di Alberto Cisterna*
Guida al Diritto - Sole 24 Ore, 23 ottobre 2019
Per Alberto Cisterna la sentenza Viola contro Italia non punta a scardinare il sistema delle preclusioni sui benefici penitenziari e a favorire la scarcerazione dei boss, impone solo una personalizzazione del trattamento penitenziario che sia rispondente alle effettive ed evidenti esigenze di prevenzione che giustificano le deroghe al principio di rieducazione e proporzionalità della pena nel tempo.
di Fabio Fiorentin*
Guida al Diritto - Sole 24 Ore, 23 ottobre 2019
Strasburgo ha confermato l'accertamento della violazione da parte dell'Italia dell'articolo 3 della Cedu sotto il profilo della pena dell'ergastolo "ostativo" italiana: l'unica possibilità prevista per gli ergastolani di accedere ai benefici penitenziari, rappresentata dalla collaborazione con la giustizia, non costituisce un correttivo sufficiente.
di Eleonora Martini
Il Manifesto, 23 ottobre 2019
Atteso per oggi il pronunciamento sull'incostituzionalità dell'articolo 4 bis dell'ordinamento penitenziario. "Più di 300 degli ergastolani ostativi che collaborano con la giustizia sono ancora detenuti, a riprova che non ci sono benefici penitenziari automatici per chi decide di parlare e di aiutare gli investigatori".
di Franco Corleone
Il Manifesto, 23 ottobre 2019
Ieri è stata discussa a Firenze una ricerca sugli effetti della legislazione antidroga sul carcere, condotta in cinque Istituti della Toscana. Dieci anni fa, la Fondazione Michelucci e l'associazione Forum Droghe condussero con il patrocinio della Regione Toscana una ricerca nelle carceri toscane per conoscere più a fondo il peso della legislazione antidroga, e in particolare il peso dei reati minori di droga (l'art. 73 sulla detenzione e il piccolo spaccio), pubblicata con il titolo "Lotta alla droga. I danno collaterali".
di Cristina Obber
letteradonna.it, 23 ottobre 2019
Dovrebbe essere un luogo di rieducazione ma nella realtà è un deposito, che troppo spesso non riabilita. Lo dimostra il caso di Mohamed Safi, che, condannato a 12 anni per un femminicidio, ha tentato di commetterne un altro. Mohamed Safi, 36 anni, a Torino ha cercato di uccidere la fidanzata sgozzandola con il vetro di una bottiglia rotta. L'ha salvata la sciarpa, che ha attutito il taglio.
Poco ci importa di come si sono conosciuti e come è scoccata la scintilla, come riporta un giornalismo che si potrebbe definire "noioso" se non stessimo parlando di femminicidio. Ci importa sapere che Safi - che dopo l'aggressione ha tentato il suicidio - stava scontando presso il carcere Le Molinette di Torino una pena di 12 anni per aver ucciso nel 2008 a Bergamo Alessandra Mainolfi, 21 anni, la fidanzata dell'epoca, e che nonostante ciò aveva il permesso di lavorare all'esterno del carcere come cameriere, occupazione che aveva da due anni.
Quando lo ha scoperto la sua attuale compagna voleva lasciarlo e per questo lui ha cercato di ucciderla, di compiere un altro femminicidio. Perché questo fanno gli uomini violenti, picchiano, sottomettono, uccidono. Un caso, quello di Torino, che ci ricorda Angelo Izzo, che uccise due donne mentre godeva del regime di semilibertà.
E non è il carcere a cambiarli. Soprattutto se ci torni solo a dormire, come una pensione a mezza stella, mentre ti costruisci una vita esterna che ti permette di allacciare nuove relazioni omettendo di raccontare chi sei.
Un carcere che secondo la Costituzione dovrebbe essere un luogo di rieducazione ma che nella realtà è un deposito, un "freezer" come lo definisce il criminologo Paolo Giulini del Cipm di Milano che sperimenta da dieci anni trattamenti riparativi in carcere con gli uomini maltrattanti (qui l'intervista che gli avevamo fatto nel 2017).
Un freezer che ci restituisce gli uomini violenti così come sono entrati, se non di più, incattiviti da donne che li hanno denunciati o che, secondo la loro visione vittimistica, sono la causa della loro detenzione. La recidiva, ovvero la reiterazione del medesimo reato, è il grande problema che riguarda i femminicidi, i pedofili, gli stupratori, gli autori di violenza domestica.
"Mai un atteggiamento aggressivo", leggiamo di Mohamed Safi. Lo sappiamo. Gli uomini che agiscono violenza contro le donne spesso sono affabili nelle loro relazioni amicali e professionali, e per questo ancor meno riconoscibili. Quando nel 2012, con il Cipm, ho potuto entrare nel carcere di Bollate (MI) per incontrarne alcuni, mi aveva stupito proprio l'aspetto ordinario, l'atteggiamento mite di alcuni di loro.
I femminicidi sono sempre insospettabili, 'brave persone', 'stimati professionisti'; gli stupratori dei 'bravi ragazzi'. In carcere si distinguono per buona condotta, in attesa di un permesso premio.
Non abbiamo bisogno di un Codice rosso che stabilisce sei mesi in più di condanna se poi questa condanna, già ridotta a tempi ben più brevi, non serve al criminale per comprendere la gravità di quello che ha fatto, non protegge le sue potenziali vittime future, che in questo caso Mohamed Safi ha potuto incontrare ancor prima di aver scontato la pena.
Come non pensare ad Angelo Izzo, che mentre scontava un ergastolo per un crimine atroce come il massacro del Circeo (nel 1975 con due amici stuprò e torturò per due giorni Rosaria Lopez e Donatella Colasanti; la prima morì mentre la seconda si salvò fingendosi morta) si vide concedere il regime di semilibertà.
Dopo soli sei mesi uccise la moglie e la figlia di un compagno di carcere, la ragazza aveva solo 14 anni e fu trovata nuda, con le mani legate dietro la schiena, lo scotch sulla bocca. Entrambe le donne morirono per asfissia dentro due sacchi di plastica. Un altro crimine disumano per un detenuto che qualcuno, concedendogli dei benefici, avrà definito meritevole di fiducia.
Morti che pesano sulla coscienza di un Paese intero, di un sistema giustizia che non considera la violenza contro le donne per ciò che è, un crimine dalle radici culturali profonde, che come tale va affrontato.
In un recente incontro alla Casa dei diritti di Milano proprio il dottor Giulini (per il quale il Codice rosso "sembra avere meno incidenza pratica di quanto invece sia una suggestione mediatica) ha sottolineato come sia necessario agire "con una concezione clinica criminologica di intervento, con la consapevolezza che non si argina la potenzialità distruttuva di un uomo - con problematiche che non sono di tipo psico-patologico, ma di tipo multifattoriale e culturale -, con qualche colloquio con lo psicologo".
"Ci vuole una scossa", ha detto, "e la scossa la dà un contesto operativo che si muove con un sistema, ed è questo sistema operativo che va costruito". Ha ricordato che il modello milanese di presidio criminologico territoriale è unico in Europa e la sua efficacia è comprovata dalla bassissima recidiva.
di Marco Belli
gnewsonline.it, 23 ottobre 2019
È stato rinnovato oggi il Protocollo di Intesa tra Ministero della Giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e Soroptimist International d'Italia, finalizzato alla realizzazione, nell'ambito del Progetto "Si Sostiene", di percorsi di inclusione destinati alle detenute ristrette nelle sezioni e negli istituti femminili. L'intesa è stata sottoscritta presso la sede del Dap dal Capo del Dipartimento Francesco Basentini e dalla Presidente dell'Associazione Maria Coppola.
L'iniziativa progettuale, siglata per la prima volta due anni fa, conferma per una altro biennio la reciproca e fruttuosa collaborazione instaurata, che prevede la promozione di iniziative di sostegno della formazione professionale e dell'attività lavorativa delle donne detenute e ha portato all'attivazione di laboratori specifici, come quelli di gelateria, parrucchiere, sartoria e cucina.
Nei primi due anni di attuazione del Protocollo, infatti, il progetto "Si Sostiene" ha promosso 60 iniziative formative in una trentina di sezioni e istituti femminili, arrivando a coinvolgere 340 detenute. Sono stati realizzati corsi per parrucchiera, estetista, pasticciera, sarta, cake design, governante, per la manutenzione del verde e la coltivazione di orti, ed altri 20 stanno per essere avviati. Ventuno sono le detenute che, dopo aver seguito i corsi, hanno fruito di borse-lavoro retribuite.
Soroptimist International d'Italia è un'associazione no profit che opera per l'avanzamento della condizione femminile, la promozione dei diritti umani, l'accettazione delle diversità, lo sviluppo e la pace; è rappresentata presso la Commissione Parità del Ministero del Lavoro e presso la Commissione Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La sua capillare diffusione sul territorio nazionale conta di 144 club e più di 5.000 iscritte.
Già prima della stipula del Protocollo di due anni fa, Soroptimist aveva collaborato con il DAP offrendo un contributo fattivo al miglioramento della condizione delle detenute: presso la Casa di reclusione di Bollate aveva realizzato infatti, a titolo gratuito, una sala lettura al piano terra del reparto femminile, destinata a momenti di condivisione e formazione, ed elaborato il progetto dello spazio ludoteca per i bambini ospiti della sezione nido.
di Bruno Ferraro*
Libero, 23 ottobre 2019
Il sistema carcerario e la stessa funzione della pena in carcere sono tra gli argomenti più discussi, sia nell'immaginario collettivo sia nelle analisi di studiosi e giuristi. Sussistono pregiudizi di ogni genere in ordine ad un istituto vecchio come il mondo, per il quale la nostra Costituzione stabilisce il principio che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, preparandolo al ritorno nella società con caratteristiche diverse da quelle che lo hanno portato dietro le sbarre.
Alcune situazioni evidenziano il permanere di equivoci su cui è opportuno fare chiarezza. Custodia cautelare. Vigendo il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza, le ordinanze restrittive del gip su conforme richiesta del pm dovrebbero costituire l'eccezione. La sensazione invece è che se ne faccia un uso eccessivo, con il paradosso della restituzione alla libertà a distanza di pochi giorni e spesso di poche ore, con una sostanziale delegittimazione delle Forze dell'Ordine.
Così non va: tocca al legislatore introdurre dei correttivi ed ai giudici di intervenire. Capienza carceraria. Il numero delle carceri in Italia è più che sufficiente. Al netto dei detenuti in custodia preventiva la percentuale di utilizzo sarebbe senz'altro adeguata e sarebbe evitato il fenomeno del sovraffollamento. Quando esistevano ancora le Preture (fino al 1999), ciascuna di esse era dotata di una o più celle destinate agli arrestati ed ai soggetti non pericolosi. Il problema da affrontare è invece quello dei contatti fra i detenuti, per evitare che le carceri si trasformino in scuole del crimine.
Minorenni detenuti. Gli Istituti di osservazione ed i reclusori per i minorenni sono sufficienti per numero e qualità del trattamento. I vari servizi vengono assicurati da personale in gran parte preparato e motivato. La permanenza in tali strutture di soggetti che hanno commesso reati prima dei 18 anni evita i rischi di promiscuità con i maggiorenni.
Madri detenute. Nel 2018 ha fatto molta impressione il caso di una mamma trentunenne di nazionalità tedesca che a Rebibbia ha scaraventato i due figli nella tromba delle scale provocandone la morte. Al di là del fatto che le madri detenute erano in Italia solo 52 (25 straniere) e che in genere godono di molte attenzioni, quale sarebbe l'alternativa: il diritto a rimanere libere o l'affidamento dei loro figli a famiglie di affidatari?
Stranieri detenuti. Costituiscono un problema, sia per il loro numero complessivo, sia per l'entità di coloro che sono in attesa di giudizio (quindi non estradatili), sia per la varietà legislativa dei Paesi di loro provenienza. La permanenza in carcere crea il paradosso di un onere economico a carico dello Stato. Per i condannati la soluzione c'è ed è quella del trasferimento dell'espiazione nei loro Paesi e non nelle nostre carceri, generalmente più generose ed accoglienti. È questo il compito cui dovrebbe attendere il Ministero della Giustizia.
*Presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione
di Giovanni Bianconi
Corriere della Sera, 23 ottobre 2019
Parla il ministro della Giustizia: "Dagli alleati non temo trappole". "È una svolta epocale" ripete soddisfatto il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede a proposito del decreto che prevede il carcere per i grandi evasori.
"Epocale" è un termine che aveva usato anche per la riforma del processo penale che dovevate approvare insieme alla Lega, e s'è visto com'è andata...
"La differenza è evidente, la Lega ha bloccato la riforma, questo governo invece fa norme coraggiose. Io rivendico che dal punto di vista anche solo culturale la norma che prevede pene da 4 a 8 anni per chi evade cifre superiori ai 100.000 euro rappresenti un grande cambiamento. La soglia minima di quattro anni fa sì che non si acceda automaticamente a misure alternative alla detenzione, anche se poi toccherà sempre ai magistrati valutare i singoli casi e decidere".
Il carcere una svolta culturale?
"Sì, perché questa riforma è uno dei tasselli della lotta all'evasione fiscale, fra i più importanti. I cittadini devono sapere che lo Stato fa pagare il dovuto a tutti, e ciò consentirà a tutti di pagare meno. I grandi evasori sono parassiti che camminano sulla testa dei cittadini onesti, un fenomeno che non può rimanere impunito. Governo e maggioranza compatti hanno dato un segnale chiarissimo e netto".
Ci sono magistrati che i Cinque Stelle hanno sempre guardato con rispetto e simpatia, come Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita, che ritengono la riforma sostanzialmente inutile: rischia di ingolfare i tribunali con migliaia di nuove inchieste e processi, senza risultati concreti...
"Rispetto l'opinione di tutti, ma non condivido questa preoccupazione. Si parla di una soglia minima di 100.000 euro, non di tutte le evasioni fiscali. Secondo l'Agenzia delle Entrate, coloro che evadono oltre quel limite rappresentano l'82,3 per cento delle somme evase nel totale: di fronte a questa situazione è inaccettabile che lo Stato rinunci all'azione penale. Il problema dell'ingolfamento dei tribunali ci sarebbe stato senza la soglia minima, ma così mi pare che non si ponga".
Però, replica Davigo, l'entità dell'evasione si scopre alla fine del procedimento penale, non prima, quindi va fatto comunque...
"Ripeto che non si può rinunciare a misure drastiche. E poi ho sentito dire che sarebbe più utile la confisca di fronte alla sproporzione tra redditi dichiarati e beni posseduti; vorrei ricordare che questa misura è contenuta nel decreto: applicheremo la confisca, anche qui, sopra la soglia dei 100.000 euro. È un altro modo per cercare di recuperare le somme sottratte all'erario. Come fa la norma che allarga le responsabilità anche alle società: è paradossale che paghino per tanti illeciti ma non per i più gravi reati tributari di cui si avvantaggiano".
Lei parla di maggioranza compatta, ma avete dovuto superare ostacoli e resistenze politiche, soprattutto da parte del nuovo partito di Renzi. Non teme che possano riproporsi in Parlamento durante la conversione del decreto?
"Il decreto è stato votato nei suoi contenuti dopo un'attenta interlocuzione con tutte le forze politiche che sostengono il governo. Ho fatto parlare e ho ascoltato tutti, anche i rappresentanti di Italia viva, e alla fine questo è il testo concordato. È il risultato di un lavoro di squadra, perciò non mi aspetto ripensamenti né trappole in Parlamento".
Ma le divergenze c'erano oppure no?
"In materia di giustizia penale è normale che esistano sensibilità diverse, ma poi s'è trovato il punto d'incontro. In ogni caso abbiamo fatto slittare l'entrata in vigore a dopo la conversione in legge, per evitare problemi in caso di modifiche in Parlamento".
Che dunque possono arrivare?
"Io penso di no, l'impianto è quello e resterà intatto".
E le tensioni nella maggioranza? I veti incrociati e gli aut aut di Renzi e del Pd nei vostri confronti, e viceversa? Tutto normale?
"Se devo giudicare dall'atmosfera che c'era ieri nel vertice di maggioranza e poi in Consiglio dei ministri, le confermo che questa è una maggioranza nella quale si discute e ci si confronta, ma che poi al momento di prendere decisioni anche coraggiose, come quella contenuta nel mio pacchetto, si trova un accordo e si va avanti".
Nel dualismo interno al vostro mondo, tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, lei con chi si schiera?
"Non esiste dualismo, ci sono solo momenti di maggiore o minore convergenza su singoli punti che si risolvono nel giro di 24 ore".
Mentre lei esulta per le manette ai grandi evasori gli avvocati sono in sciopero per l'abolizione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado che entrerà in vigore a gennaio. Perché non concede un nuovo rinvio, in attesa della riforma che dovrebbe snellire i processi?
"Perché i cittadini ci chiedono di fare le riforme, non di prendere tempo o rinviarle. Ora si tratta di fare quelle necessarie per dimezzare i tempi dei processi, che la Lega ha bloccato nel precedente governo. Del resto gli effetti del blocco della prescrizione si vedranno non prima del 2024, e riguardano una minima parte dei processi".
Allora mantenere quella data è solo un'impuntatura?
"Non è un'impuntatura, è giusto non tornare indietro sulle cose fatte e impegnarsi per farne altre".
di Antonella Barone
gnewsonline.it, 23 ottobre 2019
Leggere "è custodia dell'interiorità, è un ascolto silenzioso, è fare esperienza del tempo, contro la dissipazione, la distrazione, la spettacolarizzazione". Sono parole del critico letterario Antonio Lo Prete scelte dagli organizzatori di "Fiato ai libri" per introdurre la XIV edizione del Festival Teatrolettura, in corso a Bergamo dal 5 settembre al 5 novembre 2019. Per il secondo anno la manifestazione, voluta dal Sistema Bibliotecario Provinciale, è entrata nella casa circondariale organizzando una lettura attoriale dei "Promessi Sposi".
Il valore della lettura come mezzo di crescita individuale e cambiamento è al centro di altre iniziative organizzate nel mese di ottobre all'interno di istituti penitenziari. Come #ioleggoperché#, settimana nazionale dedicata alla promozione della lettura (sabato 19 - domenica 27 ottobre) che, nelle tante sedi in cui si svolge, ha inserito il carcere di Piazza Armerina contribuendo alla riapertura della biblioteca. La dotazione di libri è stata arricchita, infatti, di 400 nuovi testi di narrativa, saggistica e lingua straniera, donati da privati e associazioni che hanno aderito alla campagna per l'incremento dei volumi.
Una volta terminata la ristrutturazione di alcuni ambienti della struttura, anche la biblioteca sarà ospitata in un nuovo e più ampio locale cui i detenuti potranno accedere per consultare i libri da chiedere in prestito. "Come sa bene chi ama leggere - dice la giornalista Pierelisa Rizzo, volontaria e promotrice dell'iniziativa - un libro va guardato, toccato, sfogliato e solo dopo comprato o preso in prestito".
Potranno consultare libri in ambienti adeguati e accoglienti anche tutti detenuti della casa circondariale di Bari dove domani, 23 ottobre, si inaugurano la biblioteca della Sezione Prima dedicata alla memoria di suor Vincenzina Minenna, volontaria "storica" dell'istituto, scomparsa qualche anno fa, e quella destinata ai ricoverati nell'annesso centro clinico.
Si completa così nell'istituto barese quello che è, a tutti gli effetti, un articolato sistema costituito da biblioteche per ogni sezione, scelta che rende più semplice la fruizione dello spazio da parte degli utenti. Il sistema, curato dall'associazione Liberos, sarà presto collegato al catalogo di volumi del dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia e Comunicazione dell'Università di Bari.
camerepenali.it, 23 ottobre 2019
Prescrizione, con la riforma meno garanzie per le vittime di errori giudiziari. Ogni anno, in Italia, circa 1000 innocenti finiscono in carcere. Ciascuno di loro avrà da questa esperienza danni incalcolabili che si protrarranno per anni, se non per sempre: sulla vita privata, gli affetti, la famiglia, il lavoro, la reputazione.
Perché spesso le loro vicende processuali si trascinano incredibilmente a lungo, prima di risolversi. Un solo esempio, tra i tantissimi che si potrebbero fare: Vittorio Gallo, arrestato per rapina, 12 mesi di ingiusta detenzione, assolto per non aver commesso il fatto dopo ben 13 anni.
Gli errori giudiziari sono insiti in qualunque sistema processuale, è vero. E non saranno mai del tutto eliminabili. Ma i numeri dell'ingiusta detenzione in Italia non sono affatto fisiologici, ma piuttosto il sintomo chiaro di una patologia.
Non solo. Oggi i tempi già infinitamente lunghi della nostra giustizia si apprestano a subire un ulteriore allungamento: dal primo gennaio 2020 entrerà in vigore la riforma della prescrizione che vedrà la sostanziale abolizione dell'istituto rendendo, di fatto, i reati imprescrittibili dopo la sentenza di primo grado, tanto di condanna quanto di assoluzione.
Nell'assoluta mancanza, nel nostro ordinamento, di istituti che regolino la durata del processo, la prescrizione ha sempre rappresentato uno strumento di civiltà giuridica, in quanto ponendo un limite alla potestà punitiva dello Stato consente di pervenire ad una sentenza in tempi ragionevoli.
Sotto la spinta del peggior populismo penale, con la riforma della prescrizione si rompe il patto di civiltà tra Stato e cittadino in nome di una richiesta sempre più pressante di giustizia ad ogni costo. Ma fermatevi un attimo a riflettere: cosa accadrebbe se domani foste voi quegli innocenti che vengono svegliati nel cuore della notte per essere ingiustamente arrestati? Vorreste un processo lungo 30-40 anni per accertare la vostra innocenza o preferireste, piuttosto, un processo che si esaurisca in tempi brevi e vi consenta di riprendere al più presto, e per quanto possibile, la vostra vita familiare e lavorativa?
L'errore in cui incorriamo è quello di credere che il processo penale sia qualcosa riservato ai soli delinquenti e che noi, persone oneste, non potremo mai rimanerne invischiati. I dati ci dimostrano, invece, che tutti possiamo essere coinvolti, da innocenti, in un processo penale e, solo quando ci troviamo tra color che son sospesi ci rendiamo conto, con irrimediabile ritardo, che le garanzie processuali non sono inutili ammennicoli e che il processo deve consentire di pervenire in tempi brevi all'accertamento della verità.
Le garanzie processuali e la prescrizione, come già ci insegnava Francesco Carrara, sono una tutela per gli onesti, prima ancora che per i colpevoli, perché li proteggono proprio dal cadere vittima di possibili errori giudiziari o, laddove ciò sventuratamente dovesse accadere, consentono loro di vedere riconosciuta la propria innocenza in tempi ragionevoli.
Il garantismo, accolto dalla nostra Costituzione nell'art. 111, delineato nel paradigma del giusto processo e della sua ragionevole durata, oggi demonizzato in ragione di una non meglio specificata esigenza di "certezza della condanna" (o variamente, della pena) non è una "mossa" per assicurare ad alcuni l'impunità, ma fonda le sue radici fin dall'epoca illuminista.
Anche solo il rischio di vedere condannato un innocente dovrebbe, quindi, spingere il legislatore al progressivo miglioramento degli istituti processuali e del diritto probatorio, al fine di impedire che un innocente possa restare vittima di un errore giudiziario e vi resti invischiato per decenni, in attesa di riuscire a dimostrare la sua innocenza.
La nuova normativa sulla prescrizione, senza una strutturale e organica riforma della giustizia e dei tempi del processo, farà sì che i processi si concluderanno a distanza di decenni dai fatti. Quando ormai il colpevole sarà un'altra persona, la vittima non avrà più interesse alla decisione e l'innocente avrà irrimediabilmente visto cadere in frantumi tutta la sua vita.
I Responsabili dell'Osservatorio sull'errore giudiziario Ucpi
Avv. Alessandra Palma, Dott. Valentino Maimone
- Colombo: "Da giovane pm credevo nel carcere, ma oggi mi chiedo: a cosa serve?"
- Giustizia per l'Italia
- Il ruolo del magistrato non è "combattere le ingiustizie", ma "amministrare la giustizia"
- Non è spaccio di droga solo in base alla quantità e perché si fugge davanti alla Polizia
- Parma. Duecento detenuti in più e direttore in uscita, nuovo allarme sul carcere