, urologia, endocrinologia, diabetologia, oculistica, cardiologia e ecografia. A questi, attivati in origine per cinque ore settimanali, ne sono state aggiunte da dicembre altre dieci per far fronte alle numerose richieste". Il potenziamento delle prestazioni sanitarie si era reso necessario dopo il trasferimento a Massama di oltre cento nuovi detenuti, provenienti dalle altre strutture carcerarie dell'isola.
"All'occorrenza, quando se ne presenta cioè la necessità, vengono comunque garantite anche altre prestazioni specialistiche - ha sottolineato il commissario della Asl. Nei casi di emergenza e di urgenza in cui si renda necessario il trasferimento in ospedale, è allo studio la possibilità di destinare delle stanze riservate ai detenuti dotate di idonee misure di sicurezza all'interno del San Martino". I lavori per allestire le stanze speciali che dovranno ospitare detenuti sottoposti all'alta sorveglianza, dovrebbero iniziare nei prossimi mesi.
www.ilquaderno.it, 5 gennaio 2015
Il 7 gennaio, come di consuetudine, i volontari Unicef incontrano i figli di detenuti presso la Casa Circondariale di Benevento. La collaborazione fra Casa Circondariale e Unicef provinciale è iniziata parecchi anni fa in conseguenza dell'accordo fra l'Unicef Nazionale e il Dipartimento Ministeriali.
I Volontari Unicef dedicano ai figli dei detenuti una giornata di giochi, di intrattenimento e di dialogo sempre riguardanti i diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza ed è sempre un'esperienza molto importante confrontarsi con una realtà fra le più difficili del nostro tempo. Da molti anni i detenuti partecipano attivamente a molti progetti Unicef, soprattutto per la realizzazione di bellissime Pigotte a protezione del progetto vaccinazioni. I Volontari Unicef sanno che la realtà carceraria è molto dura anche se impostata su finalità rieducative di recupero e reinserimento, ma hanno anche sperimentato la sensibilità dei detenuti e il loro attaccamento ai figli. Sono queste le leve migliori per riconquistare dignità e, nel rispetto delle leggi, dare ai proprio figli "un mondo migliore", così come spera il Natale Azzurro di quest'anno.
di Giuseppe Del Signore
La Provincia Pavese, 5 gennaio 2015
Un orto tra le mura del carcere dei Piccolini per consentire alle detenute di coltivare la terra e rivendere i prodotti in città, a chilometro zero. È il progetto che la Società San Vincenzo de Paoli di Vigevano sta preparando per favorire il reinserimento dei carcerati.
"La nostra opera - spiega il presidente. Maria Luisa Baldi - non è a livello di emergenza, ma di accompagnamento. Sì, diamo le borse ai poveri, ma la nostra finalità è il reinserimento sociale, non l'assistenza a vita. Per questo collaboriamo con la casa circondariale e dopo la ludoteca - inaugurata nel corso del 2014 con il finanziamento di Fondazione Piacenza e Vigevano - abbiamo pensato all'allestimento di un orto-vivaio in cui coltivare prodotti da vendere in Vigevano. Lo scopo è far sentire il carcere come un quartiere della città".
Favorendo in questo modo da un lato una percezione positiva della struttura e dall'altro la "rieducazione del condannato" a cui devono tendere tutte le pene in accordo con l'articolo 27 della Costituzione. Al momento il progetto è in fase di lancio, grazie al contributo dell'istituto agrario Pollini di Mortara, che ha accettato di fornire le competenze specifiche imprescindibili per realizzare l'orto.
Per passare alla fase operativa la San Vincenzo dovrà reperire le risorse necessarie, almeno 50mila euro. "Per prima cosa - dichiara Baldi - abbiamo presentato il progetto alla sede nazionale per capire se può rientrare in uno dei bandi disponibili, in seconda battuta stiamo tentando la strada del cofinanziamento insieme a delle fondazioni".
In attesa di verificare la disponibilità di queste ultime, prosegue l'attività ordinaria della Società, che è la più antica di Vigevano e una delle più antiche del mondo, essendo stata fondata a Parigi nel 1833 e presente in città dal 1867. Le 5 conferenze, sedi operative che fanno capo al consiglio centrale di Vigevano, complessivamente assistono oltre 300 famiglie di italiani e stranieri. "Abbiamo - afferma il presidente - più stranieri, il rapporto è circa 60-40%, ma il numero delle famiglie si avvicina perché una famiglia straniera di solito ha più figli. Sono tanti i pensionati così come le persone sole e in questi casi il numero degli italiani aumenta. La situazione in città non è molto bella e non so come possa evolversi; di certo è in peggioramento. C'è una difficoltà di inserimento, perché mancano le possibilità di lavoro".
di Nadia Clementi
www.ladigetto.it, 5 gennaio 2015
"Qui si resta passando" è il titolo dello spettacolo per cui sono andati in scena i detenuti del carcere di Trento. Il nostro giornale aveva visitato il carcere di Via Pilati e ne aveva più volte sollecitato la chiusura. Era invivibile. Così, quando quello vecchio è stato chiuso e siamo andati alla presentazione e all'inaugurazione del nuovo carcere di Spini di Gardolo, ci siamo sentiti sollevati. Vedi i servizi della presentazione e dell'inaugurazione.
Ora, carcerati e guardie carcerarie almeno potevano respirare. Naturalmente è rimasto un "carcere vero" a tutti gli effetti, per cui quando abbiamo sentito che sarebbe andato in scena uno spettacolo nel carcere, l'abbiamo presentato con un senso di sollievo. Per noi è andata Nadia Clementi ad assistere allo spettacolo e scrivere il pezzo che segue.
Uno spettacolo teatrale non è molto, ma se si pensa al principio che "dilettando educa", possiamo dire che un piccolo passo avanti per il recupero della gente che ci vive e ci soffre è stato fatto. Sabato 13 dicembre 2014 dodici detenuti del nuovo Carcere di Trento, assieme ad un gruppo esterno di giovani attori italiani e stranieri, si sono esibiti con singolare entusiasmo sul palcoscenico della sala presente nella struttura penitenziaria.
In scena lo spettacolo "Qui si resta passando", il lavoro conclusivo di un laboratorio educativo che i detenuti hanno seguito sotto la direzione artistica del regista Emilio Frattini e con la collaborazione di Francesca Sorrentino e Chiara Ore Visca.
Lo spettacolo è stato co-prodotto dal Centro Servizi Culturali S. Chiara, dalle Associazioni "Con Arte e con pArte" di Trento e "Sagapò Teatro" di Bolzano, con il sostegno del Servizio Attività Culturali della Provincia Autonoma di Trento, il patrocinio del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati e il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto.
In sala è tutto esaurito, c'è fermento, attesa, inquietudine e un rincorrersi di sguardi rapidi e intensi tra gli agenti della polizia penitenziaria e il pubblico presente in sala, composto da un centinaio di detenuti e rappresentanti istituzionali della Provincia di Trento.
L'atmosfera è quella di una recita per dilettanti, le emozioni quelle che ogni attore in erba prova durante la prima esibizione sul palco; questa volta però non si è trattato di un teatro normale, gli attori non sono appassionati di filodrammatica e il pubblico non è composto da parenti e amici.
Un teatro che ha visto applausi, euforia, urla e risate, ma dove si è anche respirata la tensione dovuta al dispiegamento delle forze dell'ordine in sala che hanno vigilato sulle due ore di... "evasione" e di insolito divertimento.
Il sipario si è alzato alle 15.30, sullo sfondo di una scenografia essenziale: una piazza irreale fatta di semplici quinte nere dove bighellona un barbone, interpretato con maestria dal regista Emilio Frattini.
Seduto sulla panchina il clochard è spettatore di brevi scene di vita quotidiana, di gente che attraversando la piazza si racconta, ignara di essere osservata. Così il barbone rappresenta la figura incognita che diventa il filo conduttore tra disperazione e humor e funge anche da specchio interiore dei singoli personaggi.
Ma sono i detenuti dallo spiccato accento straniero i veri protagonisti del palcoscenico: si alternano celermente in personaggi comuni interpretando con disinvoltura la parte di fidanzato, criminale, ubriaco, agente di polizia, sportivo, ambulante, accompagnati e sostenuti dalla bravura di giovani attori professionisti.
Assieme rivivono sul palco quella vita che li aspetta al di là delle sbarre, fatta di ricordi, sogni e aspettative di un domani che ricorderanno un giorno come "Qui si resta passando".
Il pubblico applaude, divertito e sorpreso, apprezzando il lavoro svolto dal regista Frattini, che saluta e ringrazia tutti i presenti attraverso la sua mimica facciale carismatica e sorniona che ha saputo conquistare la simpatia dei detenuti, donando loro risate e momenti di riflessione sui contenuti della vita.
L'obiettivo del progetto era quello di colmare la distanza tra "il dentro e il fuori", analizzare il carcere attraverso la creatività e l'arte della recitazione cercando di favorire la crescita dei partecipanti rispetto la consapevolezza di sé, l'armonia con gli altri, le competenze umane, civili e sociali, nonché le capacità relazionali e di convivenza. La dimensione educativa, rieducativa e terapeutica del teatro è da anni oggetto di riflessioni ed esperienze: da un lato l'espressione artistica, dall'altro l'elaborazione emozionale a livello psicologico. Perché l'essere "attori" del proprio disagio o delle proprie problematiche, nel senso di agirli e di rappresentarli, consente di operare a fine terapeutico per favorire la diluizione del singolo conflitto interiore.
Come è nato il Teatro in carcere
L'idea è nata con l'entrata in vigore della Legge 663/1986, che costituisce la principale modifica alla legge di riforma dell'ordinamento penitenziario del 1975 (n. 354). Ispirandosi a esigenze di risocializzazione e rieducazione, la legge Gozzini prevede misure alternative alla pena che permettono ai detenuti di uscire dal carcere e introduce attività affidate a operatori provenienti dalla società civile. È così che il teatro è entrato in carcere grazie ai primi esperimenti di attuazione della legge e all'iniziativa di compagnie e di registi professionisti che hanno inaugurato una serie di percorsi laboratoriali destinati, nel giro di pochi anni, a disegnare una mappa di esperienze articolata sul piano nazionale.
È chiaro fin da subito che nel Teatro Carcere convivono due prospettive differenti: da una parte riconduce l'attività teatrale all'offerta "trattamentale", ossia al programma di "interventi diretti a sostenere interessi umani, culturali e professionali" del detenuto, favorendone una "costruttiva partecipazione sociale": dall'altra la ricerca teatrale scopre nella scena reclusa uno straordinario potenziale di linguaggi, storie, attitudini e risorse personali.
di Agnese Siliato
La Sicilia, 5 gennaio 2015
Nella Casa di reclusione di Augusta l'anno si è concluso con il secondo concerto natalizio del coro dei detenuti, la Brucoli swing band, diretta da Maria Grazia Morello.
Lo spettacolo è stato l'ultimo degli appuntamenti del 2014 che hanno visto l'apertura del penitenziario al pubblico esterno, per eventi, spettacoli teatrali, musicali, dibattiti con studenti anche giovanissimi che hanno potuto visitare il cuore del carcere, ossia le sezioni detentive. Al concerto finale hanno assistito quasi duecento persone, che sono state accompagnate alla sala teatro attraverso il lungo corridoio tappezzato di murales (realizzati da A. B. ergastolano) che hanno preso il posto delle pareti grigie e hanno potuto ammirare il presepe portato nel carcere dal soprintendente ai beni culturali, Rizzuto. Il concerto è iniziato con un omaggio a Mango, recentemente scomparso.
Sono stati poi eseguiti brani di Gianni Morandi, Gianna Nannini, Paolo Conte, Cocciante e un Oh Happy day natalizio finale cantato da tutto il pubblico. Durante lo spettacolo sono stati consegnati gli attestati del corso di fotografia tenuto dalla associazione Augusta free lance, da parte del presidente Romolo Maddaleni, del vice presidente Felice Cucinotta e degli altri soci. Il direttore della casa di reclusione, Antonio Gelardi, ha ringraziato l'Inner Wheel, partner nelle più recenti iniziative e ha ricordato gli eventi del 2014 che hanno visto il momento clou fuori dal carcere, con un concerto al castello svevo di Augusta che sono stati anche l'occasione per raccolte di fondi a scopo benefico, quasi seimila euro in totale, e le quasi duecento persone presenti in sala, che si sono aggiunte alle duemila che hanno visitato il carcere nell'anno appena trascorso per assistere a spettacoli e partecipare a dibattiti, cene.
di Paolo Coccorese
La Stampa, 5 gennaio 2015
L'Associazione "Libera" critica la moda dei locali con insegne "mafiose". Il bar di via Lanzo 1 ha assunto il nome dell'articolo del codice di procedura penale che disciplina in "carcere duro".
Le insegne evocano la Mafia e quel mondo scuro e terribile delle organizzazioni criminali. Riferimenti che, a seconda dei negozi, possono essere subdoli, ispirati alle rappresentazioni del cinema e quasi inaspettati anche per i proprietari. Poi, c'è quella del nuovo bar-panetteria aperto in via Lanzo, zona Madonna di Campagna.
Per l'eleganza del servizio non sfigurerebbe nelle vie dello struscio, ma sulle vetrine si legge "41 bis", scritta che lascia ben poco all'immaginazione. Nome che non ricalca il numero civico, ma l'articolo più severo del regolamento penitenziario. Il "carcere duro", il regime di reclusione dei boss più spietati e pericolosi come Riina e Provenzano.
La scorsa estate, aveva fatto scalpore la rosticceria "Don Panino" aperta a Vienna che, scimmiottando i film dei gangster italo-americani, offriva un menù di sandwich con wurstel e pollo grigliato chiamati "Falcone" o "Impastato". La stessa insegna, da cinque anni si trova in via Maria Vittoria dove lavora una delle sempre più numerose attività commerciali che sfoggiano un nome che evoca l'universo della Piovra, di Cosa Nostra e di tutte le altre organizzazioni mafiose.
"Dopo quelle polemiche, decidemmo di affiggere un comunicato alla porta del negozio per fare chiarezza e prendere le distanze - dicono dal risto-pub che unisce la qualità dei prodotti alla passione per lo sport. Con loro non abbiamo alcun contatto e siamo contro chi vuole infangare la memoria dei nostri eroi. Il nome è stato scelto perché suonava bene e, se un cliente si fosse lamentato, lo avremmo già cambiato". All'intero di "Don Panino", sfogliando il menù e controllando le pareti, non si scovano riferimenti alla Mafia.
Come in un'altra paninoteca di corso Regina Margherita, che ha un'insegna che richiama graficamente il logo del film di Francis Ford Coppola, "Il padrino": con un ritocco grafico è diventato "Il Panino". "Ho scelto questa insegna perché mi sembrava simpatica e perché mi piace il film, ma il negozio non ha nulla a che fare con i boss", dice il proprietario, Dario Conti. All'interno, sul menù, l'unica particolarità è la specialità della casa, lo sfilatino alla cotoletta lungo venti centimetri. "Nessun cliente si è mai lamentato - dicono -, Anzi molti ragazzi si fermano a fotografarlo e ci fanno i complimenti".
L'insegna di corso Regina, non è passata inosservata a Libera, l'associazione di Don Ciotti che da anni combatte il diffondersi della cultura delle organizzazioni mafiose. "Non è una bell'idea - dice il referente regionale, Maria Josè Fava. Tutto quello che parla della Mafia in termini positivi e ne crea un mito, deve essere criticato". Dai telefilm come "Romanzo Criminale" o "Gomorra", alle magliette che andavano di moda qualche anno fa tra i ragazzi, il rischio, secondo quelli di Libera, è sdoganare una rappresentazione lontana dalla realtà di Cosa Nostra.
A maggior ragione, se il negozio sotto casa, ha scelto di scrivere sulle vetrine "41 bis". "Il nostro è un brand nato nel 2009 che riproponiamo in tutti i negozi che decidiamo di lanciare - dice il proprietario del bar di via Lanzo 1, Luca Dino -. In quel periodo, i telegiornali parlavano molto del 41 bis, così ho pensato che potesse diventare il nostro marchio. Non abbiamo nulla a che vedere con la Mafia ma, essendo aperti ogni giorno fino a sera, il bar può diventare un carcere per i miei dipendenti. In più, è un nome che attira la curiosità".
In passato, i bar-panetterie "41 bis" sono state aperti anche in altri quartieri come in via dei Mercanti, in via di Nanni, in via Livio Bianco e anche a Ivrea, dove il nome attirò le critiche del Comune. "Chi si lamenta dell'insegna è gente stupida", si difende il signor Dino. Di ben altro parere, il presidente di Libera, Fava: "Non ci sono leggi che vietano ai negozianti di scegliere questi nomi, devono essere gli stessi clienti a ribellarsi e non entrare in un bar che si chiama 41 bis".
- Firenze: gruppo detenuti Sollicciano in basilica di San Lorenzo per Messa con card. Betori
- Libri: "Recluse. Lo sguardo della differenza femminile sul carcere", di S. Ronconi e G. Zuffa
- Libri: "L'anima e il muro", di Sante Notarnicola
- Libri: "La guerra è finita. L'Italia e l'uscita dal terrorismo 1980-1987", di Monica Galfré
- Israele: premier Netanyahu; leader Anp dovranno rispondere a Corte Penale Internazionale